Acciaio, nucleare, discariche in Italia: Acerra emblema di sbagli, ecco perché paghiamo l’energia tanto cara

di Giorgio Oldoini
Pubblicato il 9 Gennaio 2022 - 14:15 OLTRE 6 MESI FA
Acciaio, nucleare, discariche in Italia: Acerra emblema di sbagli, ecco perché paghiamo l'energia tanto cara

Acciaio, nucleare, discariche in Italia: Acerra emblema di sbagli, ecco perché paghiamo l’energia tanto cara

 Acciaio, la sua produzione ha sempre avuto una fase di depressione e una di espansione,
ovviamente legata all’andamento generale dell’economia.

La liquidazione Finsider fu decisa nel 1988, alla fine di un ciclo depressivo. Lo Stato si fece carico degli oneri relativi alla sistemazione del personale.

A Bagnoli, i lavoratori facevano la corsa per ottenere le pensioni baby, un costo immenso per le casse erariali. Dopo poco tempo, il business tornò a essere produttivo e l’Ilva (nata sulle ceneri dell’Italsider), riprese la sua attività. Dopo avere effettuate le chiusure dello stabilimento di Bagnoli ed altri minori, secondo gli accordi europei.

Nel 1989 Riva acquistò lo stabilimento di Cornigliano e nel 1995 quello di Taranto.
La successiva storia dell’Ilva coincide con la lotta degli ambientalisti: la cokeria di
Cornigliano è stata chiusa nel 2002. E nel 2005 è stato spento l’altoforno.

A Genova è rimasta la produzione a freddo che dipende dallo stabilimento di Taranto, chiuso e
ridimensionato a sua volta per l’intervento dell’autorità giudiziaria.

Non discuto qui sui tempi di realizzazione della politica green che costituisce una parte essenziale del programma dell’attuale Governo. Siamo forse all’epilogo di una battaglia di civiltà per la
liberazione d’interi territori dall’inquinamento. Una battaglia che ha riguardato altre realtà
come la Tirreno Power.

Il fatto anomalo è che queste vicende non sono state gestite dai Governi, ma dalle Procure, entrate in conflitto con le stesse autorità amministrative centrali.

Il che pone alcuni problemi economici e istituzionali. C’è da chiedersi se il nostro Paese
possa abbandonare le produzioni “inquinanti”, come non si sono permessi di fare la Cina, gli
Usa e altri paesi europei più ricchi del nostro.

Ricordo lo scontro tra la Procura di Napoli e l’Impregilo per bloccare il termovalorizzatore di Acerra, lo stesso installato al centro di Berlino. C’è voluta la Cassazione a Sezioni Unite per mettere la parola “fine” a una vicenda che era diventata la barzelletta internazionale.

Durante una riunione di lavoro a Oslo, il legale di controparte mi chiedeva notizie su “Acerra”. Oggi, quell’impianto produce energia e serve ad attenuare i gravi problemi della raccolta di immondizia di quello sfortunato paese, che non si è ancora affrancato dalle “discariche” gestite dalla camorra. In quel periodo, bastava un girotondo per impedire l’insediamento di qualsiasi tipo di impianto o di discarica.

Il fatto che i Verdi tedeschi mettano nel loro programma l’espansione dei termovalorizzatori, la
dice lunga sul provincialismo dei nostri ambientalisti. Ogni comune italiano che si rispetti è
“denuclearizzato”, anche quando confina con le centrali atomiche svizzere e francesi.

Vi sono quaranta paesi al mondo che devono affrontare il problema dell’amianto. L’unico che
ha messo in campo le Procure è il nostro: dove nel mondo si fanno azioni civili, da noi si
apre il fascicolo penale.

Dobbiamo essere fieri dei nostri giovani procuratori della Repubblica che non guardano in faccia nessuno. Tuttavia, non possiamo lamentarci per il fatto che gli italiani pagano le più alte tariffe al mondo per lo smaltimento dei rifiuti e per l’elettricità. Condizioni che impediscono, fra l’altro, l’insediamento d’industrie ad elevato coefficiente tecnologico.

L’altro aspetto da considerare è che, alla fine dei giochi, non è quasi mai il “privato” che paga. Bensì lo Stato, che si deve far carico dei costi sociali. In termini di cassa integrazione, di pensioni, della sanità, delle spese immense e incontrollabili del disinquinamento delle aree, come sta avvenendo per la siderurgia e per l’amianto.

C’è infine un aspetto non secondario da valutare. Gli uffici giudiziari non sono in grado di
occuparsi delle situazioni d’emergenza, come la gestione di uno stabilimento sequestrato.
Ricorrere ai “tecnici” accreditati presso le Procure, significa decretare la fine dell’impresa.

Vorrei dare un consiglio ai pochi produttori di acciaio rimasti in Italia. Andate a spendere il
vostro talento e i vostri soldi fuori dal nostro Paese, da noi questo settore non ha più un futuro.