Cop19: clima, parliamone. Nel Paese più malato di carbone: la Polonia

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 14 Novembre 2013 - 16:02 OLTRE 6 MESI FA
Cop19: clima, parliamone. Nel Paese più malato di carbone: la Polonia

Una centrale a carbone in Polonia (LaPresse)

VARSAVIA, POLONIA – Segnatevi questi due nomi: Belchatow e Opole. Sono i simboli della vecchia e della nuova Polonia, entrambe accomunate dalla dipendenza dal carbone.

La centrale di Belchatow, 12 unità per oltre 5000 megawatt di potenza, è alimentata a lignite, minerale che ha un potere combustibile più basso del carbone e quindi deve essere bruciato in maggiori quantità. Il risultato è che dalle 10 ciminiere del più grande e più inquinante impianto a carbone d’Europa vengono riversate nell’atmosfera più di 30 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.

L’Unione europea ha chiesto più volte alla Polonia di intervenire su Belchatow. Ma Varsavia non vuole rinunciare al suo “mostro”, attivo dagli anni 70, che fornisce al Paese un quinto dell’energia elettrica. Così non solo non ha spento le vecchie unità, ma ne ha accesa un’altra – nuova e per lo meno più rispettosa dei parametri sulle emissioni – da 830 megawatt: Belchatow ha fatto 13.

Se vecchie centrali come Belchatow sono il passato e il presente della Polonia, il futuro non sono certo le rinnovabili. Il futuro è Opole, capoluogo dell’omonimo voivodato al confine con la Repubblica Ceca. Qui il governo di Donald Tusk progetta la costruzione di due nuove centrali da 900 megawatt. Ovviamente a carbone, e in violazione delle normative europee sul Ccs (Carbon Capture and Storage), lo stoccaggio sotterraneo della CO2 per immettere meno gas serra nell’atmosfera.

Le emissioni dei due nuovi impianti, stimate pari a 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica per i prossimi 55 anni, impedirebbero alla Polonia di raggiungere l’obiettivo del 15% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020. Obiettivo che il governo si è dato per cercare di allinearsi al resto dell’Europa.

L’inizio dei lavori a Opole è previsto per il 15 dicembre. Ovvero un mese dopo che Varsavia avrà finito di ospitare – dall’11 al 22 novembre – COP19, la diciannovesima conferenza mondiale sul clima, nella quale tra le altre cose si tenterà – per l’ennesima volta – di trovare un accordo per un tetto alle emissioni di CO2, di cui il carbone è uno dei primi responsabili.

L’anno scorso COP18 si era tenuta a Doha, simbolo del petrolio, capitale del Qatar che è il Paese con il record di emissioni di gas serra per abitante. C’è una paradossale coerenza nel passare dalla città costruita sull’oro nero alla nazione più “coal-holic” d’Europa, quella che ha bloccato tutti i tentativi di Bruxelles di emanciparsi dai combustibili fossili e fare rotta sicura sulle fonti rinnovabili.

“Coal-holic”, perché la Polonia ottiene dalle sue 49 centrali a carbone il 92% dell’energia elettrica e l’89% del riscaldamento, secondo i dati della World Coal Association. Cosa che la rende il 10° consumatore di carbone al mondo e il secondo in Europa, preceduta solo dalla Germania. Le ragioni di questa dipendenza si trovano nel sottosuolo polacco, ricco del combustibile fossile simbolo della rivoluzione industriale.