Le difficoltà di abbonarsi al servizio iPad del Corriere della Sera: riusciranno mai i giornali a vincere contro i colossi della tecnologia?

Pubblicato il 20 Ottobre 2010 - 13:20 OLTRE 6 MESI FA

Ho provato ad abbonarmi al servizio iPad del Corriere della Sera. Non riesco a vedere nulla, ma ho una certezza, che alla mia carta di credito sono stati già addebitati i 179,99 euro dell’abbonamento annuale.

Sono sicuro che prima o poi riuscirò nell’intento, ma l’esperienza scoraggia. Ieri ho fatto tutta la mia procedura, sono stato a lungo nel dubbio di esserci riuscito, poi quando mi è arrivata la e mail di conferma dell’addebito mi sono rincuorato. Così stamattina ho provato a collegarmi. Illusione: dopo una splendida prima pagina che dominava lo schermo del mio iPad, è venuta l’inesorabile e un po’ umiliante a questo punto pagina che mi intimava perentoriamente di abbonarmi.

Ma come, ho detto dentro di me, sono già abbonato. Mi dice: scrivi qui la tua e mail, fatto, risposta: non è registrata.  Vado su iTunes, che è lo strumento, ma dice no reply, non azzardarti a scriverci che resterà lettera morta.  Torno sul Corriere, finalmente trovo uno spiraglio: mi indica una procedura da seguire talmente complicata  che credo sia più facile completare il 770 senza  rischiare il carcere che convincere quelli del Corriere della mia buona fede. Non c’è possibilità di contatto umano, solo clicca qui, scrivi qui, spiacenti.

Avendo fatto per anni il giornalista e poi l’amministratore di giornali, ho sempre seguito la regola che cane non morde cane, perché parlare degli errori professionali degli altri chiama gli altri a parlare dei tuoi errori. D’altra parte è quel che fanno tutte le categorie. Mia madre, ogni volta che doveva commentare l’asettico comportamento di un medico verso un collega in errore, diceva, in dialetto: “I meghi non se dan a sappa in sci i pe”, i medici non si danno la zappa sui piedi” e a questa massima di saggezza popolare ho cercato sempre di attenermi.

In questa circostanza, però, non posso rinunciare, non solo perché penso che ogni giorno che passa è circa mezzo euro che perdo, ma anche perché, essendofanatico tifoso della causa dei giornali su tutti gli altri mezzi, mi dispero ogni volta che, alle difficoltà del mercato e della natura, i giornali ne i giornalisti aggiungono il proprio deathwish, la voglia di morire.

Mai come nella attuale situazione i giornali hanno subito l’attacco di nuovi mezzi di comunicazione. In passato, l’avvento del cinema, della radio e della tv aveva coinciso con periodi di espansione demografica e, o economica. La tv commerciale negli ultimi 35 anni ha ribaltato il rapporto tra tv e stampa nell’appropriazione della torta pubblicitaria, ma se la tv è cresciuta da alcune migliaia di volte, i giornali sono cresciuti di oltre cento volte, mentre altri settori, come l’edilizia, solo di poche decine di volte. Ora invece internet, che offre ai cittadini un sistema di informazione del tutto nuovo e frammentato, si sta sviluppando in un periodo di recessione di cui non si vede la fine.

I protagonisti di questa espansione non sono dei poveri blog come blitzquotidiano, ma colossi cone Google, Facebook, Yahoo, Aol e altri ancora, per i quali l’idea vincente creativa e commerciale si  appoggia su una superiorità tecnologica assoluta, che tutti possiamo riscontrare ogni giorno, con una semplice ricerca sul nome di battesimo delle mogli di Garibaldi. Ma senza arrivare agli apici dei colossi nominati sopra, provate a iscrivervi a uno dei servizi, gratuiti, dei grandi giornali americani o anche di più modesti siti stranieri. Semplici, efficaci, rapidi.

Difficile competere, meno male che ci protegge la barriera della lingua.

Personalmente ritengo che sia complesso e respingente far pagare le notizie, in assenza di un valore aggiunto chiaramente percepito, come quello di un giornale, che non è solo notizia, ma interpretazione, mediante la gerarchia dei titoli e delle pagine e gli accostamenti fra notizie, titoli e foto. Ma se alla procedura si aggiungono le complessità del pagamento (da cui, nella mia esperienza diretta, non mi sono risultati esenti né l’Herald Tribune né il Wall Street Journal), allora veramente c’è da preoccuparsi.

C’è da dire che quanto a deathwish dei giornali gli esempi, anche solo negli ultimi vent’anni, si sprecano: dal silenzio con cui, in nome della Bicamerale, i grandi quotidiani coprirono gli intrighi di Dalema e Berlusconi per affossare l’unica legge mai pensata per riequilibrare la distribuzione di risorse tra stampa e tv, attraverso una riduzione degli affollamenti pubblicitari di Rai e Mediaset; alla stupidità con cui i giornalisti della carta stampata affrontano a petto nudo o quasi gli scioperi, che impediscono l’uscita dei loro giornali, mentre la tv continua a trasmettere i suoi insulsi programmi, che costituiscono il 90 per cento del palinsesto e in ogni caso, in nome del servizio pubblico, che riguarderebbe solo la Rai ma cui si sono invece felicemente iscritte tutte le radio e tv italiane, offrono agli spettatori un succinto essenziale notiziario, sovieticamente garantito dal bollino blu del comitato di redazione, che ha un perverso risultato, quello di convincere ancor più il pubblico che i giornali sono un optional,mentre la tv non ti lascia mai solo; ultimo il disinteresse con cui i giornali hanno subito la devastante espansione di Sky nel mercato pubblicitario assistendo, in nome del principio che tutto quel che è contro Berlusconi è di sinistra, alla appropriazione da parte della tv di Rupert Murdoch di una quota di fatturato pubblicitario nazionale pari all’intero fatturato della stessa tipologica del Corriere o di Repubblica. Poiché questo è avvenuto in un periodo di grave crisi economica, con formidabili ripercussioni sul mercato della pubblicità, l’effetto ha aggravato la crisi.

(Marco Benedetto)