Art.18. Giuliano Poletti: “Va cambiato, ma nessuno lo chiede”, è ministro Lavoro

Pubblicato il 17 Agosto 2014 - 12:34 OLTRE 6 MESI FA
Art.18. Giuliano Poletti: "Va cambiato, ma nessuno lo chiede", è ministro Lavoro

Art.18. Giuliano Poletti: “Va cambiato, ma nessuno lo chiede”, è ministro Lavoro

ROMA – Il Governo Renzi fa del suo meglio per aprire il mercato del lavoro e rompere la calotta di protezione che rende intoccabili i fannulloni e impedisce alle aziende di assumere giovani. Le aziende non crescono per paura di non potere licenziare, ha detto un economista italiano ora consulente del Governo Renzi, Enrico Moretti.

Ma il dogma non è condiviso non solo dai sindacati, il cui mestiere non è l’economia ma la tutela dei lavoratori iscritti, non solo dai politici, che ragionano in voti, ma anche da molti precari il cui sogno è un posto da cui nessuno ti possa mandar via nemmeno se sei il più accanito assenteista.

Costretto a un difficile equilibrismo, Matteo Renzi ha stoppato ogni tentativo di cancellare l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, quello che stabilisce il confine delle tutele a 15 dipendenti per azienda o gruppo di aziende. La strada è quella dell’evoluzione, politicamente più avveduta. Anche se al fondo le tutele dovranno saltare o attenuarsi, per ora si accontentano di alzare il giorno in cui scattano, da subito dopo i sei mesi di prova a dopo 3 anni, che se non altro consentono di capire meglio comportamenti e attitudini di un dipendente.
Se saranno bravi, al ministero del Lavoro, avranno anche il tempo di studiare misure che compensino la precarietà, ad esempio trasferendo sullo Stato dalle aziende la tutela dei senza lavoro.

Intanto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti è impegnato in un tour de force di interviste, cosa che domenica 17 agosto 2014 ha fatto con il Corriere della Sera, affiancato, su Repubblica, dal suo sottosegretario Luigi Bobba, che ha affidato il messaggio a Paolo Griseri. A gennaio, informa Luigi Bobba,

 

“partirà l’opera di riforma e semplificazione delle leggi sul lavoro, compreso lo Statuto dei lavoratori”.

Una riscrittura, spiega Paolo Griseri,

” che in molti casi potrà ricalcare la proposta di Scelta civica (primo firmatario Pietro Ichino) presentata con due distinti disegni di legge a luglio e agosto 2013 e che va sotto il nome di Codice del lavoro”.

La prima parte del piano Poletti è stata anticipata a maggio con la riforma dei contratti a tempo determinato.

Ora però la Commissione Senato dovrà approvare la seconda gamba della riforma, quella che riguarda i contratti a tempo indeterminato e gli ammortizzatori sociali. Tutti gli articoli del disegno di legge sono già stati approvati tranne il quarto, quello che riguarda le tutele per gli assunti a tempo indeterminato. Ma la linea del governo sembra tracciata: a dispetto degli ultimatum di Alfano, l’articolo 18, quello che tutela i dipendenti da licenziamenti arbitrari, verrà mantenuto anche se scatterà dopo tre anni dall’assunzione. «Del resto – sottolinea Bobba – mi sembra questo il senso delle ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio: “cambiare le garanzie, non eliminarle”.

Prosegue Paolo Griseri:

“Prima dell’approvazione, il piano Poletti avrà bisogno di qualche limatura. Si tratta, ad esempio, di superare l’incongruenza del cumulo dei contratti: chi venisse assunto prima a tempo determinato (per un massimo di tre anni) e poi a tempo indeterminato (senza tutele complete per altri tre) rischierebbe di trovarsi in una situazione di relativa precarietà per sei anni. Ma la soluzione non dovrebbe essere difficile da trovare”.

Sul Corriere della Sera, intervistato da Enrico Marro, Giuliano Poletti esordisce con pragmatismo:

“Se ci infiliamo nel solito braccio di ferro sull’articolo 18 non portiamo a casa nulla. Invece c’è bisogno di un cambiamento di passo culturale che recuperi il valore positivo dell’impresa, come infrastruttura sociale indispensabile per la crescita e la creazione di lavoro. Quindi più che partire dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, cioè dai licenziamenti, sarei per partire dall’articolo 41 della Costituzione che tutela l’impresa e le sue finalità sociali e dall’articolo 46 che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’azienda. Dobbiamo cioè uscire dal vecchio conflitto impresa-lavoro e ragionare su partecipazione responsabile, condivisione, cooperazione”.

