Politica industriale nuova in Italia: obiettivi e condizioni

di Salvatore Gatti
Pubblicato il 4 Gennaio 2013 - 08:00| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Una politica industriale nuova e innovativa è possibile in Italia? La risposta è sì, ma a patto che si realizzino dieci obiettivi, veri e propri must, e due condizioni. Elenchiamoli.

Il 2013 che ci attende s’inserisce in uno scenario mondiale negativo: “Nel prossimo anno lo sviluppo economico non sarà più facile ma più difficoltoso, la crisi è ancora lontana dall’essere vinta” (Angela Merkel, messaggio di fine anno 2012). A voler vedere positivo, semmai, c’è “un lento e penoso processo di recupero” (Luigi Zingales, “L’Espresso”).

Con quale biglietto da visita si presenta l’Italia a quest’anno difficilissimo?

Il prodotto interno lordo per il 2013 sarà del -1,0 (Ocse); la produzione industriale ha segnato un -6,2% annuale, ad ottobre 2012; il debito pubblico a fine ottobre era di 2.014 miliardi di euro con un rapporto debito/prodotto interno lordo del 126,1 %: dietro di noi c’è solo la Grecia. E poi, secondo la Banca Mondiale (Rapporti Doing Business), nella classifica relativa allo starting a business (avviare un’impresa), nel Rapporto 2012 l’Italia stava ad un critico 76° posto; in Doing Business 2013 precipita all’ 84°.

Un bollettino di guerra, una Waterloo. L’Italia, per l’impresa, è quindi un ambiente inospitale. Pertanto è urgente una nuova, ambiziosa, specifica politica economica, nel quadro europeo. Ecco quali obiettivi principali si devono perseguire.

1. È necessario snellire radicalmente il sistema delle autorizzazioni alle imprese, a tutti i livelli. Negli USA i tempi richiesti per i permessi di costruzione sono di 27 giorni, in Germania di 97, in Italia di 234 (fonte: “Il Sole 24 Ore”). Bisogna quindi attestarsi quantomeno al di sotto dei 100 giorni. Questo per eliminare uno degli ostacoli principali per gli investimenti (esteri e nazionali) in Italia.

2. Alla fine dei 100 giorni necessari all’ottenimento dei permessi, deve scattare il silenzio/assenso. Un eventuale no dovrà essere motivato dettagliatamente e andrà sottoposto ad una Authority costituita ad hoc: nel caso il no risultasse scorrettamente motivato l’autore del diniego dovrebbe essere sanzionato. Questo è uno dei tanti modi per ridurre la discrezionalità e, quindi, la corruzione nelle P.A.

3. Compatibilmente con lo stato delle finanze pubbliche, bisogna agire sul fisco. È necessario ridurre, progressivamente, il cuneo fiscale e la tassazione sulle imprese, dall’attuale 68,3 per cento (imposte sugli utili, sul lavoro e altri oneri) verso il 47 per cento un valore simile al 46,8% applicato in Germania. La media europea è del 42,6 (Fonte: PriceWaterhouseCoopers- “Il Sole 24 Ore”).

4. È vitale rilanciare le esportazioni anche creando una sinergia tra il governo (ministeri varii, ambasciate), banche e imprese per contrastare efficacemente, come accade in altri paesi, la concorrenza.

5. Si deve ovviamente agire con decisione e incisività con tagli non lineari, sull’immenso e articolato fronte della spesa pubblica non produttiva.

6. Si deve proseguire rapidamente sulla strada delle liberalizzazioni dei mercati dei beni e dei servizi. E delle professioni.

7. È più che opportuno attuare una progressiva riduzione dei costi dell’energia e dei trasporti. Tale intervento, ancorché difficile e lungo, è uno dei cambiamenti maggiormente richiesti dagli investitori esteri. Da molti decenni.

8. È indispensabile un accordo quadro tra Governo, Confindustria e Abi per garantire un maggiore (e migliore) accesso al credito bancario da parte di quelle imprese che hanno nei loro business plan investimenti in innovazione e ricerca non inferiori al 5 per cento del fatturato.

9. È indispensabile intervenire efficacemente sulla produttività per ora lavorata, troppo bassa in Italia. Questo intervento va realizzato con un patto pluriennale tra governo, Confindustria, le varie sigle dei servizi, Cisl, Uil e Ugl (difficile, utile, ma non necessaria, anche la partecipazione della Cgil che però si è isolata su posizioni conservatrici).

10. È auspicabile un ulteriore intervento nel mondo della pubblica istruzione.

a) Attivare un numero sempre maggiore di corsi universitari specializzati nelle varie branche della tecnologia nelle facoltà di ingegneria e di economia, fino a raggiungere un livello di eccellenza paragonabile con quello dei Paesi più avanzati.

b) Promuovere stages post-universitari, almeno biennali, nelle imprese che potranno così scegliere laureati finalmente in base a criteri di merito verificati.

c) Si devono attuare nuovi e migliori spazi di formazione nell’istruzione tecnica secondaria per soddisfare la domanda del mercato del lavoro ad oggi sostanzialmente inevasa, soprattutto al Nord.

In questo modo si potrà aumentare la competitività del sistema Italia e la sua redditività “inferiore alla media europea” (Fonte: Consob) con risultati positivi, a cascata, per la crescita, l’occupazione e la domanda interna.

Ma questo programma può essere vanificato dalla situazione di grave inefficienza delle pubbliche amministrazioni a tutti i livelli.

E qui nasce la prima condizione: eliminare finalmente tutti i lacci e lacciuoli denunciati molto tempo fa da Guido Carli. Bisogna fare una vera rivoluzione nel mondo, , delle pubbliche amministrazioni.

I. Ridurre i troppi livelli decisionali.

II. Abbattere l’elefantiasi: troppa gente, con scarsa produttività.

III. Facilitare i licenziamenti per “giusta causa”.

IV. Incentivare economicamente merito, produttività e qualità.

V. Abolire, dove ci sono, gli avanzamenti di carriera per anzianità e non per merito.

VI. Rafforzare gli organici e le strutture della Guardia di Finanza, per combattere l’evasione fiscale, la corruzione (e le mafie) a tutti i livelli.

VII. Introdurre definitivamente criteri per gli acquisti pubblici coerenti con i cosiddetti “prezzi standard”.

La seconda condizione: la vittoria alle prossime elezioni di una ferma volontà politica riformatrice in un Italia devastata dai conservatorismi di destra e di sinistra.