Cortei e studenti in piazza: giochi malsani sulla pelle dell’Italia

di Marco Benedetto
Pubblicato il 30 Novembre 2010 - 17:36| Aggiornato il 24 Maggio 2015 OLTRE 6 MESI FA

Mia mamma alzava gli occhi al cielo e diceva: “Ah, i studenti”, in dialetto genovese, ogni volta che un corteo di giovani bloccava la città. Erano i prodromi del ’68, ma lei si riferiva a un dato più storico, per lei gli studenti appartenevano a una classe sociale privilegiata, quali ai suoi tempi erano i borghesi, una élite nell’Italia del primo novecento. Lei aveva ancora nella memoria le grandi manifestazioni patriottiche che avevano accompagnato le manovre politiche per fare entrare l’Italia nella carneficina totale della prima guerra mondiale e ricordava lo strascico di morti, feriti e fascismo che ne era venuto.

Un po’ classista, dal basso, non amava quei giovani schiamazzanti che, già privilegiati di nascita, poi ancora privilegiati perché alla dura esperienza dell’apprendista sostituivano il relativo conforto dell’aula scolastica in un’epoca dove la scuola dell’obbligo arrivava alla quinta elementare e poi ancora erano attesi da una vita certamente migliore dei coetanei figli di operai, artigiani, contadini.

È passato più di mezzo secolo da quei giorni, ma penso sempre a mia madre quando un corteo blocca la città. Ne ho visti tanti, da cittadino e anche da cronista, trovandomi anche nel mezzo, tra dimostranti e polizia che caricava e sono ricordi indelebili.

Pochi portarono a un risultato. Ricordo quando, adolescente, dalle alture di Genova vidi scorrere, nelle strade il fiume di portuali che il 30 giugno del ’60 impedì che si tenesse il congresso del Msi e soprattutto bloccò il Governo Tambroni, che doveva avere l’appoggio esterno dei neofascisti. Conseguì un effetto immediato, ma si trattò di una delle poche volte che questo avvenne e alla fine, la prospettiva che il pupillo (Gianfranco Fini) di uno dei capi del Msi confinati allora dalla reazione operaia in albergo a Genova (Giorgio Almirante) possa candidarsi al ruolo di primo ministro nel 2013 senza che uno dei discendenti ideali di quei portuali si senta in dovere di difenderne la memoria non fa alla fine che rafforzare il senso di vanità di pgni dimostrazione.

Penso a tutto questo anche in questi giorni, mentre l’Italia è mezza bloccata dai cortei degli studenti, che rendono inagibili le grandi città per opporsi a una riforma il cui destino dipende molto meno dalla loro protesta che non dai giochi irresponsabili del “pentito” Fini, sempre lui, l’erede morale e anche un po’ materiale di quelli contro cui i portuali sfidarono, uncini in pugno, i manganelli e non solo della “Celere” di Tambroni.

Dice un maturo sostenitore dei cortei che fanno parte della educazione politica. Ahi ahi, che siamo frutto della generosa e anche ingenua esuberanza giovanile non c’è dubbio, ma che si tratti di un momento educativo solo pensarlo dà i brividi. Se di educazione si può parlare se ne può parlare in negativo, di educazione al sopruso, alla violenza, al far pagare a terzi le colpe di qualcun altro, al rifiuto del dialogo come strumento politico, alla anti politica. Ce l’hanno con la Gelmini? Perché devono farla pagare a chi nulla potrà fare nel loro interesse se non votare contro i partiti che più verosimilmente stanno dalla loro parte? Perché costringere migliaia di persone, il cui ultimo pensiero sono le riforme della scuola e dell’università, a stare incolonnate nel traffico per ore?

Per la maggior parte di quelli che stanno in coda le ragioni della protesta sono probabilmente oscure, alcuni saranno favorevoli o contrari a prescindere al merito, per ragioni aprioristiche di schieramento. L’esperienza insegna che da Malfatti in poi, sempre un nuovo ministro dell’Istruzione ha voluto lasciare il segno della sua riforma, sempre ci sono stati cortei e occupazioni, ma le cose sono andate sempre peggio, sia per la qualità degli insegnanti sia per quella degli studenti, sia per il destino di entrambe le categorie, sia per la scuola nel suo insieme.

Blitzquotidiano era online da poco quando una insegnante prossima alla pensione descrisse lo stato tragico della scuola italiana esortando così i politici: a questo punto chiudetela del tutto.

Forse per tutto questo merita anche leggere il commento di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, che difende la riforma dell’Università proposta dalla Gelmini. Vien da dargli ragione, quando si apprende che alla riforma sono contrari anche i rettori. Se così è, allora si tratta di una ragione in più per approvarla.

(Marco Benedetto)