Coronavirus, in Iran la chiave per la guerra alla pandemia

di Pino Nicotri
Pubblicato il 10 Aprile 2020 - 07:01 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus, Ansa

Coronavirus, in Iran la chiave per la guerra alla pandemia (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Sul giornale online Africa ExPress si legge che il nuovo coronavirus è stato portato in Italia non dalla Germania, come affermato da virologi del calibro di Massimo Galli, ma dall’Iran.

E’ vero? E’ possibile? Lo chiediamo a Luciana Borsatti, laureata in Storia moderna e contemporanea a Venezia, ex corrispondente dell’ANSA dal Cairo e Teheran, dove ha vissuto tra il il 2011 e il 2012 e nel 2015.

La sua profonda conoscenza dell’Iran, dove l’ho conosciuta una decina di anni fa, l’ha riversata nel libro “L’Iran al tempo di Trump” (Castelvecchi), affresco politico e sociale del Paese negli anni della strategia di massima pressione USA contro Teheran, uscito in una seconda edizione aggiornata al 20 gennaio 2020.

Risposta – Premetto che non è nelle mie abitudini fare informazione in contraddittorio con altri media. Credo che il mio lavoro sia scrivere quello che apprendo da fonti affidabili e preferibilmente dichiarate, tranne in casi particolarmente sensibili.

Detto questo, deluderò il lettore: sul Paese di origine del contagio in Italia, se si tratti cioè di Cina, Germania o Iran, tema tuttora dibattuto, non ho le competenze per rispondere e non mi pare che molti le abbiano. D’altronde, una volta accertato che il primo focolaio ha avuto origine in Cina e che ormai siamo in piena pandemia, mi sembra ozioso interrogarsi su chi sia stato l’untore in Italia.

Domanda – I voli di aerei iraniani a Milano, Pescara e Rimini, di cui parla con insistenza Africa ExPress anche come fonte del contagio, a cosa servono?

R – Iran Air è l’unica compagnia di bandiera iraniana e che ha sempre potuto volare in Europa svolgendo servizio di linea civile.

Diverso il caso di Mahan Air, la più importante compagnia privata iraniana con una vasta rete di collegamenti internazionali, sempre per il traffico civile.

Mahan è infatti sanzionata dagli Usa ma non dall’Europa, anche se l’Italia le ha revocato l’autorizzazione dal 15 dicembre su richiesta di Washington.

E’ dunque con licenza Enac che Iran Air ha sempre volato su Milano Malpensa, dove però da circa un anno si è vista negare da una società del settore petrolifero, riferisce una fonte interna alla compagnia, i rifornimenti di combustibile di norma previsti dai servizi aeroportuali.

Da qui la necessità prima di ridurre il carico di passeggeri e merci, e poi di trovare uno scalo tecnico a Rimini (e Pescara), dove invece si era reso disponibile un altro fornitore.

Questo è accaduto da fine dicembre a marzo, con un ultimo volo il 19 marzo per gli iraniani e italiani che volevano tornare in patria.

La crisi del coronavirus ha infine interrotto ogni collegamento, tanto che l’Iran ormai è quasi completamente isolato.

Nel frattempo Rimini era diventato una sorta di hub anche per decine di altri voli Iran Air con destinazioni europee, e alcuni equipaggi vi scendevano per i turni di riposo, mentre i passeggeri restavano a bordo. Se anche questo abbia contribuito a diffondere il virus in quella regione non sono io a poterlo dire.

Ma certo si potrebbe chiedere all’Enac perché mai Iran Air, benché regolarmente autorizzata a volare su Malpensa in servizio di linea, non potesse servirsi di quell’aeroporto anche per i rifornimenti, senza trovarsi nella necessità di cercarli altrove.

Forse quel fornitore aveva scelto di adeguarsi alle sanzioni secondarie americane? Se fosse così si porrebbe ancora una volta per l’Italia, come nel caso dell’esclusione di Mahan Air, una questione di dignità e di sovranità nazionale.

D – Sullo stesso giornale Africa ExPress ho letto di “traffici misteriosi” tra Iran e Italia, compresi traffici di tecnologia nucleare. Di che si tratta?

R – Domanda che ritengo, proprio in base alla mia premessa, dovrebbe essere rivolta a quel giornale, magari chiedendo ulteriori specifiche sul chi, cosa, come, dove e quando.

