Honduras/ Tutta l’America Latina si schiera contro il golpe militare in una rara manifestazione di unità

di Licinio Germini
Pubblicato il 29 Giugno 2009 - 18:08 OLTRE 6 MESI FA

Al di là dei loro disparati orientamenti politici, tutti i governi dell’emisfero occidentale si sono uniti nel condannare il golpe militare che domenica ha esautorato il presidente dell’Honduras Manuel Zelaya.

Pur dimostrando, in linea di principio, una rara comunità di intenti, allo stesso tempo, il tono e il contenuto delle varie dichiarazioni spazia dalla contenuta reazione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama alla minaccia militare espressa dal presidente venezuelano Hugo Chavez. Così, rivelando e un po’ anche celando le spaccature tra i vari governi, più o meno democratici, della regione.

Da una parte ci sono paesi come il Venezuela, la Bolivia e l’Ecuador, i cui elettori hanno dato più poteri ai loro populisti presidenti, prolungando il loro mandato ed erodendo le funzioni del Congresso e della Corte Suprema, istituzioni alleate delle vecchie oligarchie.

Dall’altra parte ci sono Paesi di varia colorazione politica e ideologica, incluso il Brasile, la nazione oggi emergente dell’America Latina, dove le istituzioni hanno resistito o consentito una maggiore varietà di figure politiche, rifiutando la cosiddetta democrazia partecipativa che Chavez sta cercando di esportare nella regione.

Zelaya ha spinto le tensioni con quelle istituzioni oltre il limite convocando un referendum per estenere il suo mandato, che scade nel 2010. Così,la Corte Suprema honduregna ha dato la sua benedizione ai militari che hanno rimosso il presidente affermando che essi hanno agito secondo la costituzione.

Ma la copertura data dalla Corte Suprema honduregna non ha dissuaso dal condannare il golpe gli altri paesi, in particolare Cile, Argentina e Brasile, dove restano vivi i ricordi degli abusi contro i diritti umani commessi dai militari che rovesciarono i governi civili negli anni sessanta e settanta.

‘L’idea che i militari siano coinvolti nell’estromissione di Zelaya è anatema in tutta la regione”, ha dichiarato Peter Hakim, presidente dell’Inter-American Dialogue, un’associazione di Washington che si occupa dei problemi dell’America Latina.

E Augusto Ramirez Ocampo, ex-primo ministro della Colombia, ha dichiarato che ‘ ‘che gli Stati Uniti hanno l’obbligo legale di restaurare la democrazia in Honduras.

In effetti, l’amministrazione Usa si è comportata diversamente rispetto ad altri analoghi avvenimenti. Già domenica sera funzionari della Casa Bianca hanno dichiarato di aver parlato con Zelaya in Costa Rica, dove è stato trasportato dai militari honduregni, assicurandogli il suo ritorno in Honduras, sebbene i rapporti di Zelaya con Washington siano diventati freddi dopo che l’Honduras è diventato membro della Bolivarian Alternative for the Americas, una alleanza di sinistra guidata dal Venezuela.

La bonarietà della Casa Bianca è stata ben diversa rispetto ai tempi del tentato golpe in Venezuela, quando l’allora presidente George Bush accusò Chavez di essere stato la causa della sua stessa rovina e negò qualsiasi coinvolgimento della Cia, che di fatto era al corrente di quanto stava per accadere già il giorno prima.

La situazione in Honduras è reso molto complessa perché, alla base del golpe,c’è uno scontro sullo sfruttamento delle risorse del paese, che si impasta in modo assai intricato con i giochi degli interessi internazionali e con le regole della legalità formale.

La parte del torto per Zelaya è che cercava una forzatura della costituzione, cercava l’appoggio del militari, se li è messi contro licenziando il loro capo che non voleva aiutarlo. Anche la vicinanza a Chavez, assunto a modello, non depone certo molto a favore di Zelaya presso gli americani, che vedono gli interessi delle loro grandi multinazionali minacciati dallo stile del presidente venezuelano. I dubbi che poi chiunque vada al governo, come è stato sempre, pensi soprattutto agli interessi della sua parte e suoi propri personali  completano il quadro sul lato negativo.

La situazione dell’Honduras, però, fa urlare per una richiesta di cambiamento. Scrive un sito italiano, Giornalismo partecipativo, di Gennaro Carotenuto, che segue da vicino le vicende dell’America Latina e ha contatti diretti nel paese: “Perché il referendum di oggi abbia provocato addirittura un golpe è presto detto: sarà una pietra miliare nella storia del paese. In Honduras infatti ben il 30% del territorio nazionale è stato alienato a imprese straniere, soprattutto dei settori minerari e idrici. Le multinazionali quasi non pagano tasse in un paese dove tre quarti della popolazione vive in povertà. Così l’opposizione, al solo odore di una nuova Costituzione che affermi che per esempio l’acqua è un bene comune e che imponga per lo meno un sistema fiscale che permetta processi redistributivi, è disposta a spezzare il simulacro di democrazia rappresentativa che evidentemente considera utile solo quando sono i poteri di sempre a comandare”.

L’Honduras è uno dei paesi più poveri del mondo, al 131.mo posto del prodotto pro capite, che risulta di 74o dollari; eppure è grande un terzo dell’Italia, anche se è abitato da soli sette milioni di persone e da tante tante foreste. È devastato dal 20% di inflazione.

Gli Stati Uniti sono dominanti:oltre il 70% delle esportazioni va negli Usa, dagli Usa viene il 40 per cento dei turisti.

Queste poche notizie illuminano anche i problemi di Obama: è di sinistra, e non può che esere simpatetico verso la causa dei poveri honduregni; ma è americano, e gli interessi americani, sia complessivi del paese sia specifici delle grandi corporations, sono in gioco.