Isis in casa: come il Kosovo è diventato trampolino jihad

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Maggio 2016 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Isis in casa: come il Kosovo è diventato trampolino jihad

Isis in casa: come il Kosovo è diventato trampolino jihad

ROMA – Isis in casa: come il Kosovo è diventato trampolino jihad. Chierici estremisti e associazioni schermate da innocue sigle di charity e solidarietà finanziati dai miliardi dell’Arabia Saudita e di altri stati del Golfo Persico hanno trasformato quella che era una tollerante società musulmana nel fronte più aggressivo del fondamentalismo armato nel cuore dell’Europa.

A Pristina, la capitale del Kosovo, ogni venerdì, giusto a qualche metro di distanza dalla statua di Bill Clinton, centinaia di giovani barbuti festanti offrono lo spettacolo di una preghiera e un inginocchiamento collettivo sul marciapiede antistante l’improvvisata moschea all’interno di un ex mobilificio. Comincia così la ricognizione di Carlotta Gall del New York Times per capire come il paese musulmano più filo americano del pianeta – una eccezione di cui proprio Bill Clinton è responsabile con i bombardamenti Nato alle postazioni serbe nel 1999 – sia diventato un avamposto delle ideologie foondamentaliste  wahhabite e salafite.

Negli ultimi due anni ha individuato 314 kosovari tra le fila dei foreign fighter reclutati per andare a combattere in Siria e Iraq per difendere lo Stato Islamico nel Califfato del terrore. Tra questi 44 donne e 28 bambini, e il discutibile primato di maggior numero di combattenti pro-capite in Europa. In questi due anni la Polizia ha messo sotto accusa 67 persone, arrestato 14 imam e chiuso 19 organizzazioni islamiche per aver agito in contrasto con la Costituzione, incitamento all’odio e reclutamento di terroristi.

Dopo la guerra le Nazioni Unite amministrarono il territorio mentre le truppe americane si incaricarono di assicurare pace e stabilità. Giunsero anche i Sauditi, portando con sé milioni di euro di aiuto alla nazione martoriata dal conflitto. Ma mente gli americani provavano a instaurare una nuova democrazia, i sauditi colsero l’opportunità di una nuova terra dove diffondere il wahhabismo. Una operazione eminentemente culturale: non ci sono prove che abbiano mai finanziato il reclutamento di terroristi, il denaro è servito a foraggiare chierici e intellettuali capaci di attrarre le masse per scatenare violenza e guerra santa a difesa dell’Islam sotto attacco.

Una strategia di lungo termine confermata anche dalle carte di Wikileaks che hanno rivelato un complesso sistema di finanziamento di moschee, centri islamici, chierici addestrati in Arabia Saudita, in lungo e in largo tra Asia, Africa e Europa: nella sola Nuova Delhy, 140 predicatori islamici erano a libro paga del consolato saudita in India.