Perché lo spread “lungo” non cala? Perché tra due anni tornano “loro”

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 4 Gennaio 2012 - 12:59 OLTRE 6 MESI FA

Monti e Berlusconi: cambia il premier ma non lo spread (Lapresse)

ROMA – Perché lo spread non cala, perché resta inchiodato più o meno a quota 500? Demerito di Monti, illusione che, via Berlusconi, via anche il super spread? O danno così profondo inflitto dal governo Berlusconi che neanche un Monti lo butta giù il maledetto spread? O maledizione, sfortuna, congiura? Ipotesi che stanno e restano nel regno della chiacchiera e delle opinioni. Nella terra dei fatti e dei numeri lo spread non cala perché… Il perché ce lo dice l’inversione dell’inversione della curva dei tassi di interesse. E non è un gioco di parole e neanche una formula sibillina: è pura aritmetica che somma e sottrae, mescola e calcola politica ed economia.

La curva del debito, cioè degli interessi sul debito si era invertita prima del decreto cosiddetto “Salva-Italia voluto e varato dal governo Monti. Prima del decreto chi prestava soldi all’Italia pretendeva interessi più alti sui prestiti a tre, sei mesi, un anno o due anni di quanto non richiedesse di interessi sui prestiti a tre, cinque, dieci anni. Si sono visto Bot a tre mesi al sette per cento. Era una “inversione” della curva normale del debito perché normalmente chi presta chiede interessi più alti sul tempo lungo stimando più alti i rischi e le incognite appunto sul tempo lungo piuttosto che su quello breve.

Ma prima del decreto i tassi richiesti erano più alti sul tempo breve e brevissimo? Perché? Perché era il tempo breve e brevissimo, i prossimi tre e sei mesi ad essere considerati da chi prestava i soldi all’Italia a maggior rischio. Prima del decreto l’Italia era secondo i mercati a rischio di bancarotta immediata: i famosi tre mesi oltre i quali finivano i soldi in cassa per pagare pensioni, stipendi e far viaggiare treni e bus. Dopo il decreto il rischio default immediato è sparito e infatti la curva del debito è tornata normale: i Bot a tre mesi si vendono ad interessi dell’1,5 per cento e quelli a sei mesi a interessi del 3,5 per cento. Tradotto: per i prossimi tre, sei, dodici mesi l’Italia è tornata solvibile agli occhi e al portafoglio dei mercati. Tradotto ancora: i mercati credono e si fidano di un’Italia che paga nel prossimo anno.

Non è successa la stessa cosa sul debito lungo, quello a lungo termine. I Btp decennali si vendono, quando si vendono, ancora al sette per cento di interessi da pagare. Dunque i mercati che si fidano dell’Italia nei prossimi dodici mesi al punto di chiedere interessi molto minori di quanto chiedevano solo poche settimane fa per titoli con scadenza breve, quegli stessi mercati non si fidano dell’Italia nei prossimi due, tre anni. Comincia infatti dal titolo biennale e triennale l’impennata dei tassi e si innalza a quella scadenza temporale, due-tre anni, l’invalicabile muro dello spread. Perché? Perché i mercati sanno che tra due anni al massimo tornano, anzi torniamo.

Tra due anni al massimo tornano a decidere e a governare a pieno e in prima persona i parlamentari che negano di incassare quasi ventimila euro lordi al mese pure avendoli ogni mese in tasca. Tra due anni al massimo tornano a contare e a decidere, loro e solo loro, le istituzioni e i governi locali che, quando gli ispettori del fisco vanno a Cortina, gridano all’attentato agli “operatori economici impegnati nella loro attività imprenditoriale”. Quale? Quale attività è turbata e sconvolta da quelle ispezioni? Tra due anni al massimo e forse prima tornano prima in campagna elettorale e poi al governo i partiti che faranno campagna elettorale promettendo di togliere le tasse appena messe o di ridare ai pensionandi quel che è stato appena loro tolto.

Tra due anni al massimo tornano a decidere e a governare i Governatori delle Regioni che si schierano con i commercianti che non vogliono la apertura libera dei negozi. Tra due anni al massimo torna ad essere decisivo il veto dei sindacati a nuovi tipi di contratti di lavoro. Tra due anni al massimo tornano “loro”, il sistema politico e sociale che ha prodotto il debito pubblico di quasi duemila miliardi di euro. E torniamo noi, quelli di prima, che chiediamo come elettori e cittadini di conservarcelo quel sistema.

I mercati lo sanno e quindi assegnano a questa consapevolezza lo spread a 500 o giù di lì. Controprova? La Spagna ha uno spread minore anche se ha altrettanti guai economici e finanziari. Ma in Spagna per cinque anni non si cambia governo. In Italia si cambia tra diciotto mesi o anche prima. Si cambia con un nuovo governo di una destra più o meno anti europea e più o meno antipatizzante verso l’euro. Oppure si cambia con un governo di sinistra che ha un solo comandamento: l’intoccabilità della spesa pubblica.

Nel 2013 o anche prima andremo a votare in una forma o nell’altra “contro” quel che ha abbassato i tassi sul debito a breve. I mercati, quelli che ci devono prestare i soldi con la certezza di riaverli indietro lo sanno e l’Italia tutta non fa nulla per nasconderglielo, anzi glielo sbatte in faccia ogni giorno. Quindi i mercati ci giudicano cinque volte più rischiosi della Germania. Cinque volte, tutto considerato è uno spread generoso e indulgente nei nostri confronti.