“La vittoria del partito superstite”, Luca Ricolfi sulla Stampa

Pubblicato il 30 Novembre 2012 - 15:02 OLTRE 6 MESI FA
Domenica 2 dicembre si vota per il ballottaggio delle primarie del centrosinistra (Foto Lapresse)

ROMA –  A due giorni dal ballottaggio delle primarie del centrosinistra tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani Luca Ricolfi sottolinea, in un editoriale pubblicato sulla Stampa, i punti che oggi si possono considerare comunque raggiunti, al di là delle vincitore del voto.

Ricolfi racconta di un Paese in cui il mondo politico è un “incredibile cimitero di rovine”, in cui, tra nuovi protagonisti come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, e l’autodistruzione di protagonisti vecchi come Silvio Berlusconi e il Pdl, l’unico “monumento della seconda Repubblica che ha saputo sopravvivere al terremoto che il ceto politico ha provocato a sé stesso” è proprio il Partito democratico.

Domenica sera sapremo chi, fra Bersani e Renzi, sarà il candidato premier del centro sinistra. E forse sapremo anche chi ci governerà nei prossimi anni, visto che la coalizione guidata dal Partito democratico ha buone possibilità di vincere le elezioni, né possiamo escludere che, oltre a vincere le elezioni, riesca persino a formare un governo. Si capisce dunque il clima surriscaldato di questi giorni, un clima che si è fatto rovente soprattutto intorno a due nodi.

 Primo nodo: il centro-sinistra prenderebbe più voti con Renzi o con Bersani? Quasi tutti i protagonisti ritengono di saperlo, ma nessuno lo sa veramente. Secondo alcuni Renzi porterebbe al centro-sinistra diversi milioni di elettori disgustati dalla politica e/o delusi dal centro-destra, secondo altri provocherebbe la spaccatura del centro-sinistra e la nascita di un raggruppamento politico alla sinistra del Pd. Probabilmente succederebbero entrambe le cose, visto che Renzi è detestato da una parte dei suoi stessi compagni di partito, ma è impossibile stabilire se il saldo fra voti persi e voti conquistati sarebbe positivo o negativo.

 Secondo nodo: l’accesso al ballottaggio. Vedremo come evolveranno le cose nelle prossime ore, ma quello che è evidente fin da adesso è che, limitando la partecipazione al ballottaggio di domenica prossima, l’apparato del Pd sta pagando un prezzo piuttosto alto per garantire l’affermazione del suo segretario. L’idea che per accedere al secondo turno si debba portare una «giustificazione» (come a scuola!), e che ci sia un organismo politico (il «Coordinamento Provinciale delle Primarie Italia Bene Comune», in pratica i funzionari del Pd) deputato a vagliare se la giustificazione è valida oppure no, è semplicemente grottesca, un buffo riflesso burocratico-stalinista che rischia di ritorcersi contro chi l’ha inventato. Perché è vero che chiudere l’accesso al ballottaggio avvantaggia Bersani, che ha già vinto al primo turno, ma è anche vero che, sul piano simbolico, avvantaggia Renzi, se non altro perché mostra di che pasta sono gli apparati per la cui rottamazione il sindaco di Firenze si batte. Senza contare la reazione di chi, escluso dal ballottaggio, negherà il suo voto al Pd alle elezioni vere, un sentimento e un’intenzione che ho già avvertito da più parti.

 L’attenzione del pubblico e dei media su questi due nodi, tuttavia, rischia di non farci cogliere la straordinaria trasformazione del paesaggio politico che – in questi mesi – si sta producendo sotto i nostri occhi. Non solo la nascita di protagonisti nuovi (Grillo e il Movimento cinque stelle) e l’autodistruzione di protagonisti vecchi (Berlusconi e il Pdl), ma la vera e propria mutazione che sta scuotendo il maggior partito della sinistra. La sfida di Renzi, anche se dovesse terminare domenica con una sconfitta, sta cambiando e cambierà definitivamente il Pd. Dopo quella sfida, e grazie a quella sfida, il Pd avrà per la prima volta – accanto alla componente socialdemocratica tuttora maggioritaria – una componente liberalsocialista o di «sinistra liberale» di peso politico non trascurabile. Il Pd del futuro non sarà più un partito diviso fra comunisti e cattolici, o fra massimalisti e ortodossi, ma un partito in cui la componente socialdemocratica (oggi ben rappresentata da Bersani) e quella liberaldemocratica (oggi ben rappresentata da Renzi) competeranno per la guida del partito.

Il processo non è ancora compiuto, perché la componente liberale sta prendendo forma e coraggio solo in questi mesi, e quella socialdemocratica non è ancora pienamente tale: se lo fosse Renzi non verrebbe trattato da tanti compagni e compagne di partito come un traditore, un emissario del nemico, un corpo estraneo, o un ospite indesiderato. Ma la direzione di marcia è questa, ed è piuttosto veloce, a giudicare dai consensi che Renzi ha conquistato in pochi mesi (…).