Noi che fummo comunisti, nel perenne “tana libera tutti” del Pd

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Maggio 2013 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Pier Luigi Bersani: triste, solitario y cerveza

Noi che fummo comunisti amavamo una sorta di ordine superiore, quella certa disciplina che esaltava l’insieme e sottovalutava il singolo – e a ragione, pare, avendo visto negli ultimi anni molti singoli elevarsi a strateghi, pensatori, altrui moralizzatori. Ognuno di qualcun altro sempre a farsi insegnante e pedagogo, a lanciare avvertimenti e suggerimenti, a piantar grane e a piantarsi davanti alle telecamere. […]

E forse ci siamo smarriti, e infine definitivamente perduti, noi che fummo comunisti, anche perché nessuna forma della nostra antica educazione politica abbiamo saputo preservare. Se non hai un leader assoluto – fosse carismatico, fosse miliardario e padronale – ancor di più il partito deve essere una cosa seria, vera, ordinata. Non una stupida caserma, ma almeno una sensata organizzazione.

Il perenne “tana libera tutti!” che ci ha condotto dalla pista della Formula Uno al deposito dello sfasciacarrozze ha forse origine anche nel fantasmagorico “Hellzapoppin” della saga delle primarie, che ha finito con l’infeudare l’intero partito in piccole baronie territoriali, insignificanti signorie locali, ducati in fiamme – senza grandezza né letteraria né politica.

Così che ogni eletto di gruppi separati – a volte reali, a volte virtuali – è finito ostaggio. Eletti dalla corta corda, incatenati alla sorte di conventicole vocianti, vigilati a vista: non dalle masse, figurarsi, piuttosto dalla loro stessa vanità di politici irrisolti, politici per caso che si trastullano con la modernità tossica e mediatica dell’antipolitica, così che le responsabilità si azzerano. E della gloria cronachistica di essere portavoce di qualunque attruppata ciarlante anziché dirigente ci si veste e ci si pavoneggia. […]

Un partito che credeva di trovare la soluzione nel mito della “società civile”, quasi che si vergognasse del suo stesso essere partito, e da questa è stato prima zavorrato e poi sfottuto e infine annegato […]

Stefano Di Michele “Romanzo impopolare”, Il Foglio, 1 maggio 2013