Jus Soli, perché dico no. Le ragioni di un giurista contro

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 26 Marzo 2019 - 11:24 OLTRE 6 MESI FA
Jus Soli, perché dico no. Le ragioni di Sfrecola, un giurista contro

Jus Soli, perché dico no. Le ragioni di un giurista contro (foto d’archivio Ansaa)

ROMA – Era possibile, ed è accaduto, che prima o poi non fossi per alcuni aspetti d’accordo con il mio stimato amico Marco Benedetto che su Blitz Quotidiano del 25 marzo ha scritto della polemica sullo ius soli che “torna a imperversare. E naturalmente hanno torto tutti. Chi non vuole lo Jus Soli e anche chi lo vuole estendere anche a chi in Italia non è nato”. Riprende un suo scritto di quasi due anni fa rispetto al quale “nulla è cambiato, anzi le posizioni si sono radicalizzate”.

Non condivido, come spiegherò, perché nonostante sia un uomo saggio e, all’evidenza, buono di animo, Benedetto mette insieme cose diverse che sembrano collegate, la disciplina della cittadinanza e quella dell’immigrazione e non lo sono se non nella propaganda delle Sinistre alla ricerca i quei consensi che perdono tra gli italiani. Per Benedetto “è una cosa giusta, e rimane cosa giusta anche se lo stesso Governo che lo caldeggiava lo ritirò”. Per ragioni di calcolo elettorale, “perché la versione di jus soli portata avanti da Pd allora (e temo anche oggi), andava ben oltre i confini del buon senso che porta la maggioranza degli italiani di buona volontà a ritenerlo cosa degna e giusta”.

Infatti secondo i sostenitori di quella versione “dovrebbero avere diritto alla cittadinanza automatica non solo quelli che sono nati in Italia, ma anche chi vi è entrato ancora minorenne. Visto quel che succede con i minorenni imbarcati sulle navi al centro della contesa degli ultimi mesi, minorenni tutti nati lo stesso giorno o quasi in base a auto certificazioni poco probabili anche agli occhi dei magistrati, un sistema del genere si risolverebbe in una grande presa in giro”. Lo ius soli “dilatato”, ricorda, “più che la definizione di un diritto, era un manifesto propagandistico per incentivare gli arrivi. E il business delle accoglienze”. Che, in effetti, è stato dimostrato da inchieste giornalistiche e, ancor più, da indagini della magistratura, essere stato terreno di affari.

Spiega che “gli italiani, anche la maggioranza di quelli di sinistra, hanno paura dello straniero. Ne hanno paura soprattutto gli strati sociali più deboli i cui diritti sembrano non entrare negli elenchi dei diritti che stanno a cuore alla sinistra da salotto. Un lavoratore straniero è uno che accetta una paga inferiore, non discute (anche perché se discute il buon italiano magari l’ammazza), lavora lunghe ore senza protestare. Gli ex elettori comunisti si sono rivolti alla Lega. Allora da sinistra si affrettano a dire che sono fascisti. Ma lo avete scoperto ora che la base del fascismo fu anche proletaria?”. “E poi – scrive ancora Benedetto – , con buona pace dei nostri migliori propositi, anche il colore della pelle ha un suo peso. Lo ius soli spaventa la gente nel clima che si è creato per la incapacità della nostra classe politica e amministrativa. Con un bel condimento di ipocrisia cattolica e comunista”. Anche perché tra i migranti “i più sono giovani e forti… Quei profughi, se profughi sono, cosa che nella maggior parte dei casi dubito, non sono più disperati dei tanti italiani che vanno fuori Italia a cercare fortuna”.  E viene all’attualità, del bus di scolari “cui l’autista, italiano di origine senegalese, voleva dare fuoco”. Riconosce l’errore di coloro che “parlano solo dei bambini “stranieri” e dimenticano l’eroismo degli italiani.. finiscono per dare argomenti a chi è contro”.

Conclude Marco Benedetto che “la pancia degli italiani non ce li vuole gli stranieri. Il popolo ha un sesto senso. Ma è ingiusto. La colpa però non è degli italiani, che sempre, nella storia, in pace come in guerra, si sono rivelati meglio dei loro governanti. La colpa, ancora una volta, è dei governanti, eletti o di mestiere, imbrigliati da calcoli di soldi o di voti. I trafficanti, che sono criminali e quindi un po’ più furbi, hanno sommato l’imminenza dello ius soli con la incapacità italiana di fermare il flusso di clandestini e hanno aumentato le quote rosa, il numero di donne incinte che fanno il viaggio è cresciuto, tutte donne che sperano di dare ai loro figli un futuro migliore. Finiamola con la ipocrisia dei poveri che fuggono dalle guerre. Sembra una litania, una formula rituale. Negli anni, di rifugiati in fuga da guerre e carestie ne abbiamo visto parecchi, in persona e in foto. Questi sono in prevalenza giovanotti robusti e ben nutriti, lo sguardo acceso e svelto. Sono persone che sognano di stare meglio, come lo sognavano i nostri che da tutte le regioni del Sud e del Nord sono emigrati in America negli ultimi 200 anni. È più che legittimo, ma ogni diritto trova un limite nei diritti altrui, ogni interesse, anche se legittimo, trova un limite negli interessi altrui. E dalle guerre fuggono non solo i neri ma anche i bianchi dell’Est Europa. C’è una guerra in corso, nella Ucraina orientale, a due ore di aereo dall’Italia. Ci sono morti e feriti ogni giorno”.

