Riforma Fornero al traguardo: “boiata” o “lavoro sporco” è un un sì all’Europa

Pubblicato il 26 Giugno 2012 - 12:01 OLTRE 6 MESI FA

Il ministro del Welfare Elsa Fornero

ROMA – Quattro fiducie in Senato, una oggi e tre domani pomeriggio, per la riforma del lavoro: superato lo scoglio delle pregiudiziali di costituzionalità di Idv e Lega alla Camera, la “strana maggioranza” si appresta a licenziare il disegno di legge del Governo, entro domani sera, giusto in tempo perché Monti possa esibire la riforma all’eurosummit di giovedì. Una riforma che le istituzioni finanziarie europee ci chiedevano, come ha ricordato lo stesso ministro che firma la legge, Elsa Fornero. Che si è premunita di specificare che non portiamo in Europa una riforma qualunque sia, ma perché è stata apprezzata e valutata per “le sue luci e i suoi punti positivi”.

In effetti, la riforma, nonostante la blindatura assicurata da Pdl, Pd e Udc scontenta sindacati e imprese, è largamente da migliorare, sul tavolo restano questioni spinose. Ma, per puntellare l’azione del governo Monti andava fatta e in tempi brevi. Tempo per rimediare c’è. Sulla flessibilità in uscita a sinistra dovrebbe essere stato raccolto il massimo, resta però la questione scottante degli “esodati”, usata, per così dire, come moneta di scambio per digerire la manutenzione dell’articolo 18: per ora, il decreto ammette alla salvaguardia solo i 65 mila decisi da Fornero, cui si aggiungeranno altri 55 mila per lo slittamento dal 4 al 31 dicembre 2011 della scadenza sugli accordi di mobilità che consentira la pensione con le vecchie regole.

Da destra, specie dagli spalti confindustriali, il disegno di legge in dirittura d’arrivo, è una pseudo riforma (“antiriforma” titola Italia Oggi). Addirittura una “boiata” secondo il presidente della Confindustria appena eletto Giorgio Squinzi: deplora, anche se ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, la stretta giudicata eccessiva sulla flessibilità in entrata, in particolare sulla riduzione drastica dei contratti a tempo, sulle norme più severe che regolano le partite Iva.

Il relatore del disegno di legge Cazzola Pdl, che ha parlato al Senato anche in nome del co-relatore Pd Damiano ha avvertoto che “l’ok è condizionato all’impegnodel Governo di modificare il provvedimento in tempi politicamente sostenibili”.  Da sinistra, specularmente, c’è chi parla di “controriforma”  e “lavoro sporco” (Il Manifesto) sottolineando l’abuso di fiducia da parte del governo per ottenere il lasciapassare e l’arretramento sui diritti del lavoro. In breve, la riforma, o comunque la si voglia chiamare, poggia sulla modifica delle regole della flessibilità in entrata e della flessibilità in uscita.

Flessibilità in entrata. Per combattere la precarietà l’apprendistato diventa il canale privilegiato per l’ingresso al lavoro dei giovani: il rapporto tra apprendisti e professionisti deve essere 1 a 1 nelle aziende con meno di 10 dipendenti. La durata del primo contratto a termine sarà al massimo di un anno. Le pause obbligatorie tra un contratto e l’altro salgono dagli attuali 10 giorni a a 20 per un contratto di meno di 6 mesi e 30 giorni per un contratto di durata superiore. Per evitare che le partite Iva siano il cavallo di Troia entro cui si cela in realtà un lavoro parasubordinato, la collaborazione deve essere al massimo di 8 mesi l’anno e il reddito ottenuto da una collaborazione deve essere inferiore all’80% del reddito complessivo. Se poi si dispone di un desk e si deve rispettare l’orario d’ufficio la collaborazione va regolarizzata con un un vero contratto.

Flessibilità in uscita. Il tema è quello dei licenziamenti e della battaglia intorno all’articolo 18, tra reintegra sul posto di lavoro o indennizzo. Sui licenziamenti discriminatori non cambia nulla: non si può licenziare per ragioni di credo politico, religioso, orientamento sessuale ecc: il giudice stabilisce il reintegro sul posto di lavoro. Nel caso dei licenziamenti disciplinari illegittimi ci sarà l’indennizzo. Il reintegro può essere imposto dal giudice solo sulla base dei casi previsti dai contratti collettivi (tipizzazioni).

Nel caso dei licenziamenti economici, ci può essere reintegro solo quando siano manifestamente insussistenti le ragioni che hanno portato al licenziamento (per es. Tizio è licenziato perché l’azienda chiude un ufficio e si riscontra che l’ufficio è ancora aperto). Negli altri casi scatta l’indennizzo (licenzio personale in esubero perché produco troppo). La conciliazione diventa obbligatoria e non potrà essere bloccata da una malattia fittizia del lavoratore. Eccezioni, la maternità gli infortuni sul lavoro.