Genova, ponte Morandi demolito nel giorno di San Giovanni patrono. Ma le palanche?

di Franco Manzitti
Pubblicato il 6 Giugno 2019 - 06:00| Aggiornato il 5 Agosto 2019 OLTRE 6 MESI FA

Dal tetto del civico numero 3, Scala C di via Porro, la strada di tutti i dolori, sotto il ponte maledetto, puoi vedere bene tutta la scena del cratere della grande tragedia. La pinza gigantesca di una gru colossale gratta a cinquanta metri d’altezza la parete del civico 10 e lo spolpa con colpi che sembrano come delle dentate.

Vengono giù pareti intere, poggioli, ringhiere e il palazzo si sbriciola, come sfarinandosi in una nuvola che i cannoni d’acqua nebulizzata cercano di attuttire perchè si disperde per tutto il cratere, arriva fino alla tua gola, ti pizzica, ti fa tossire, a seconda di come sta soffiando il vento.

E’ un’operazione drammatica con il residuo del ponte incombente, imprigionato dalle grandi gru rosse, pronto a esplodere nella demolizione record, quella già fissata per il 24 giugno, che a Genova è la festa del santo Patrono, Giovanni Battista, celebrata con una grande processione di crocefissi alti come due piani di case, che chissà se ne porteranno almeno uno qua sotto, a simboleggiare il calvario della città che dura oramai da quasi 10 mesi e continua.

Hai quasi timore a girare lo sguardo su questa scena che vedi dal quinto e ultimo piano del civico numero 3, che sta a sette metri dalla zona rossa, oltre un confine che non è affatto simbolico, perchè qui le case sono ancora abitate e tu sei in quella di Saverio Amato, che se la volesse vendere gli darebbero non più di 28 mila euro per 120 metri quadrati e là di fronte, oltre la linea rossa, le case vuote che vedi con le finestre aperte e la tovaglia a scacchi ancora sul tavolo della cucina abbandonata in fretta e furia nell’ora del crollo, sono state pagate ai proprietari 330 mila euro, perchè sono nell ‘area “perduta”, inghiottita dal cratere che avanza, la zona rossa.

La pinza si alza silenziosa e ricade sui muri, poche decine di metri più avanti rispetto a questo belvedere che in realtà è un malvedere su un orizzonte a 360 gradi, dove il ponte incombe ancora, seppure spezzato, interrotto a tratti, più vuoto che pieno, in una sequenza di pile che sembrano sentinelle pronte per essere abbattute. Il 24, festa di san Giovanni, tireranno giù la 10 e la 11 con microcariche di plastico nella più grande demolizione che si ricordi nel cuore di una città abitata. Ma guai a parlare di esplosione.

Il subcommissario, Luciano Grasso, incaricato dal sindaco-commissario, Marco Bucci, di curare l’ambiente delle demolizioni, spiega con certosina pazienza che non si tratta di quello, di una esplosione, ma di microcariche che si accenderanno lungo i 98 metri di altezza di queste pile. Si afflosceranno da quella altitudine sul tappeto di macerie dei palazzi, che le gru a pinza stanno rosicchiando uno per uno, in un silenzio irreale, in un deserto di spettatori che dopo il primo giorno si sono diradati.

Tutti lontani oggi da questa scena madre, nella quale sbriciolano la tua vita, la tua casa, la tua scala, il tuo palazzo, il tuo poggiolo e la tua strada sotto, che le macerie coprono e hai pianto e nascosto la commozione come potevi, senza riuscirci, dietro gli occhiali neri e la rabbia contenuta per quella immane ingiustizia del ponte crollato sulla tua casa, ripagata da un risarcimento che magari ti cambia la vita perchè prendi un sacco di soldi. Te la trasporta, questa vita, da un’altra parte con tutti i ricordi e allora questo posto, che per molti era il più disagiato della città, diventa il tuo posto, quello che ti fa piangere perchè lo stanno cancellando fisicamente.

Saverio Amato che abita in questo civico 3, scala C, della via Porro, ed è quasi orgoglioso di mostrare la sua casa, che vale quei 28 mila euro deprezzati, ha una figlia, che abitava al 10, dove le tenaglie hanno appena finito lo scempio, ci stava da due mesi, dopo averlo appena comprato, è stata risarcita, ma come può dimenticare quel giorno, quando alle 11,45 è scappata con in braccio una bambina di due mesi e non sapeva cosa le riservava il futuro mentre la gente urlava: “Aiuto, viene giù tutto, il ponte crolla….”.

E la madre di Saverio, ottantatreenne, stava anche lei in questa via Porro più in là, nella zona cosidetta arancione e ha resistito qualche mese, ma ora che la pinza-tenaglia sbriciola la strada, l’hanno trasferita, l’hanno portata via da questo inferno quotidiano, da questo cantiere gigantesco che non sembra avere limiti.

Come fai a quell’età a vivere in mezzo alla polvere, alle microcariche, in mezzo a una prossima evacuazione totale?

Sì, perchè il giorno 24, il giorno del grande boom, anche se non si può chiamare così, la popolazione che ancora abita qua, fuori dalla zona pericolosa per i crolli, ma dentro all’inferno della polvere, delle detonazioni, del rischio amianto, che aleggia come uno spettro imprendibile e incalcolabile nei suo rischio, sarà trasportata provvisoriamente via.

