‘Ndrangheta: 22 arresti tra Piemonte e Calabria, sequestrati 230 mln €

Pubblicato il 23 Ottobre 2012 - 11:40 OLTRE 6 MESI FA
‘Ndrangheta: 22 arresti tra Piemonte e Calabria, sequestrati 230 mln €

TORINO –  Una maxi operazione contro la ‘ndrangheta ha permesso l’arresto di 22 persone tra Piemonte e Calabria. Il gip di Torino ha inoltre ordinato 40 perquisizioni e sequestro di beni per 230 milioni di euro. Tra i beni sequestrati anche le quote societarie di due noti alberghi della zona.

Le accuse per gli arrestati, ritenuti affiliati alla ‘ndrangheta, vanno da associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illegale di armi, estorsione, ricettazione e altro.

L’operazione condotta dai carabinieri, denominata ‘Colpo di coda’, riguarda le presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nella zona di Chivasso, in provincia di Torino, dove di recente 4 pregiudicati sono stati raggiunti da colpi d’arma da fuoco.

GLI ARRESTI – In alcuni passaggi dell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip Giuseppe Salerno su richiesta del procuratore aggiunto Sandro Ausiello e dei suoi sostituti Roberto Sparagna e Monica Abbatecola, sono riportati rapporti tra una locale cellula della ‘ndrangheta e il mondo politico della zona.

IL ‘MINOTAURO’ – L’anno scorso in Provincia di Torino furono arrestate 146 persone per concorso in associazione mafiosa nella cosiddetta operazione ‘Minotauro’. Successivamente furono sciolte per infiltrazioni mafiose le amministrazioni comunali di Leini, il cui ex sindaco Nevio Coral era tra gli arrestati, e Rivarolo Canavese. Il processo di primo grado, avvenuto con rito abbreviato, si è concluso con 58 condanne e 14 assoluzioni. Per altre 75 persone è in corso il dibattimento con rito ordinario.

GLI HOTEL – Il Grand Hotel de la Ville, uno dei più noti alberghi della Calabria, e il Plaza, entrambi a Villa San Giovanni, sono gli alberghi di cui sono state sequestrate le quote societarie nell’ambito dell’operazione condotta all’alba da guardia di finanza, Dia e carabinieri per il sequestro di beni per 230 milioni di euro.

I beni, secondo l’accusa, sono riconducibili ai noti imprenditori reggini Pasquale Rappoccio e Pietro Siclari, di 56 e 65 anni, entrambi già detenuti dopo essere stati arrestati nell’ottobre dello scorso anno nell’operazione Reggio Nord condotta dai carabinieri con l’accusa di avere riciclato i soldi della cosca Condello nell’acquisto di attività economiche.

In particolare, secondo la Dda i due avrebbero acquistato l’attività commerciale Il Limoneto, a Catona di Reggio Calabria, comprendente un albergo ed una discoteca, che sarebbe stata controllata in modo occulto dal boss Domenico Condello, arrestato il 10 ottobre scorso dopo 21 anni di latitanza, e dal cognato Bruno Tegano.

Siclari era già detenuto perché coinvolto in un’altra operazione portata a termine dalla Dia nel novembre del 2010 sui rapporti tra cosche ed imprenditoria. Rappoccio è un imprenditore noto a Reggio Calabria, rappresentante dell’impresa Medinex per la fornitura di medicinali e condannato, il 6 ottobre scorso, ad un anno e quattro mesi di reclusione dal Tribunale di Locri per presunti illeciti in alcuni appalti da parte dell’Azienda sanitaria di Locri.

L’inchiesta che ha portato al sequestro dei beni eseguito il 23 ottobre, coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dai pm Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino, è nata in seguito all’arresto dei due imprenditori. I successivi accertamenti patrimoniali effettuati da guardia di finanza e Dia hanno portato a ricostruire il capitale dei due.

Prestipino ha detto: “Quello eseguito stamani è un provvedimento importante perché colpisce il patrimonio illecitamente accumulato da due imprenditori che, come ha motivatamente sottolineato il Tribunale di Reggio Calabria, hanno operato per lungo tempo in relazione trasversale con diverse potenti famiglie della ‘ndrangheta reggina e sotto la loro protezione. Questo provvedimento – ha aggiunto il magistrato – dimostra che qualsiasi forma di contiguità penalmente rilevante con la ‘ndrangheta può essere individuata, possono essere accertate le relative responsabilità e possono essere sequestrati i beni la cui accumulazione da tale contiguità deriva. Dimostra ancora che la scelta della collusione e del facile arricchimento illecito alla fine non conviene”.