Napoli, un atto d’amore: anche se tra la spazzatura, fino in fondo al mare

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 29 Gennaio 2011 - 20:51 OLTRE 6 MESI FA

A Napoli la Bellezza e l’Inferno non di rado si confondono. Nelle viscere di una delle città più suggestive e seducenti del mondo si annidano bande di guastatori, oltre che di criminali, che ne acuiscono le contraddizioni nelle quali cresce il malessere dei napoletani. La turpe vicenda che ha portato in carcere quattordici persone, dei quali tre funzionari dello Stato agli arresti domiciliari, il prefetto Corrado Catenacci, ex-commissario all’emergenza rifiuti, Marta Di Gennaro , ex numero due di Bertolaso alla Protezione civile, Gianfranco Mascazzini ex direttore generale del ministero dell’Ambiente ed al coinvolgimento di Antonio Bassolino, del suo ex-capo della segreteria Nappi, dell’ex- assessore Luigi Nocera, oltre ad una moltitudine di impiegati regionali e di gestori di impianti di depurazione campani, e’ emblematica dello stato di degrado della gestione della cosa pubblica i cui risvolti prima che penali sono morali.

Tutti questi soggetti sono accusati di aver favorito l’immissione nel tratto di costa che va da Napoli a Caserta di ” percolato non trattato”, vale a dire liquido prodotto dalle discariche di rifiuti solidi urbani, cioè veleni allo stato puro tali da inquinare una cospicua parte del Golfo di Napoli e di provocare danni irreversibili all’ambiente, oltre alla distruzione della fauna marina, e di creare problemi non indifferenti alla salute delle popolazioni interessate. Qualora i reati ascritti agli indagati dovessero essere confermati in giudizio – cioè l’associazione per delinquere, la truffa, l’abuso d’ufficio, il falso ed una sequela impressionate di violazioni delle normative ambientali – si confermerebbe non soltanto lo stupro perpetrato ai danni di un’area regionale tra le più sensibili del Paese, ma un costume pubblico orrendo, condannabile senza attenuanti.

Quest’ultima scoperta dell’autorita’ giudiziaria e delle forze di polizia, infatti, rientra nel vasto intreccio politico-malavitoso che caratterizza la vita pubblica partenopea da decenni. Nel caso,esploso nel bel mezzo delle polemiche riguardanti altri non meno significativi episodi di malcostume politico, come le primarie falsate del Pd napoletano, non si sa fino a che punto la delinquenza organizzata ha avuto un ruolo effettivo o tutto rientra nella losca gestione politico-amministrativa, come effetto collaterale se si vuole, della questione dello smaltimento dei rifiuti. Fatto sta che Napoli e’ nuovamente al centro dell’attenzione non diversamente da quando siamo stati messi a contatto con una realta’ che ha dell’incredibile.

E’ ormai assodato che clan affaristici sia di stretta osservanza camorristica che di indiscutibile natura politica, hanno, con ferocia criminale o con ipocrita ossequio ad una discutibile idea di democrazia, stuprato le strade, i vicoli, i siti archeologici di Napoli, la vita stessa dei suoi cittadini i quali oggi scoprono che perfino il loro mare non è stato risparmiato. Legioni di delinquenti si sono accaniti sulla pelle della città fino a renderla irriconoscibile. E non soltanto perché l’hanno fatta diventare l’immondezzaio per antonomasia, ma ancor più per averla trasformata nel paradigma della corruzione metropolitana scardinandone l’anima, rapinandole la naturale Bellezza – che nonostante tutto ancora è possibile qua e là cogliere dove meno è penetrata la mano pubblica o quella non meno devastante di privati famelici – facendola assomigliare, appunto, all’anticamera di quegli inferi che poco lontano, con profetica poeticità, collocava l’immortale Virgilio. Ed immortale si riteneva il suo mare, quella distesa di quiete e di tormento, che raccolse, per esempio, l’ultimo sguardo di Giacomo Leopardi al crepuscolo di un giorno del giugno 1837, invocante un po’ di luce mentre gli occhi gli si chiudevano.

Che cosa nascondono oggi quelle acque che per secoli hanno custodito sogni e promesse d’amore, speranze e lacrime di esuli forzati che non sarebbero più tornati per cercare altrove motivi di vita, solitudini affogate ai margini di flutti amici, come quelle di anime vaganti, da Goethe a Marai, che hanno trovato là consolazione ai loro affanni? Non nascondono più niente; anzi rivelano ciò mai avrebbero dovuto occultare: le scorie devastanti della modernità che non sa emanciparsi dalla gaglioffaggine, dall’uso improprio e ributtante che della natura fanno spesso coloro che dovrebbero preservarla, ma, al contrario, dimostrano una stupefacente capacita’ di delinquere ai danni della collettività.

La Bellezza declinante e l’Inferno che la soggioga, sono gli elementi di una metafora bizzarra e crudele della quale Napoli è incolpevole prigioniera. Conosce i suoi carcerieri, ma non riesce a liberarsene. E si chiede, sgomenta, chi potrà restituirle la dignità perduta. Di fronte a questo scoglio s’infrangono pensieri e ricordi che planano su un mare avvelenato dove sembra che neppure il sole freddo di questi giorni voglia più tuffarsi. E persino la giustizia non appare adeguata a sanare uno scempio che si perpetua giorno dopo giorno.