Insomma, “il flusso va controllato non con le avemarie dei preti o della Boldrini, ma con uno strumento legale che bilanci il loro giusto interesse a una vita migliore e i nostri interessi. I nostri interessi sono confliggenti: abbiamo bisogno di gente per far marciare la nostra economia, dobbiamo regolare il flusso di quella gente per non farci sommergere. E per fornire alla criminalità manodopera fresca e disperata. Come può reagire uno che si è venduto tutto per pagarsi il viaggio in Italia, dove, guardando i telegiornali, si reincarnato il Paese di Bengodi promesso a Pinocchio. E invece ne passa di tutti i colori e una volta arrivato viene preso a calci e sputi. Come può non odiarci. Poi c’è l’irresponsabilità di propagandisti e giornalisti, che drammatizzano ogni situazione… Si dovrebbero prendere decisioni con un po’ di sangue freddo e equilibrio. Invece siamo sopraffatti dalla illegalità e dalla ipocrisia. Non può che prevalere il calcolo elettorale. L’ Italia non deve fare la faccia feroce, deve agire. Ha agito e i risultati si sono visti… Ci vogliono controlli, ci vogliono blocchi, ma ci vuole anche lo Jus Soli.”

Bene, Marco Benedetto si dimostra un po’ democristiano ma di buon senso, non del tipo di quelli “di centro che guardano a sinistra”, con lo strabismo che abbiamo sperimentato e che tanti danni ha fatto. Lui dice, infatti, cose giuste quanto all’immigrazione da tenere sotto controllo. Giuste ma anche ovvie, che evidentemente tali non sono agli occhi dei nostri governanti. Come l’argomento dei “trafficanti” che avrebbe dovuto più correttamente chiamare “schiavisti”, come nell’800. Allora, d’intesa con alcuni capi tribù “compravano” giovani uomini e donne che trasportavano in catene sulle navi negriere e “rivendevano” al di là dell’oceano. Oggi quei delinquenti portano in Italia persone che saranno destinate soprattutto ad alimentare lavoro nero o sottopagato, spaccio di droga, prostituzione, d’intesa con le mafie nostrane. Escluso, infatti, per quanto sappiamo delle condizioni di vita dei paesi d’origine, che il “biglietto di viaggio” (alcune migliaia di dollari) sia frutto della raccolta di fondi in famiglia o nella tribù, dove si vive con qualche dollaro al mese.

Aggiungo, per completezza sul punto dell’immigrazione clandestina, che se gli italiani sono preoccupati della presenza di queste persone lo sono non per il colore della loro pelle ma perché li associano ad episodi criminali, rapine e, soprattutto violenze. Non al colore della pelle perché siamo stati da sempre abituati a incontrare eritrei, etiopi, libici. Ricordo da ragazzo un comizio a Roma del Partito Nazionale Monarchico, in Piazza Annibaliano nel quartiere africano, a venti metri da casa mia, al quale erano presenti numerose persone di colore. Immaginai provenissero dalle nostre perdute colonie. L’Italia è da sempre accogliente, dai tempi di Roma che ebbe re e imperatori provenienti da territori che oggi diremmo extracomunitari. Archiviato, dunque, il tema dell’immigrazione sul quale siamo d’accordo, Marco Benedetto sbaglia sulla cittadinanza, che considera semplicisticamente dovuta a chi si trova a soggiornare ed a lavorare in Italia e magari parla con accento lombardo o romanesco. Sbaglia come tutti coloro i quali non considerano che le norme sulla cittadinanza, ovunque nel mondo, sono dirette ad identificare i componenti di una comunità nazionale che tale è in rapporto alla storia, alle tradizioni, alla cultura di un popolo.

Si chiama identità nazionale ed è costituita da un complesso di valori civili e spirituali che sono parte di noi stessi e, pertanto, opportunamente richiamati dalla nostra Costituzione all’art. 3, e riguardano la pari dignità sociale delle persone senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Ci vuol poco a capire che coloro i quali dimostrano di non condividere quei valori non meritano la cittadinanza. Il mancato rispetto dei diritti delle donne, ad esempio, nelle famiglie di origine musulmana, quando viene negata loro la possibilità di frequentare o di amare un cristiano, il mancato rispetto dei simboli della religione cristiana evidente in chi imbratta le edicole della Madonna o distrugge statue di santi. Si è parlato di ius culturae, cioè dell’effetto della partecipazione ad attività scolastiche come di una forma di riconoscimento dell’acquisizione dei valori italiani.

Ma ricordo che quando in una scuola fu chiesto agli studenti di alzarsi in piedi per onorare in silenzio le vittime della strage di Parigi al Bataclan le ragazze musulmane non parteciparono, non vollero partecipare. D’altra parte la legge sulla cittadinanza la n. 91 del 5 febbraio 1992, come dimostra il numero dei provvedimenti di cittadinanza annualmente adottati, è estremamente aperta ed esclude all’art. 6 esclusivamente i condannati e coloro i quali costituiscono un pericolo per la sicurezza nazionale. Siamo da sempre accoglienti nei confronti di chi intende vivere in Italia nel rispetto della legge, dei valori di questo popolo dei quali dobbiamo essere gelosi custodi, consapevoli che l’immissione di soggetti che quei valori non condividono alimenterà inevitabilmente un malessere che può in alcuni produrre odio razziale.