Carbone. La Polonia “coal-holic” paralizza le politiche energetiche in Europa

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 26 Dicembre 2012 - 08:00| Aggiornato il 24 Gennaio 2013 OLTRE 6 MESI FA
La centrale a carbone di Varsavia (Ap-LaPresse)

VARSAVIA – Se l’Italia ha con l’Europa un problema di quote latte, la Polonia ha un problema di quote carbone e lo sta facendo pagare caro a tutti i 27, mettendosi di traverso su ogni provvedimento che riguardi le politiche ambientali ed energetiche. Leggi anche: Non solo Ilva, le industrie sporche costano a ogni europeo fino a 330 € all’anno

La Polonia è “coal-holic“, dipendente dal carbone. Secondo i dati dell’Associazione mondiale del carbone, i polacchi sono i primi consumatori di carbone-10 al mondo e ha un sistema di approvvigionamento energetico che per il 92% poggia sul carbone. E nonostante l’obiettivo dell’Unione Europea sia quello di ridurre le emissioni di gas che producono effetto serra, la Polonia va avanti con il massiccio piano di sostituire le vecchie centrali a carbone con delle nuove centrali, sempre a carbone.

Scrive Roberto Giovannini su La Stampa:

in Polonia sono situate molte (obsolete e inquinanti) centrali a carbone, tra cui quella di Belchatow, la più “sporca” dell’intero continente; e che il governo polacco ha in programma di aprire nuove miniere di lignite, cioè una qualità di carbone con scarso potere combustibile, che dunque dev’essere bruciata in quantità molto maggiori, con un livello di emissioni eccezionalmente alto.

Un momento di scontro fra c’è stato la settimana scorsa, quando la Polonia si è opposta (un’opposizione solitaria) al fatto che l’Europa fissi nuovi limiti al mercato del carbone, limiti che una seria politica contro il riscaldamento globale imporrebbe: è la convinzione di tutti gli Stati membri, ma non dei polacchi.

Polacchi che in seguito a questi loro reiterati veti sulla politica energetica ed ambientale non solo non vengono ostracizzati dalla comunità internazionale, ma anzi guadagnano peso e visibilità. La Polonia ospiterà la prossima conferenza mondiale sul clima, quella del 2013. E non sembra un caso che dopo Doha, un simbolo del petrolio, a ospitare questi incontri sul riscaldamento globale – tutti fallimenti annunciati – sia una nazione dipendente dal più inquinante dei combustibili fossili.