Knox, Sollecito, Meredith e la disfatta della giustizia

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 4 Ottobre 2011 - 13:21 OLTRE 6 MESI FA

PERUGIA – Può la giustizia italiana scendere ancora più in basso? Non ha definitivamente toccato il fondo con la vicenda dell’assassinio di Meredith Kercher? Come si fa a condannare un imputato che in concorso con altri avrebbe perpetrato l’omicidio quando degli “altri” non c’è traccia? E perché i giudici di primo grado hanno escluso quella perizia che nel secondo ha determinato l’assoluzione di Amanda Knox e di Raffaele Sollecito?

Chi ripagherà i due ragazzi, dichiarati innocenti “oltre ogni ragionevole dubbio”, dei quattro anni trascorsi ingiustamente, a questo punto, in carcere? Fuori dal tribunale la folla eccitata dalla lunga macabra telenovela, amplificata in maniera indecente dai mass-media, ha gridato “Vergogna, vergogna!” all’indirizzo degli avvocati difensori. Avrebbe dovuto indirizzare l’insulto contro il sistema giudiziario italiano che negli ultimi anni, ben prima del processo di Perugia, ha dato oggettivamente il peggio di sé. Non ripercorriamo, per carità di patria, gli eventi innumerevoli che hanno segnato la caduta della giustizia.

Ci limitiamo a sottolineare come l’incertezza del diritto regni sovrana: sentenze che vengono capovolte con assoluta disinvoltura; procure che accendono riflettori su uomini pubblici salvo poi spegnergli quando gli indizi accumulati non si rivelano idonei a sostenere un’imputazione di colpevolezza; l’uso barbarico delle intercettazioni telefoniche che a getto continuo vengono fatte uscire dai tribunali tanto per sputtanare chiunque, anche chi non c’entra niente con le indagini e ha la disgrazia di capitare nel bel mezzo di una telefonata tra inquisiti; intrusione sistematica nelle vite degli altri, senza alcuna ragione e prove trascurate, ritenute ininfluenti ai fini delle indagini che poi si rivelano, come nel caso di Perugia, essenziali alla definizione del processo; litigi tra procure e magistrati che si accusano selvaggiamente davanti a Csm; conflitti di competenza che travolgono presunti innocenti e presunti colpevoli facendoli finire in galera, salvo poi, senza neppure scusarsi, mandarli liberi con le spalle ricurve sotto il peso della diffidenza di tutti. Ha ragione da vendere Pino Nicotri quando stigmatizza, su Blitz, l’atteggiamento degli Stati Uniti, Paese talmente democratico nel quale si mandano a morte perfino innocenti, non diversamente da quanto accade in Iran o in Corea del Nord. L’ingerenza dei media americani poteva pure essere tollerata in ossequio al diritto di cronaca e di critica. Ma quella del Dipartimento di Stato, con l’esposizione diretta della signora Hillary Clinton, come la vogliamo definire? E come vogliamo giudicare il silenzio delle autorità italiane di fronte ad un vero e proprio comportamento colonialista tenuto dall’amministrazione Obama riguardo ad una cittadina di Seattle sottoposta a giudizio davanti ad un tribunale italiano? Tuttavia, le osservazioni di Nicotri meritano un’appendice che peraltro non giustifica ciò che rimprovera agli americani: come si fa a fidarsi di un sistema tanto fallace senza temere che errori grossolani possano pregiudicare, come il giudizio di primo grado del resto dimostrava, l’esistenza di esser umani al punto di distruggerla definitivamente? Certo gli americani non hanno le carte in regola per darci lezioni. Stiamo ancora aspettando gli esiti dell’inchiesta del Cermis e della morte di Calipari. Respingiamo, dunque, al mittente illazioni e malevolenze.

Ma non possiamo con questo metterci la coscienza in pace. Da lunedì notte sappiamo che la Knox e Sollecito sono innocenti, in attesa del verdetto finale della Cassazione. Sappiamo che a Perugia e dintorni circolano liberamente assassini che, insieme con l’unico condannato, si sono accaniti sulla povera Meredith. Sappiamo che della giustizia italiana, che condanna, assolve, nega perizie decisive e poi le ammette, chiede attraverso i pm ergastoli che poi vengono rigettati dalla Corte, è difficile fidarsi. E la circostanza ci getta nello sconforto più terribile.