Sì ai soldi al Veneto e a Pompei, ma il killer non è la pioggia, sono gli uomini

Pubblicato il 9 Novembre 2010 - 14:42 OLTRE 6 MESI FA

In Veneto e a Pompei l’acqua si è mangiata il futuro e il passato e ha sfregiato il presente. L’acqua ha invaso e demolito le aziende, i laboratori, le antichissime mura e i modernissimi impianti. L’acqua ha portato fango e ridotto in fango i portafogli e la cultura, l’immagine e la sostanza di due pezzi d’Italia. Ma non è l’acqua il “killer”, colpevoli e complici sono gli uomini, gli uomini che abitano il Veneto e la Campania.

E’ giusto e doveroso che i veneti colpiti dall’alluvione siano ora sostenuti con i soldi, soldi freschi, veri e pronti dello Stato italiano. Sostenuti, non aiutati o risarciti. Bisogna fare attenzione alle parole, l’una non vale l’altra. Sostenuti, perché ne hanno diritto come cittadini di questo paese. Non aiutati come fossero questuanti che hanno bisogno di carità. Non risarciti perché non c’è credito e non c’è debito tra il Veneto e l’Italia se non in una rancorosa, acida, falsa e in fondo vittimista narrazione. I veneti colpiti dall’alluvione hanno diritto ai soldi pubblici, un miliardo o quel che sia, eventualmente da togliere subito ad altre spese. Su questo, si perdoni l’amara ironia delle parole, almeno su questo non ci piove.

Ma i veneti avrebbero diritto anche ad altro, avrebbero il diritto, e anche il dovere, alla verità. Diritto che non sembrano reclamare. La verità, almeno una parte della verità, è che “soldi veneti” in Veneto c’erano e che da anni nessuno in Veneto ha pensato fosse giusto destinarli ai fiumi, agli argini, alla prevenzione, alla sicurezza delle aziende, botteghe e case. Nessun sindaco o assessore è stato eletto dopo una campagna di impegni di spesa per la protezione del territorio. Avessero fatto simili campagne e simili promesse di spese, probabilmente non sarebbero sindaci o assessori, la gente non li avrebbe votati. Se i governi locali avessero detto: non si spende per altro ma si spende per prima cosa per gli argini il consenso sarebbe stato freddo e magro. In Veneto come in ogni altra Regione d’Italia.

La seconda verità è che una rappresentanza politica e amministrativa legata al territorio e alle “radici” non sostituisce la necessità di competenze e lungimiranze. Fior di amministrazioni votate in modo plebiscitario all’insegna del “far da soli” e del “prima ai veneti” poco o nulla hanno fatto da soli e per i veneti. La terza verità è l’angustia del concetto di “concretezza” che ispira un modo di governare e ragionare. Concretezza non è solo il qui e oggi, spesso anzi è l’opposto del qui e oggi. Il “fare” non è solo fare impresa e soldi.

Ancora, ancora verità sommamente indigeste: è tutt’altro che solo questione di tasse. Non pagarle a Roma o non pagarle per nulla non salva le comunità, le condanna. Il gettito fiscale va assicurato e la gente dovrebbe volere fosse impiegato a vantaggio della collettività, del territorio. Invece la richiesta che si ascolta da anni è di “liberare” il singolo dal giogo delle tasse. C’è qualcosa non solo di antipatico ma di profondamente autolesionista nel gridare: “Oggi lo Stato ci deve dopo quaranta anni che allo Stato diamo”. Se si va a far di conto di chi ha avuto o dato nell’ultimo mezzo secolo in Italia non ci sono “innocenti”. Non è l’acqua il killer, il killer è il corto circuito logico e culturale che scatta e brucia quando si vuole che lo Stato, il collettivo, l’interesse generale resti fuori dalla porta di casa e non becchi un euro e poi quello Stato, quel “collettivo”, quell’interesse generale lo si invoca quando arriva il disastro. Il killer è far da sè senza nemmeno essere capaci di far per sè.

E neanche a Pompei il killer è l’acqua, la Casa dei Gladiatori non l’ha buttata giù un’infiltrazione in un terrapieno. Anche qui quelli che governano, amministrano e abitano queste terre sono colpevoli e complici. Ovunque nel mondo un complesso archeologico come quello di Pompei non avrebbe bisogno di un  solo euro di pubblico denaro. Pompei ovunque nel mondo sarebbe una fabbrica di cultura e di soldi. Ovunque nel mondo si manterrebbe in piedi da sola. Ma intorno agli scavi di Pompei nessuno ha speso per trasporti, parcheggi, infrastrutture turistiche degne di questo nome. Indolenza amministrativa e irresponsabilità sociale hanno da tempo condannato Pompei alla marginalità, basta tentare di andarci anche quando non piove. Nessun investimento, da decenni. E nessuna forza politica, nessun governo locale punito elettoralmente per questo. Assenteismo sul lavoro, soldi pubblici distribuiti a piccole corporazioni fameliche: questa è stata Pompei per i campani.

Veneti e campani hanno diritto oggi ai soldi veri e freschi per le aziende allagate e per la città abbandonata. Ma in entrambi i luoghi, pur così socialmente, politicamente e culturalmente diversi, quei soldi, se la politica e la gente non cambia cultura, usi e costumi, possono essere inutili e perfino dannosi. Delle aree sottosviluppate del mondo si dice: non date loro un pesce anche se soffrono la fame, date loro una canna da pesca e impareranno a pescare. In Veneto, che area sottosviluppata non è, occorre comunque una “canna da pesca”, una cultura della politica e della gente che impari e accetti a spendere non solo per la “bottega”. In Campania, isola di sottosviluppo in Occidente, la “canna da pesca” è una cultura della politica e della gente che impari ed accetti che il “soldo pubblico” è occasione e non stipendio. Ma tutti, in Veneto e Campania gridano e reclamano “pesce”, voglia di impugnare canne da pesca non si vede e forse, drammaticamente, non c’è.