Il sindaco commissario prevede un evacuazione per almeno 12 ore di una cifra di abitanti che può oscillare da 1.000 a 10.000. Una specie di possibile trasmigrazione per evitare che le nuvole grigie del grande crollo possono essere nocive, in previsione che il fumo del ponte moribondo possa fare male.

Hanno previsto tre ore di disagi, ma per cautela preferiscono che la popolazione interessata stia fuori per 12 ore. Escludono che debbano dormire fuori casa, anche perchè questa eventualità comprenderebbe difficoltà enormi: come far dormire in alberghi e ricoveri di emergenza migliaia di persone? Lo hanno fatto quel giorno terribile del 14 agosto. Ma erano solo settecento persone e tutto il mondo guardava. Oggi l’odissea del ponte di Genova ha un’altra tensione. E’ il momento della demolizione, delle macerie, di un’altra angoscia più lenta, più nostalgica, non è l’emergenza stringente del crollo improvviso e lacerante.

Da quassù, dal terrazzo del civico 3, puoi allargare lo sguardo su tutta la valle, mentre con la coda dell’occhio continui a osservare la gru tenaglia che sbriciola e ti chiedi quanto durera questo sù e giù della tenaglia, che sembra accarezzare il muro e invece lo polverizza e quanta acqua nebulizzata spareranno i cannoni per attuttire la polvere che si alza.

Cerchi di immaginare con fatica le pile abbattute, gli ultimi pezzi del ponte calati a terra, con gli strand jack, i cavi di acciaio che reggono le tonnellate di cemento, e ti stupisci a vedere gli uomini al lavoro, ancora lassù sui monconi residui ricoperti dall’asfalto dove sei passato milioni di volte, un po’ pieno, un po’ vuoto: ti chiedi allora come sarà il vuoto totale, quando la demolizione sarà completata e da un’altra parte all’altra di questa valle, ci sarà “il buco” e il cantiere del riscatto, quello finalmente in azione per costruire il ponte nuovo, le campate di acciaio, i nuovi piloni più corti, le corsie a forme di scafo di nave, che ha disegnato Renzo Piano.

Bucci sarà il primo a entrare nell’area, dopo la grande esplosione , come un comandante che sale a bordo dopo la tempesta, per verificare che non ci sono rischi per i suoi concittadini. “Spero che tutto vada bene, la magistratura deve ancora dissequestrare alcune aree per consentirci di andare avanti con la demolizione, ma siamo sempre stati in sintonia….” – si augura il sindaco-commissario.

La demolizione prosegue in attesa del boom di san Giovanni Battista, anche i processi continuano e sono più duri del previsto. Nell’incidente probatorio che è andato in scena a palazzo di Giustizia, ci sono stati i primi scontri tra gli avvocati di Autostrade, uno stuolo aguerritissimo e i magistrati che stanno indagando e che costruiscono i piloni dell’accusa. Non è un processo facile e mentre il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, osserva un po’ cripticamente da Roma che la questione della concessione a Autostrade non è ancora stata chiarita su revoca o non revoca al gruppo capeggiato dalla famiglia Benetton, i legali della concessionaria hanno creato nell’udienza un clima molto pesante.

Sono passati quasi 10 mesi e i toni della difesa non sono quelli del dopo tragedia, sono diventati aggressivi, supportano la contro accusa di violazione dei diritti costituzionali nella costruzione delle imputazioni e nell’accesso alle prove. Il procuratore capo, Francesco Cozzi, risponde asciutto e perentorio alle accuse della difesa, sostenendo che il suo ufficio “sta spasmodicamente lavorando alla ricerca della verità per la morte di 43 persone”. “ Chi dice cose gravi sul nostro modo di procedere se ne assumerà le sue responsabilità” _ aggiunge il giudice. E sembra un avvertimento.

Allarghi lo sguardo da quassù e vedi la distesa di sacchi di detriti delle demolizioni, sacchi grigi su molti dei quali c’è scritto “rischio amianto”, a sottolineare lo spettro di quell’inquinamento letale che scende dai piloni destrutturati, ma anche dalle case demolite, sbriciolate dalla gru più tenaglia.

Oggi quella paura è un po’ come attutita dal dolore dell’abbandono, che gli abitanti stanno provando perchè vedono con crudezza spettrale il loro mondo sbriciolarsi sotto i loro occhi fisicamente, non solo sentimentalmente, come era stato fino ad oggi, quando c’era stato il primo abbandono delle case, poi i due strazianti ritorni per recuperare quel che si poteva, i ricordi più intimi, le suppellettili che era consentito portare via, in un inventario cui molti non hanno retto. Allarghi lo sguardo e sotto le prime pile vedi altre distese di sacchi grigi, quelli che contengono i detriti dello scavo del Terzo Valico, la linea ferroviaria che sbuca nella valle più a Nord.

Sono molti di più dei sacchi della demolizione, ma in qualche modo fanno parte della stessa scena che va in onda nel cuore di questa Valpolcevera martoriata, con in mezzo cantieri di ogni tipo, di demolizione, di ricostruzione, di scavo, in un via vai di uomini, mezzi, autocarri, furgoni, gru, grandi e piccole, ruspe, scavatori. Per quanto tempo ancora?

“Lo so che questo era un posto difficile dove vivere, sotto il ponte – dice Saverio, sulla porta della sua casa, nella zona arancione. – Ho abitato in altre parti della città, più belle certamente, ma questo era diventato il mio mondo, il ponte era il tetto della mia famiglia, tutto mi aspettava quando pioveva e cadevano cascate d’acqua da là sopra, ma mai avrei immaginato una sciagura simile.”