Lega Nord e Sel: più ti differenzi, più ti votano. La lezione di Maroni a Vendola

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 5 Febbraio 2013 - 21:05| Aggiornato il 2 Giugno 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Passato l’effetto delle promesse di Berlusconi su restituzione dell’Imu e condono tombale, la Borsa di Milano si è ripresa e lo spread è tornato sotto quota 280. Pare stazionario anche lo “spread” fra le due coalizioni: 4 punti secondo il sondaggio di Tecnè per Sky Tg24, che pure è il meno generoso verso il centrosinistra quanto a percentuali. Eppure direbbe – il condizionale è d’obbligo con i numeri ballerini che girano in queste settimane – che non c’è stato un “terremoto Imu”.

Le notizie più interessanti non vengono dai partiti maggiori, ma da due formazioni che con il loro risultato saranno decisivi per le sorti dei rispettivi schieramenti: Sel e Lega Nord. Queste elezioni, ricordiamolo, si vincono prendendo un voto più di tutti alla Camera e un voto in più di tutti nelle grandi regioni al Senato. Non serve stravincere, basta l’1-0.

Nichi Vendola ha conquistato la prima pagina del Fatto Quotidiano con un’intervista in cui ha dichiarato che nella Roma di Alemanno lui, gay, non si sente sicuro a girare per strada di sera. Parlare dei diritti e dei problemi degli omosessuali per il governatore della Puglia è “giocare in casa”, impugnare una delle poche bandiere che Ingroia non può strappargli di mano. Perché su quasi tutti gli altri temi quelli di Sinistra e Libertà trovano Rivoluzione Civile alla testa del corteo. L’opposizione a quello che Monti incarna, per esempio.

Ingroia batte su questo tasto e in diretta al Tg di La7 dichiara: “Non si può qualificare come di sinistra una forza che faccia un accordo con la destra”. Ovvero con il polo di Scelta Civica, Udc e Fli. Questa prospettiva, unita al patto che tutte le decisioni del centrosinistra saranno prese a maggioranza (leggi: dal Pd), non aiutano Vendola, che a novembre era accreditato di un 6-7% e ora si dibatte fra il 3 e il 4%. Riuscire a invertire questa tendenza: su questo si deciderà il futuro di Sel, e di riflesso del Pd.

Certo non lo aiuta Pier Luigi Bersani, che, ansioso di rassicurare gli osservatori internazionali, di accreditarsi come premier credibile prima ancora di vincere le elezioni, ribadisce (lo ha fatto anche a Piazza Pulita) che le decisioni del suo eventuale governo “verranno prese a maggioranza”. È la verità, ma qualcuno gli dica che è in campagna elettorale. Se non riesce a mentire, almeno ometta.

Non si aiuta il segretario del Pd neanche quando, per gli stessi motivi di cui sopra, tende la mano a Monti. Lui vuole dire che con il “terzo Polo” si collaborerà per fare le riforme istituzionali (un’ovvietà: quel tipo di cose si fa con il consenso di quasi tutto il Parlamento), ma gli elettori capiscono che il centrosinistra ha intenzione di governare con Monti. Quindi chi è di centrodestra sceglie Berlusconi (o Grillo) invece del “Professore” e chi è di sinistra si orienta verso Ingroia, Grillo o l’astensione.

Mentre uno che ha capito tutto è Roberto Maroni. Fino a qualche mese fa, travolta dagli scandali del “cerchio magico”, della famiglia Bossi e delle note spese, la Lega Nord era a un passo dalla sparizione. Neanche l’opposizione a Monti la rottura col Pdl sembravano averle restituito un “profumo di verginità” tale da riconquistare il suo elettorato. Ma l’ex ministro dell’Interno non si è perso d’animo. Ha gestito l’uscita di scena di Umberto Bossi e dei suoi fedelissimi, ha evitato al partito un tracollo alle Regionali e alle Politiche rialleandosi con Berlusconi e assicurandosi il sostegno del Pdl alla sua candidatura a presidente della Regione Lombardia, e ora negli ultimi sondaggi “rivede” quota 6%.

Ha capito che allearsi per fare opposizione è molto più facile che unirsi per governare. Non ha bisogno di accodarsi alle sparate di Berlusconi e lo ha dimostrato in mattinata con il suo manifesto dissenso alla promessa di condono tombale: “Sono contrario, e poi non è nel programma”. Più si differenzia dal Pdl, più la Lega prenderà voti.

Marciare divisi per colpire uniti: questa è la lezione di oggi del centrodestra al centrosinistra e al “terzo polo”. Chi vota Monti non vuole sentirsi dire che sta sostenendo un futuro governo con Vendola, e viceversa. È la campagna elettorale, bellezza.