Lo psicodramma di Sarkozy: rielezione difficile, lo sa anche lui

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 16 Aprile 2012 - 14:18 OLTRE 6 MESI FA

Nicolas Sarkozy

ROMA – All’Eliseo si vive una sorta di psicodramma. Nicolas Sarkozy, nonostante il bagno di folla di domenica a place de la Concorde, ha realizzato, secondo i bene informati, che difficilmente riuscirà a risalire la china. Il primo turno non dovrebbe essere così devastante come si prevedeva qualche mese fa: pochi punti lo separano da François Hollande. Ma il secondo posto che pur faticosamente conquisterà sarà l’amaro antipasto di ciò che quasi certamente, secondo i sondaggi di opinione, i giornali e la comune percezione dei cittadini, accadrà domenica 6 maggio al ballottaggio. Il candidato socialista è accreditato del 57% dei suffragi, mentre il presidente uscente dovrebbe fermarsi al 43%. Uno smacco con un solo precedente nella storia della Quinta Repubblica: la vittoria clamorosa per le dimensioni che assunse nel 1981 di François Mitterrand su Valery Giscard d’Estaing inciampato, nel corso del suo settennato, su poco nobili ed edificanti vicende politico-affaristiche.

Sarkozy, che soltanto cinque anni fa sembrava destinato a segnare con la sua presidenza un tempo nuovo della politica francese, sembra non aver dato il meglio di se stesso avendo combinato poco o nulla di quanto aveva promesso in campagna elettorale e segnalandosi ai suoi connazionali per una sfrenata voglia di protagonismo mediatico, condito con familismo, nepotismo, frequentazioni non sempre coerenti con il suo alto ufficio. Quando si è visto alle strette ne ha combinate di peggiori. La stretta alleanza in nome del rigorismo con la Merkel che i francesi non hanno gradito; l’elevato numero di tasse introdotte in cinque anni: ben quarantuno; l’improvvida e dissennata guerra di Libia di cui il suo Paese e l’Europa non sentivano affatto il bisogno; il repentino ritorno alle origini quando ha capito che le cose si mettevano male, fino al punto di rispolverare il patriottismo gollista contro i banchieri ed i tecnocrati di Francoforte; perfino la recente esaltazione degli harkis, i pied noir dell’Algeria francese, con tanti saluti alla liberazione di quel Paese e ad un certo Ben Bella da poco defunto. Cinico e contraddittorio: così Sarkozy viene visto dagli avversari, ma anche da numerosi ex amici che non gli perdonano di aver creato un partito nuovissimo, l’Ump sulle ceneri del vecchio Rpr, non per rinnovare i fasti del Generale, ma per farlo dimenticare.

La sinistra lo detesta; la destra non lo ama. Sarkozy ha realizzato di essere un uomo solo, come faceva notare durante la campagna elettorale che lo portò alla presidenza, la scrittrice e drammaturga Yasmine Reza che ne seguì tutte le tappe e gli dedicò un libro che a rileggerlo oggi getta nuova luce su quello che all’epoca veniva definito il “presidenziabile”. E si ha pure la sensazione, sfogliando le sue memorie, i suoi discorsi raccolti e annotati e prefati da anche da autorevoli (o sedicenti tali) politici europei che esistito un Sarkozy di prima e un Sarkozy di dopo. A Tours il 12 aprile 2008 pronunciò un discorso nel quale disse: “Sono un francese di sangue misto, convinto che si sia francesi in proporzione dell’amore che si prova per la Francia, all’attaccamento che si prova per i suoi valori di universalità…La Francia non è una razza, non è un’etnia… Non si è francesi solo per le proprie radici, per i propri avi… Si è francesi perché si vuole esserlo… perché la Francia è un motivo di orgoglio. Perché ci si sente in obbligo nei suoi confronti, perché nei suoi confronti si prova gratitudine, riconoscenza”. Ben detto. Cinque anni dopo, rendendosi conto che stava affondando elettoralmente, ha promesso la revisione del Trattato di Schengen, la chiusura delle frontiere, la restrizione della concessione dei visti, se l’è presa con l’Italia di manica larga da dove passerebbero gli immigrati che vogliono ricongiungersi con i loro parenti ormai francesi…