Usa, il paradosso della riforma sanitaria di Obama: gli americani ne hanno bisogno ma non ne sono sicuri

di Licinio Germini
Pubblicato il 24 Luglio 2009 - 15:45| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Harry e Louise, due personaggi fittizi, in una martellante campagna televisiva, spot dopo spot, nel 1994 riuscirono a convincere gli americani che un servizio sanitario pubblico non s’aveva da fare. Quell’insuccesso contribuì al declino di Bill Clinton e di sua moglie Hillary, ideatrice e focosa sostenitrice della riforma. Ora che Barack Obama sembra avere imboccato in modo risoluto la stessa strada, o una molto simile, gli oppositori (le assicurazioni e i grandi ospedali privati) hanno lanciato nuovamente una controffensiva dal piccolo schermo con spot che ridicolizzano i sistemi sanitari inglese e canadese (entrambi pubblici, a costo zero per il cittadino) puntando sulle liste di attese interminabili, i farmaci biologici dati con il contagocce e altre delizie. Ma il deficit del mercato-sanità americano è arrivato ad un tale livello di implosione, complice la crisi, da rendere inevitabile un qualche piano di ”salute garantita”, cosa non riuscita, peraltro, né a Franklin Roosevelt nel 1935 né a Harry Truman nel ’45.

Nonostante che 47 milioni di americani non hanno alcuna forma di assistenza sanitaria, il progetto di Obama di dare agli Stati Uniti forme di assistenza simili a quelle in vigore in Europa lascia perplessa la metà della popolazione. E non solo. Il presidente deve vedersela anche con un Congresso dove le voci contrarie alla riforma non provengono solo dai repubblicani – contrari per principio, interesse e per assestare ad Obama una bruciante sconfitta politica – ma anche da una parte dei democratici, in specie quelli conservatori del sud, i quali temono che il costo della estensione a tutti gli americani della copertura sanitaria possa pesare troppo profondamente sul deficit federale, già tartassato dalla crisi economica.

Gli scettici riguardo alla riforma sostengono che in essa ci sono ancora troppi punti oscuri, nonostante i chiarimenti forniti da Obama nel suo discorso di mercoledi sull’argomento. Molti temono che la riforma comporterà anche un aumento dei controlli governativi, e quindi un minor numero di libere scelte, tasto molto sensibile negli Stati Uniti, dove l’intrusione del governo federale nell’amministrazione dei singoli stati è vista come fumo negli occhi. Rowena Ventura, un’operaia di Cleveland senza assistenza sanitaria si chiede se potrà permettersi di pagare l’assistenza proposta dal governo, e ha dichiarato al New York Times: «Sono preoccupata perchè sento dire che la gente sarà costretta a comprare questa assicurazione, ed io non potrei certo permettermelo». E aggiunge: «Obama dice che le assicurazioni private continueranno ad esistere, ma poi le indica come parte del problema dell’assistenza sanitaria in questo Paese. A me pare un ridicolo controsenso».

Non sono convinti neanche i proprietari di piccole e medie imprese, i quali temono che Washington finirà per tassare l’assistenza sanitaria che pagano ai loro dipendenti, e prospettiva ancor più terribile, che il Congresso aumenterà la loro pressione fiscale per un progetto che secondo le stime correnti costerà migliaia di miliardi di dollari. Lo stesso discorso del presidente non sembra essere stato accolto in maniera convincente. Gli americani sembrano non fidarsi e molti credono che gli venga chiesto di comprare qualcosa chiuso in un sacchetto di tela dentro al quale non gli è ancora consentito di guardare bene. Molti sono rimasti perplessi da una parte del discorso presidenziale in cui Obama ha detto che la gente «dovrà smetterla di pagare per cose di cui non ha bisogno».  Pronta la sardonica replica di Craig Brown, sposato e padre di 4 figli, classe media, al Washington Post: «Vuol dire che non devo rinunciare a cose che ho già»? Diffidenze economiche quindi, ma anche di carattere politico. L’estensione a tutti dell’assistenza sanitaria sul modello, per esempio, della Gran Bretagna (dove non funziona un granché bene), per molti americani ricorda troppo da vicino il socialismo, anatema negli Stati Uniti.

Ma quali sono i punti fondamenali della ”Obamacare”, come comincia a venire chiamata? Il primo passo è l’estensione a tutti fino ai 18 anni dell’assistenza sanitaria gratuita (l’assicurazione deve essere coperta dai genitori, e in caso di loro impossibilità a farlo, dallo Stato) finora riservata ad alcune categorie di poveri, con il Medicaid, ed agli anziani, col Medicare, programmi nati entrambi nel 1965. Un progetto, questo, che si mangerà buona parte dei 634 miliardi di dollari già stanziati.

Ma il piatto forte è un nuovo programma pubblico, il New National Health Plan, una sorta di polizza di Stato, più vantaggiosa di quella offerta dalle assicurazioni, che non attua discriminazioni o sovraprezzi per diabetici, obesi, sieropositivi e quant’altro. La polizza è rivolta, ovviamente, a chi non ha copertura sanitaria dalle imprese e non può accedere al Medicaid. Un meccanismo che, se decolla, dovrebbe creare un progressivo consenso intorno ad una idea del tutto nuova per gli Stati Uniti: che chiunque abbia diritto ad essere curato, indipendentemente dal fatto che paghi e ”possa” farlo. E lo strapotere delle assicurazioni? Nel programma di Obama c’è anche l’istituzione di un organismo, il New National Insurance Exchange, che avrà il compito di stabilire parametri di qualità, efficienza ed equità cui le compagnie devono aderire: le condizioni di salute non devono diventare una discriminante.