Stefanaconi (Calabria), parroco e maresciallo a fianco della ‘ndrangheta

di redazione Blitz
Pubblicato il 28 Marzo 2014 - 12:22 OLTRE 6 MESI FA
Informava la cosca delle intercettazioni ambientali e telefoniche in atto e avvisava i boss di imminenti perquisizioni. Lo conferma un altro pentito, Daniele Bono, che risponde affermativamente alla domanda del pm Simona Rossi: «Ho capito bene che il prete è venuto a casa di Pino Patania e gli ha detto: “Vedi che ti devono fare una perquisizione”?». Il pentito: «Ha capito bene».

La processione dell’Affruntata a Stefanaconi (Immagini d’archivio)

CATANZARO – L’accusa di un pentito è: a Stefanaconi, in provincia di Vibo Valentia, parroco e maresciallo erano al fianco della ‘ndrangheta. Sempre secondo le parole riportate da La Stampa, quella che apparentemente poteva sembrare una fervente “vocazione e devozione religiosa”, sarebbe stata una prova del potere assoluto che la cosca dei Patania esercitava sul territorio. Almeno stando a quanto emerso dalle indagini della Dda di Catanzaro che hanno portato al fermo di dieci esponenti del clan dei Patania e dell’ex maresciallo dei carabinieri Sebastiano Cannizzaro. La Procura si è invece fermata di fronte all’uomo di Chiesa, don Salvatore Santaguita, che è stato allontanato dalla sua parrocchia e nominato Priore di Pizzo Calabro.

A raccontare tutto è stata la collaboratrice di giustizia Loredana Patania, nipote del boss di Stefanaconi. Il clan, secondo la pentita, non solo gestiva gli affari illeciti ma aveva anche il controllo assoluto di alcune processioni religiose, decidendo persino l’itinerario delle sacre effigi dei santi.

I Patania sono da anni impegnati in una faida contro la fazione dei Piscopisani, che insanguina Vibo Valentia, Stefanaconi e la vicina Sant’Onofrio. Secondo le dichiarazioni della pentita, il parroco avrebbe avuto un ruolo cruciale fornendo informazioni alla cosca attraverso l’ex maresciallo dei carabinieri.

E’ tradizione che a Stefanaconi la mattina del giorno di Pasqua si svolga la processione dell’Affruntata, la sacra rappresentazione della rivelazione del Cristo alla Madonna dopo la Resurrezione. Nella processione c’è la statua di San Giovanni che, nell’ immaginario collettivo e nella ricostruzione degli inquirenti, simboleggia la “detenzione del potere mafioso”. Il boss Fortunato Patania, ritenuto il capo dell’omonima cosca, ucciso nel settembre del 2011 nella suddetta faida tra le cosche vibonesi, avrebbe sempre finanziato la processione decidendo chi doveva portare a spalla la statua di San Giovanni.

Nel corso delle indagini sono stati raccolti i filmati delle processioni del 2009 e del 2010 dalle quali si evince che le nuove leve ed i vertici della cosca avevano il “potere assoluto” di decidere sull’andamento della rappresentazione religiosa. Guido Ruotolo, sul quotidiano la Stampa, riporta ampi stralci delle dichiarazioni di Loredana Patania:

“Non risponde al vero che il parroco Santaguida abbia escluso membri della ’ndrangheta dalla processione dell’Affruntata, che si tiene nel giorno di Pasqua a Stefanaconi. Da sempre mio zio Fortunato Patania (il boss, ndr) fino alla sua morte ha finanziato tale processione. Inoltre, esponenti del gruppo Franzé, nonché della cosca Patania hanno sempre portato i santi, nella suddetta processione. In particolare, le nuove leve della cosca Patania dovevano, obbligatoriamente, portare San Giovanni, il quale non poteva essere trasportato da soggetti estranei alla cosca”

Ma non è tutto. La famiglia Patania, sempre secondo l’accusa, controllava anche la festa di Sant’Antonio nella chiesa della frazione Sant’Angelo di Gerocarne (Vibo Valentia). Nel 2011, prima che Patania fosse ucciso, il parroco della chiesa decise di cambiare le modalità di svolgimento della festa. La decisione del sacerdote, emergerebbe dalle indagini, scatenò i malumori del boss che in passato aveva sempre deciso e gestito l’organizzazione della festa. Il parroco subì così un’intimidazione: gli tagliarono le gomme dell’auto. Successivamente Fortunato Patania, insieme ad altri esponenti del suo clan, si sarebbe presentato dal parroco con fare minaccioso, pronunciando queste parole: “Non mi toccate la festa sennò ve la facciamo pagare”.

Lo strapotere della cosca, sempre secondo gli inquirenti, si estendeva anche alle istituzioni tanto che in occasione dell’omicidio di Fortunato Patania il Comune di Stefanaconi fece affiggere un manifesto col quale esprimeva la propria partecipazione al “dolore che ha colpito la famiglia per la perdita del caro Fortunato”.

Le indagini della Dda hanno consentito di ricostruire l’assetto della cosca e di individuare i responsabili di una serie di reati come l’usura e le estorsioni. In questo ambito si sarebbe inserito il ruolo dell’ex maresciallo dei carabinieri Cannizzaro, il quale avrebbe aiutato i Patania fornendo loro supporto e rivelando segreti investigativi.

Lo scambio di informazioni, secondo quanto ricostruito, avveniva pressapoco così:

“Erano Giuseppe Pataniae la madre Giuseppina Iacopetta – racconta la pentita – che si occupavano di identificare veicoli sconosciuti o comunque sospetti circolanti nel comune di Stefanaconi, annotando, in prima persona, le targhe dei mezzi che venivano fornite al parroco Santaguida, onde ricevere da questi i relativi intestatari per il tramite del comandante della stazione dei carabinieri”

Ma non solo. Don Santaguida, secondo un altro pentito, Daniele Bono, avrebbe informato la cosca delle intercettazioni ambientali e telefoniche in atto e avvisato i boss di imminenti perquisizioni. Loredana precisa però che il parroco fosse costretto e sotto ricatto.