Teniamo presente che l’Iran ha un programma nucleare civile e non militare, e che l’Aiea ha certificato alla fine del 2015 che l’Iran non aveva più compiuto attività riconducibili ad una possibile dimensione militare del nucleare iraniano dal 2003, e fino al 2009 vi erano stati solo sporadici studi.

Da allora l’Aiea ha sempre certificato il pieno rispetto dell’accordo sul nucleare da parte di Teheran, almeno fino al maggio 2019, un anno dopo il ritiro unilaterale degli Usa da quell’accordo.

Se ora i rapporti dell’Aiea sono un po’ meno rassicuranti è responsabilità di chi da quell’accordo è uscito per primo, cioè gli Usa, e anche dell’Europa che non ha fatto abbastanza per salvarlo.

D – Ma in Iran come c’è arrivato il nuovo virus SARS-CoV-19? Lo hanno portato i cinesi?

R – Non ho elementi per dirlo, ma è certo che la Cina ha continuato ad avere rapporti economici molto stretti con l’Iran, e tanto più dopo che Trump ha impedito agli europei di averli.

Di fatto, il vuoto lasciato dalle imprese europee e il fatto che tanti progetti di investimento anche italiani siano rimasti lettera morta non hanno fatto altro che favorire l’aumento della presenza cinese sia nel commercio che nei lavori infrastrutturali. La Cina è fondamentale per l’Iran, per questo i voli non si sono subito fermati.

D – La situazione dell’epidemia di Covid-19 in Iran appare molto drammatica. Il 5 aprile il portavoce del ministero della Salute iraniano, Kianoush Jahanpour, che è anche un medico, ha dichiarato che le statistiche ufficiali cinesi sono “una beffa amara” che ha spinto il mondo a considerare il Covid-19 poco più che un’influenza.

E il giorno dopo la dottoressa Minoo Mohraz, membro del comitato iraniano anti-Covid19, ha dichiarato che “il comportamento del virus dopo che si è diffuso in tutto il mondo ha dimostrato che non è come quello riportato dalla Cina.  O il virus è mutato e si è rafforzato o le informazioni non erano esatte. Le statistiche e relazioni cinesi non erano molto accurate”.

R – Secondo i dati ufficiali al 6 aprile 2020, le vittime del virus sono 3.739 e i contagiati 60.500. Ma molti pensano che sia i decessi che i contagi siano ben di più.

E che le autorità abbiano reso nota l’emergenza con ritardo per assicurarsi la massima affluenza alle elezioni parlamentari del 21 febbraio.

Quanto ai numeri reali, il direttore per le emergenze dell’Oms per la regione, Rick Brennan, ha detto alla Reuters dopo un suo viaggio in Iran nella prima metà di marzo che le cifre reali potevano essere cinque volte tanto quelle dichiarate, perché i test venivano fatto solo sui casi più gravi (come del resto anche in Italia).

Inoltre, uno studio della Sharif University di Teheran stimava a metà marzo che nella peggiore delle ipotesi – nel caso cioè non venissero prese misure adeguate e non vi fosse accesso a a farmaci e strumenti medici – vi potrebbero essere 3,5 milioni di morti.

A fine marzo, e dopo un irrigidimento delle misure preventive, uno studio governativo parlava della possibilità di 11 mila morti fino alla fine della crisi.

D – Anche la sanità in Iran ha risentito pesantemente delle sanzioni Usa, che impediscono anche all’Europa di avere relazioni commerciali e finanziarie con l’Iran. Può essere un motivo della già grave emergenza?

R – Certamente sì, perché le sanzioni secondarie chiudono all’Iran i canali per pagare le forniture mediche e farmaceutiche dall’estero, nonostante i beni umanitari siano esclusi formalmente dalle sanzioni. E gli ostacoli rimangono anche dopo che la Svizzera, solo poche settimane fa, ha istituito un canale finanziario proprio per favorire i rifornimenti medici.

Sono meccanismi complicati di cui è difficile dare conto qui, ma che proprio per la loro complessità permettono alla Casa Bianca di negare questa realtà e perfino di fare offerte di aiuto all’Iran, che giustamente sono state giudicate ipocrite e rifiutate sia dal governo che – con toni diversi – dalla Guida Ali Khamenei.

