Pensioni d’oro. Pietro Ichino: contributi, distinguere chi ha versato e chi meno

Pubblicato il 15 Agosto 2013 - 07:36 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni d'oro. Pietro Ichino: contributi, distinguere chi ha versato e chi meno

Pensioni d’oro. Pietro Ichino: contributi, distinguere chi ha versato e chi meno

ROMA – Una parola precisa e informata sulle “pensioni d’oro” viene da Pietro Ichino e l’ha pubblicata, sotto forma di lettera, dal Corriere della Sera.

Ci sono, scrive Pietro Ichino, due tipi di «pensioni d’oro». Essi sono

molto diversi tra loro e se non mettiamo a fuoco la differenza tra i due tipi, la battaglia contro le rendite indebite è destinata a nuove sconfitte, come quella subita ultimamente davanti alla Corte costituzionale: la quale ha ritenuto incostituzionale il «contributo straordinario» del cinque per cento che il Governo Monti aveva imposto sulle pensioni superiori a 90.000 euro annui (dieci per cento su quelle superiori ai 150.000).

Tipo di pensione “d’oro” numero 1. Il pensionato

“percepisce una pensione molto elevata perché per tutta la propria vita lavorativa ha percepito retribuzioni molto elevate, e ha versato contributi previdenziali in proporzione. In questo caso, la «pensione d’oro» non è altro che una porzione, differita nel tempo, della «retribuzione d’oro» che l’ha generata.

“Se il signor Rossi ha la capacità di aumentare del dieci per cento la produttività dei mille dipendenti di un’impresa, è interesse anche di questi ultimi che l’impresa stessa ingaggi il signor Rossi pagandolo un milione all’anno. Staranno meglio sia i mille dipendenti, sia gli azionisti, sia i contribuenti”.

Qui Ichino si infila in un vicolo un po’ oscuro che è poi uno dei grandi limiti della sinistra in Italia:

“Il problema dell’enorme disparità di reddito che così si determina, e dell’«obbligo di restituzione» che ne deriva, non è di natura giuridica, ma di natura esclusivamente morale e riguarda soltanto il signor Rossi e la sua coscienza”.

 

Perché ne parla a proposito di un dipendente, ancorche ad alto o altissimo livello? Perché non considera gli stessi obblighi morali per i grandi padroni, magari quello che pontificano in Italia e tengono i loro capitali ben occultati all’estero?

Il ragionamento rientra sui binari corretti:

“Se poi su quel milione di euro ogni anno per trent’anni vengono versati 330 mila euro di contributi all’Inps, non c’è proprio niente di male nel fatto che, quando il signor Rossi va in pensione, l’Inps calcoli sulla base di quella ingente contribuzione la parte del suo trattamento maturata in quei trent’anni: si tratta solo di una restituzione.

Lo Stato dal canto suo preleva il 45 per cento a titolo di Irpef, come su tutti i redditi personali di quell’entità: questo dice la Corte costituzionale; se poi lo Stato ritiene che questa aliquota sia troppo bassa, la aumenti per tutti. Effettivamente, non si vede il motivo per cui il signor Rossi dovrebbe essere penalizzato più di chiunque altro abbia un reddito dello stesso livello, solo perché il suo è costituito da una retribuzione differita”.

Tipo di pensione “d’oro” numero 2.  Il pensionato

“ha avuto la retribuzione di un milione di euro soltanto negli ultimi dieci della sua vita lavorativa, ma la sua pensione è stata calcolata per intero in proporzione alla retribuzione e contribuzione di quell’ultimo decennio. In questo caso, il signor Rossi si è effettivamente guadagnato soltanto un terzo o un quarto della pensione d’oro che gli viene erogata, mentre la parte restante è sostanzialmente regalata.

“Questo si chiama «sistema retributivo» di calcolo della pensione; ed è quello che è stato in vigorefino alla riforma Monti-Fornero del dicembre 2011, per tutti i fortunati che hanno incominciato a lavorare e versare contributi previdenziali prima del 1978 (cioè per la generazione di quelli che oggi hanno cinquanta o sessant’anni)”,

[ma non per tutte le categorie] .

“Questa è la parte della pensione non effettivamente guadagnata; la differenza tra la pensione calcolata in proporzione alle ultime retribuzioni e quella calcolata in stretta proporzione ai contributi versati nel corso di tutta la vita lavorativa. Su questa differenza può e deve applicarsi un contributo straordinario, che, applicandosi solo su questa parte, può essere determinato anche in misura molto superiore rispetto a quella del cinque o del dieci per cento fissata dal Governo Monti l’anno scorso e poi bocciata dalla Corte costituzionale.

“Se il contributo straordinario sarà riferito soltanto a questa differenza, la Corte non potrà non approvarlo, poiché esso non creerà una disparità di trattamento, bensì al contrario ridurrà un privilegio indebito, in un momento di straordinaria necessità. Questo è — insieme ad altre cose — il contenuto di una proposta che ho elaborato con Giuliano Cazzola e Irene Tinagli“.