Caso Ruby, la parola dell’opinione pubblica: non sia il Paese a pagare

Pubblicato il 18 Gennaio 2011 - 15:00 OLTRE 6 MESI FA

Silvio Berlusconi

“Purché non sia il Paese a pagare il prezzo peggiore”: se c’è un elemento che accomuna tutti i quotidiani maggiori sulla vicenda Ruby e l’inchiesta della procura di Milano per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile che vede coinvolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è il richiamo al senso di responsabilità verso il Paese, verso l’Italia.

All’indomani delle rivelazioni della marocchina Karima El Mahgroub, detta Ruby, Corriere della Sera, Stampa, Repubblica a Sole-24 Ore sono usciti tutti con un editoriale perentorio, e molto simile l’uno all’altro.

Dai toni più duri dell’articolo di Repubblica, in cui Berlusconi viene definito “zimbello del mondo per i festini con minorenni prostitute” e “satrapo stanco”, a quelli meno perentori del Corriere della Sera, che azzarda una difesa della privacy e qualche dubbio sulla “successione temporale con la quale è stato indagato, a ridosso della sentenza della Consulta sul legittimo impedimento”, tutti sono concordi nel chiedere che il Paese venga risparmiato dallo scandalo.

Viene invocato il senso di responsabilità dell’uomo delle istituzioni, colui che in altre circostanze si volle definire statista. “C’è una responsabilità del capo del governo verso la nazione e la si misura attraverso i suoi comportamenti pubblici e privati”, scrive il Stefano Folli sul Sole.  “Tutto è ormai pubblico, tutto è inevitabilmente politico. Anche l’ultimo atto: si dimetta, e vada a difendersi, se può, nel tribunale della Repubblica, evitando di distruggere il tempio con se stesso”, gli fa eco l’editoriale di Repubblica, con toni meno concilianti.

“Il rischio, adesso, prospetta Massimo Franco sul Corriere della Sera, non è tanto quello della resa dei conti finale fra Silvio Berlusconi e la Procura di Milano. Piuttosto, e forse è peggio, sulla scia dell’inchiesta giudiziaria che riguarda la vita intima del presidente del Consiglio può instaurarsi un equilibrio di fatto fondato sulla paralisi: niente decisioni vere del governo e niente passi avanti delle indagini”.

Marcello Sorgi, sulla Stampa, descrive con crudezza la situazione attuale in cui si trova l’Italia: “La valanga di intercettazioni e documenti della procura di Milano, con le conseguenti rivelazioni sui rapporti tra il premier e le prostitute che frequentavano la villa di Arcore, segna una delle giornate più drammatiche, non solo dell’epoca berlusconiana, ma della recente storia italiana”.

Sorgi fa anche un parallelo con l’Italia del passato: “D’improvviso, non è esagerato dirlo, sembra di essere tornati indietro a diciotto anni fa, quando le accuse di mafia ad Andreotti e la ricostruzione, poi rivelatasi ingannevole, del bacio di Totò Riina al sette volte presidente del Consiglio, avevano diffuso tutt’insieme la sensazione del crollo di un Paese”.

E il Corriere rincara la dose, descrivendo “Una terra di nessuno politica e giudiziaria, riempita da episodi squallidi e da veleni destinati a raggiungere un solo risultato: la riduzione a livello internazionale dell’Italia a caricatura di un Paese occidentale”.

“Se Berlusconi ha come interlocutore l’Italia prima ancora di chi lo accusa di reati infamanti, chiarire le cose davanti ai magistrati potrebbe sembrare un cedimento ma in realtà sarebbe un gesto di forza. È forse il modo più semplice e insieme spiazzante per uscire da un accerchiamento da valutare in prospettiva”.

“Siamo dunque arrivati alla domanda capitale del tragico quindicennio berlusconiano, scrive Repubblica: può governare un Paese democratico un leader che da giorni è lo zimbello del mondo per i festini con minorenni prostitute, pagate e travestite da infermiere per eccitare il satrapo stanco? Con ogni evidenza no. In qualsiasi Paese normale un premier coinvolto nel ridicolo e nello squallore di questo scandalo si sarebbe già ritirato a vita privata, per difendersi senza coinvolgere lo Stato nella sua vergogna”.

“Anche facendo la tara ai resoconti trascritti, chiosa Sorgi sulla Stampa, ciò che si ricava da una semplice lettura della documentazione è la descrizione di un Berlusconi prigioniero del meccanismo creato da se stesso.Un presidente del Consiglio che da un telefonino riservato solo a questo genere di traffico chiama continuamente, e compulsivamente, le protagoniste delle sue feste, o aspetta nevroticamente di essere richiamato. Trattato, nelle conversazioni registrate in cui è nominato, con una confidenza innaturale tra un ultrasettantenne del suo rango e del suo ruolo e ragazzine qualsiasi tra i venti e i trenta anni”.

“Il premier, continua Sorgi, dovrebbe piuttosto provare a dissolvere la sensazione, che lo circonda dopo la diffusione dei documenti dell’inchiesta di Milano, di essere diventato un uomo prigioniero dei suoi vizi e ricattato da quelle che li conoscono, li accarezzano e li accontentano a pagamento. Intendiamoci, non è affatto facile che Berlusconi si rassegni a questa necessaria operazione-verità. Ma a questo punto, per il bene di tutti, è diventato davvero indispensabile”.

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