Vuoi aprire un ristorante? Devi sapere l’italiano. Parola del sindaco di Verona Flavio Tosi

Giulia Cerasi*
Pubblicato il 3 Dicembre 2010 - 05:00 OLTRE 6 MESI FA

Per aprire un bar bisogna sapere l’italiano, altrimenti niente attività. Lo ha deciso Flavio Tosi, sindaco di Verona, che nel bando per l’apertura di nuovi locali in città ha posto una condizione ben precisa: avere una buona conoscenza della lingua.

“I richiedenti di nazionalità diversa dall’italiana – si legge nel bando – devono avere una buona padronanza della lingua italiana scritta e orale, che dovrà essere opportunamente documentata da attestati rilasciati da scuole o organizzazioni italiane legalmente riconosciute relativi a corsi della durata di minimo 300 ore a pena di esclusione. Il Comune si riserva la facoltà di verificare, anche mediante test, la conoscenza della lingua italiana”.

Le nuove licenze per la vendita di cibo o bevande che il Comune mette a disposizione sono 93. Ma, come deciso dalla giunta Tosi, non sono per tutti: chi non sa (bene) l’italiano è escluso.
“A Verona – denuncia il segretario provinciale del Pd Enzo D’Arienzo – la giunta Tosi sbarra la porta agli imprenditori non italiani”.

Chi vuole aprire un locale, infatti, non solo dovrà dimostrare di aver seguito corsi di italiano per almeno 300 ore, ma sarà anche sottoposto ad un test da parte dello stesso Comune, che potrà decidere se dare o meno la licenza.

“È un bando sovietico, antikebab discriminatorio e vessatorio contro gli imprenditori stranieri”. E che fa anche “pagare le licenze”. D’Arienzo non solo accusa il sindaco leghista e la sua giunta di discriminazione nei confronti degli immigrati, ma arriva addirittura a rimproverare l’amministrazione comunale di “eccessivo dirigismo” di stampo sovietico, oltre che di aver aumentato di fatto le tasse.

“Da quando la conoscenza della lingua è un requisito morale e professionale? – continua D’Arienzo – È europea la prescrizione che un inglese o un tedesco devono avere una ‘buona padronanza’ della lingua italiana? Accecati dagli extracomunitari, non si sono accorti che avrebbero danneggiato tutti gli stranieri. A Verona la giunta sbarra la porta agli imprenditori non italiani – protesta il segretario del Pd – Si concedono queste licenze a chi abita in centro città, a chi non aprirà un kebab e paga fino a 10 mila euro. Ottenere la licenza è peggio delle forche caudine”.

Ma il primo cittadino di Verona non ci sta e risponde per le rime. “L’unico accecato che confonde un provvedimento razionale per il “non passa lo straniero” è D’Arienzo – controbatte Tosi – . Il bando non è la linea del Piave del 1917. Pretendere che nella quarta città turistica d’Italia i titolari di pubblici esercizi conoscano almeno la lingua italiana mi pare il requisito minimo richiesto dal buon senso”.

Flavio Tosi, sindaco di Verona

“D’altra parte – contrattacca il sindaco – credo che anche a D’Arienzo, dipendente statale, sia stata richiesta la conoscenza della lingua italiana senza che sollevasse per questo alcuna protesta contro la xenofobia. Verona è piena di residenti stranieri che, da qualunque parte del mondo provengano, per poter lavorare e integrarsi devono conoscere l’italiano anche se non glielo chiede il Comune”.

A far discutere non è solo la conoscenza dell’italiano, ma anche la cifra d’ingresso richiesta dal bando. “Per il rilascio di ogni autorizzazione – si legge nel bando – è previsto un contributo a carico degli assegnatari di euro: 10.000,00 per la sottozona 1/1; 5.000,00 per le sottozone 1/2 e 1/3; 3.000,00 per la zona 2”. Questa è, di fatto, una “reintroduzione del pagamento delle licenze, che l’allora ministro Bersani aveva eliminato con la loro liberalizzazione”, denuncia il Pd, che la definisce “clamorosa”.

Ma anche su questo punto Tosi ribatte: “La cifra d’ingresso richiesta dal bando è decisamente contenuta, perché il valore del rimborso parziale delle spese sostenute dall’Amministrazione comunale per gli esercizi commerciali (pulizie stradali aggiuntive, vigilanza della Polizia Municipale ecc.) è un costo standard, comunque inferiore al valore attuale di subentro delle licenze a Verona”, spiega il sindaco leghista.

Il Partito democratico però non molla e definisce “sovietico” il bando comunale perché contiene un insieme di condizioni discriminatorie, tra cui la ‘priorità’ riconosciuta a chi risiede a Verona da almeno tre anni. “Il libero mercato è un optional – conclude D’Arienzo – La libera iniziativa imprenditoriale, fonte vitale per il Nordest, si ferma ai confini della città: i residenti del capoluogo sono privilegiati rispetto a tutti gli altri veronesi, per non parlare dei ‘foresti’ ai quali si impone la conoscenza dell’italiano, scritto e orale, seguendo un corso di minimo 300 ore. Non solo: il Comune può fare anche esami appositi”.

*Scuola di Giornalismo Luiss