Sono parole che possono suonare pura retorica, se si pensa alla partecipazione del lavoratori nella guida delle Coop da cui viene Giuliano Poletti. Se invece si tratta di un richiamo della foresta post comunista, coniugata con uno scout democristiano come Matteo Renzi e shakerata con uno spruzzo di anti Beppe Grillo, l’evoluzione del mix è sempre il peronismo. Gli effetti del peronismo sono nella cronaca di questi giorni dall’Argentina.
Enrico Marro vuol essere sicuro di capire bene e chiede conferma: quindi non può essere l’abolizione dell’articolo 18 il «segnale forte» chiesto dal presidente della Bce, Mario Draghi, al presidente del Consiglio, Matteo Renzi? Giuliano Poletti è secco:

“No. Oltretutto sarebbe in contraddizione con la linea decisa dal Governo. Se avessimo voluto togliere l’articolo 18 lo avremmo fatto con il decreto col quale siamo intervenuti su contratti a termine e apprendistato. Invece noi abbiamo scelto una strategia in due tappe: il decreto appunto e il disegno di legge delega nel quale affronteremo tutti gli aspetti del mercato del lavoro, riscrivendo lo statuto, come ha detto Renzi, dagli ammortizzatori alla revisione dei contratti, compresa l’introduzione del contratto di inserimento a tutele crescenti”.

Fa un po’ ridere che due omoni come Giuliano Poletti e Luigi Bobba si affrettino, da una parola in su, a ripetere fantozzianamente la litania del “come ha detto il Premier Renzi”. Ma visti i precedenti dell’incauto Graziano Delrio e altri non si può non capirli.

Enrico Marro insiste, chiedendo se il sistema delle tutele crescenti non sia quello che dovrebbe consentire il licenziamento nei primi tre anni e osservando perché le imprese dovrebbero ricorrervi, se possono già utilizzare il «suo» contratto a termine senza causale, sempre per la durata di tre anni. Giuliano Poletti consente:

“Non basta introdurre il contratto a tutele crescenti, se non si rende il contratto a tempo indeterminato, e il contratto a tutele crescenti lo è, un contratto meno oneroso per l’impresa, alleggerendo il carico fiscale e contributivo”.

Enrico Marro conosce abbastanza la materia per non farsi portare in giro e ribatte che, in ogni caso, si va verso un approfondimento del solco tra nuovi assunti e chi invece lavora con la garanzia dell’articolo 18. Giuliano Poletti riconosce che sì, ma le risposte che dà sul punto e sull’articolo 18 sono un p’ fumose:

“Sì, c’è un problema su questo versante e andrà approfondito. Favorire la convenienza dei contratti a tempo indeterminato sarebbe già una prima risposta. Credo che lavoreremo su questo”.

La cosa più semplice, togliere del tutto l’articolo 18? Giuliano Poletti è un incrocio tra un cardinale e un membr del Politbjuro:

“Non lo chiede nessuno nella maggioranza”.

Prudente, abbottonato e ambiguo anche nelle risposte successive.

Ministro, la disoccupazione, non solo giovanile, è molto alta. E ci sono centinaia di migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Lei ha promesso un «ponte» per costoro verso la pensione. Di che si tratta?

Questo è il tema che abbiamo in lavorazione, ma è strettamente legato alle risorse che avremo a disposizione. Stiamo elaborando opzioni diverse in vista della legge di Stabilità. Dovremo vedere in che misura distribuire il costo di questo piccolo ponte o scivolo che dir si voglia tra lavoratori, imprese e fiscalità generale”.

“Tra le ipotesi allo studio c’è anche il «prestito pensionistico»: il lavoratore cui manchino 2-3 anni alla pensione prende un anticipo di 6-700 euro che poi restituirà in piccole rate al raggiungimento dell’età pensionabile?

Poletti qui è gelido:

“Si tratta di un’ipotesi che aveva formulato il mio predecessore, Enrico Giovannini, e che stiamo valutando insieme ad altre”.”
Per intervenire a favore di chi resta senza lavoro e pensione si potrebbe creare anche a un ammortizzatore sociale universale? L’Aspi ancora non lo è, lascia fuori i lavoratori precari.
«Nella delega stiamo lavorando su un ammortizzatore universale. Ma va risolto il problema di chi lo paga. Dovrebbero farlo le imprese, anche quelle che finora non lo hanno fatto, ma poi ci vorrebbe un intervento a carico della fiscalità generale. E qui torniamo al problema delle risorse”.

Ministro, lei è favorevole o contrario a un contributo di solidarietà sulle pensioni alte o al ricalcolo delle pensioni col metodo contributivo per intervenire su quelle che sono esageratamente alte rispetto ai contributi versati? Ci sono ipotesi allo studio su questo?

La risposta di Giuliano Poletti mette assieme pragmatismo, prudenza e una dose di raggelante possibilismo:

“Sono favorevole a interventi di questo tipo a patto che siano collegati agli interventi di cui ho parlato prima a sostegno dei lavoratori che altrimenti rischierebbero di finire esodati. Credo cioè che le risorse eventualmente recuperate con un contributo di solidarietà o con il ricalcolo contributivo dovrebbero restare nel sistema previdenziale in una logica di solidarietà per chi soffre di più. Ipotesi se ne sono fatte tante in passato. Adesso bisognerà fare delle scelte.

Pensionati tremate. Alla osservazione di Enrico Marro che le pensioni alte sono così poche che si raccoglierebbero briciole, Giuliano Poletti ha risposto:

“Dipende da dove si fissa l’asticella”.