Chiuso anche YouTube, il Pakistan va alla guerra contro internet

Pubblicato il 21 Maggio 2010 - 10:25 OLTRE 6 MESI FA

Le autorità pakistane hanno ampliato quello che è cominciato come un bando del sito di social networking Facebook estendendo il provvedimento anche a YouTube e a 450 pagine individuali del web con l’accusa di contenere ”sempre più contenti sacrileghi”, a quanto informa il New York Times.

L’Autorità per le Comunicazioni Pakistana ha bloccato YouTube dopo che una sua commissione di controllo ha deciso che il ”materiale oltraggioso” sta aumentando, a quanto dichiarato da un portavoce, Khurram Mehran. Riguardo a YouTube, ha detto, ”in un primo tempo ci limitavamo a bloccare i links, ma quando il contenuto opinabile è aumentato a dismisura abbiamo deciso di bloccare  l’intero sito web”.

Il provvedimento, che riguarda anche certe pagine di Flickr e Wikipedia, ha avuto luogo un giorno dopo di bloccare Facebook per ordine di un tribunale pakistano. Un gruppo di avvovati islamici ha argomentato davanti al giudice che un concorso di caricature di Maometto era offensivo. Di fatto, alcuni islamici considerano blasfemo qualsiasi rappresentazione grafica di Maometto.

Secondo il New York Times, il blocco dei siti dimostra il potere che tegono in mano gruppi di islamici estremisti in Pakistan. Sebbene essi raccolgano pochi voti alle elezioni e siano una minoranza della popolazione pakistana, questi gruppi sono spesso in grado di imporre il loro volere sulla più pacifica maggioranza invocando la difesa dell’Islam.

I siti di social networking sono molto popolari in Pakistan, che ha una popolazione di 170 milioni di persone, il 65 per cento delle quali sotto i 25 anni d’età, secondo Adnan Rehmat, un analista mediatico di Islamabad. L’Autorità per le Telecomunicazioni Pakistana ha affermato che il bando ”è coerente con la costituzione del Pakistan e i desideri del popolo pakistano”.

In un primo tempo si era capito che il bando sarebbe rimasto in vigore fino al 31 maggio, ma il portavoce Mehran ha precisato venerdi che durerà fino a quando i provider dei siti non elimineranno ”tutto il materiale offensivo”.

Scott Rubin, un portavoce di YouTube, che è di proprietà di Google, ha dichiarato che la compagnia sta investigando i motivi del bando ed ha espress la speranza che il sito possa riprendere a funzionare quanto prima.