Fiducia perché non ci si può fidare del Parlamento dei “Don Abbondio”

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 6 Dicembre 2011 - 14:57 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Sul decreto “Salva Italia” è meglio, molto meglio, che senatori e deputati decidano con il guinzaglio corto del voto di fiducia, insomma con il metodo del prendere o lasciare. Perché meglio, molto meglio, il voto di fiducia? Perché del Parlamento non ci si può fidare. Non certo del Parlamento come istituzione, ma di “questo” Parlamento, il Parlamento dei “Don Abbondio”. Deputati e senatori di cui ci si può fidare in questo momento e in questa circostanza ancora meno, perfino meno della gente comune, dei cittadini su cui piovono tasse.

Già, i cittadini, gli elettori, la gente. I giornali sono pieni di messaggi di protesta e insofferenza. Gente che vota Pd e che sulla bacheca Facebook di Bersani scrive: “Vergognatevi, avete tradito milioni di persone con le pensioni di anzianità”. Oppure: “Il Pd è distante dai lavoratori…stiamo diventando chierichetti di Casini”. O ancora: “Sei finito perché Vendola e Di Pietro ti porteranno via un sacco di voti”. Non basta: “Per ottenere il 100 per cento della mia pensione dovrò lavorare 49 anni, è inaccettabile che lo accettiate…”. Gente che vota Pdl e che sul Forum dello “Spazio Azzurro” scrive: “Per salvare il vostro patrimonio ci tartassate di tasse, la prossima volta voto Lega”. Oppure: “Neanche Bertinotti avrebbe fatto una manovra simile, il mio voto non lo vedrete mai più”. O ancora: “Tutto ci aspettavamo ma che il Pdl appoggiasse questa manovra è scandaloso”. Non basta: “Vi siete alleati con i comunisti”. “Pensate davvero che con il reintegro dell’Ici avrete ancora gli stessi elettori?”. O gente che non si sa chi prima votasse e che oggi scrive al Corriere della Sera: “Rivoglio indietro i contributi versati in 38 anni”. E’ una piazza in rivolta, non c’è dubbio. Ma, appunto, è una “piazza”. Piazza che manifesta sul web con le stesse modalità, slogan, umori e in fondo rappresentatività di una manifestazione di piazza in città. Slogan gridati, umori forti e velenosi, rappresentatività relativa.

Relativa perché poi, per quel che valgono ma valgono certo qualcosa in più della rilevazione Facebook, vai a vedere i sondaggi e vedi appunto che tutta questa rivolta non c’è. La Lega è accreditata del 9/10 per cento dei voti, Vendola del sei per cento abbondante e così pure Di Pietro, Storace dell’un per cento. E qui finiscono gli elettori “contro” pronti a votare i partiti più o meno “contro” il decreto. In tutto, circa il 23 per cento. Vogliamo aggiungere il tre per cento di “grillini”? Aggiungere ancora un elettore su cinque del Pdl che domani dovesse cambiare idea e altrettanti del Pd che dovessero fare analoga scelta? Sono ipotesi estreme, una simile trasmigrazione di voti non è mai accaduta. Ma facciamola pure questa ipotesi e arriviamo ad un 36 per cento di cittadini ed elettori “contro”. Sul web e sui giornali la proporzione è di nove contro e uno favorevole. Nei sondaggi siamo a otto favorevoli e due contrari. Nell’ipotesi più favorevole alla “rivolta” siamo a 3,5 contrari e 6,5 favorevoli. Anzi non proprio favorevoli, perché la realtà, ad auscultarla davvero e con cura,  dice che il sentimento dominante non è né la rivolta né l’applauso.

La gente, i cittadini a gran maggioranza, ti domandano e si domandano: con questa è finita? C’è in questa domanda rassegnazione, accettazione e consapevolezza. Rassegnazione a pagare, accettazione della “botta”, consapevolezza che l’alternativa è peggio, molto peggio. Fanno piangere le centinaia o migliaia di euro da pagare ma al fatto che mille euro oggi in meno sono meglio di diecimila in meno domani la gran parte della gente ci arriva. Chiede, spera e in fondo ci conta che “con questa è finita”. Amaramente sborsa ma un po’ sostanzialmente si fida.

Non così la rappresentanza politica e sindacale della gente, dei cittadini, degli elettori. Il Pd teme di essere “punito” dai pensionandi. Il Pdl teme di essere “punito” dai proprietari di case. Lega, Idv e Sel sperano in un “premio” che venga loro dai rivoltosi. In fondo sono tutti dei “Don Abbondio”, hanno sostanzialmente paura e timore di “mettere la faccia”, di rischiare di intestarsi quella che pure sanno, e ammettono essere, l’unica alternativa ad uno Stato che tra tre mesi le pensioni non le tocca ma non le paga più, i patrimoni non li tocca ma li vede svalutati più o meno della metà. Se non si mette il voto di fiducia alle Camere, allora ilo Parlamento è pronto a far pagare il “costo della politica”. Cioè il far leggi che guardino alle prossime elezioni e non alla banche ad un passo dal saltare, alle aziende a un passo dalla chiusura, all’economia tutta ad un passo dall’insolvenza. Senza il voto di fiducia il Pd, incalzato da Vendola e Di Pietro ma anche ad se stesso, presenterebbe e voterebbe emendamenti che smontano e non rimontano i miliardi di minor spesa che vengono dalla riforma delle pensioni. E il Pdl smonterebbe e non rimonterebbe i miliardi di gettito dalla tassazione sulla casa e la tracciabilità dei pagamenti in contanti in funzione anti evasori. Ognuno voterebbe il suo emendamento e non voterebbe quello degli altri. Una sottrazione moltiplicata all’infinito, perfino Berlusconi l’ha capito. Lasciato a se stesso il Parlamento, pur di non rischiare una scelta, adotterebbe i caratteri, il passo e la tecnica di “Don Abbondio” prestando ascolto e facendo sponda alle “piazze” che intimano questo decreto non s’ha da fare.

Il Parlamento, la rappresenta politica. Quella sindacale poi…Di fronte al sistema della previdenza, di fronte al “negozio pensioni”, tutti i sindacati si comportano come quelli di fronte ad una bottega, un negozio che sta fallendo ma sta distribuendo a prezzi di favore e di saldo la merce in magazzino. Fin che si può, fino a che la bottega non chiude, un paio di scarpe o un cappotto ad ottimi prezzi a chi riesce ad entrare. I sindacati sono lì, a distribuire i numeretti per la coda che si affolla intorno ai saldi. Togli loro il potere e il ruolo della distribuzione dei numeretti e i sindacati ritengono di perdere la loro ragion d’essere. Certo una pensione mille euro bloccarla per due anni è una tragedia, ma pagarla 1.030 euro con euro o altra moneta che avesse potere di acquisto di 600/700 euro questa non è tragedia, è “cattiveria sociale” vestita da cura della “povera gente”.

Meglio dunque, molto meglio che sul decreto “Salva Italia” si voti con il guinzaglio corto per il Parlamento del voto di fiducia. Altrimenti il combinato disposto di uno, dieci scioperi e manifestazioni e di cento, mille emendamenti aprirebbe, anzi riaprirebbe dal 15 dicembre in poi il conto alla rovescia: tre mesi e poi pensioni intatte ma senza i soldi per pagarle, case senza tasse ma senza soldi nel portafoglio di chi le abita. Tre mesi alla “Don Abbondio”, appunto quelli della “peste”.