Proprio per garantire le forniture mediche, nei giorni scorsi è diventato finalmente operativo l’Instex, lo strumento finanziario creato dall’Europa per proseguire con alcune transazioni commerciali con l’Iran, limitate all’alimentare e ai beni umanitari.

Detto questo, nessuno qui nega che la dirigenza iraniana abbia gravi responsabilità nella crisi dell’economia, che a sua volta contribuisce alla difficoltà di affrontare l’emergenza virus.

Ma come possiamo aspettarci che Teheran prenda misure di blocco totale delle attività produttive, come quelle che ha preso l’Italia contando su un sostegno europeo, quando le sanzioni hanno ridotto a meno di un quinto l’export del petrolio iraniano, l’Iran è economicamente isolato e tanta parte della popolazione vive solo grazie ad attività precarie o sommerse?

Se l’accordo sul nucleare fosse stato rispettato da tutti, ora l’Iran avrebbe più possibilità di combattere efficacemente il virus, senza mettere a rischio anche altri Paesi, mediorientali e non solo.

D – Ritiene che gli USA e l’EU ci ripenseranno in tema di sanzioni, data la situazione drammatica e tendenzialmente tragica per tutti?

R – Un ripensamento agli Usa lo hanno chiesto in tanti, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) agli otto Paesi che hanno l’hanno proposto in occasione del G20, e fra questi la Russia e la Cina, firmatari dell’accordo sul nucleare.

Da allora le richieste di allentare le sanzioni si sono moltiplicate, nel mondo politico come nella società civile.

L’Europa in questi ultimi due anni ha invece perso molte occasioni per rispettare gli impegni presi con il nuclear deal, come gli aveva ripetutamente chiesto Teheran, e affermare una propria indipendenza dagli Usa. Ma non è mai troppo tardi.

Una moratoria è stata chiesta anche da un gruppo di parlamentari del M5S, e il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha sostenuto con i colleghi europei la necessità che le sanzioni non pregiudichino la lotta al virus in Iran.

Ora l’Europa ha promesso l’invio di aiuti umanitari per 20 milioni di euro e l’Alto rappresentante Josep Borrell ha riferito che i 27 hanno anche concordato di sostenere le richieste di Iran e Venezuela al Fondo monetario internazionale.

Teheran infatti, per la prima volta in 60 anni, ha chiesto un prestito da 5 miliardi di dollari per far fronte anche ai contraccolpi dell’epidemia sulla sua economia, ma c’è il rischio che gli Usa pongano il veto.

Se lo facessero, sarebbe un vero disastro che rischia di favorire non tanto la fine della Repubblica Islamica, cioè l’auspicato regime change, ma un ulteriore rafforzamento dell’ala dura interna.

D – Perché tanto allarme internazionale sul programma nucleare iraniano?

R – Per giustificare la politica di “massima pressione” contro l’Iran, alcuni continuano a dire che l’Iran è sempre ad un passo dalla bomba atomica.

Ignorando che per l’Iran arrivare a quell’obiettivo equivarrebbe ad un suicidio, visto che Usa e Israele non glielo permetterebbero di certo.

E che le sue strategie di difesa sono altre, come il controllo da remoto di varie milizie nella regione e il suo programma di missili balistici convenzionali.

D – Cosa l’ha colpita di più di quel Paese? Quando ci sono stato mi ha colpito la gioventù, soprattutto quella femminile: numerosa, vivacissima, molto scolarizzata, studi universitari diffusi ed enorme curiosità per il mondo esterno.

R – La situazione attuale non è molto diversa: il 70% della popolazione ha meno di 40 anni, le donne sono il 60% circa degli studenti universitari e scelgono spesso materie scientifiche.

I giovani insomma sono gli stessi, ma le loro speranze sono state deluse dal fatto che gli Usa di Trump sono usciti dal nuclear deal mettendo quasi in ginocchio l’economia del Paese.

E quindi molti di loro si sono rassegnati ad andare all’estero. Un vero e proprio ‘brain drain’ che sta facendo perdere all’Iran le sue risorse umane migliori e rafforzando così la prevalenza, politica e numerica, di quella parte del paese meno aperta al mondo e al cambiamento.

D – Ho però anche capito che c’è una grande, enorme diffusione della corruzione nella classe dirigente.

R – Certo, è uno dei grandi problemi dell’Iran – come del resto di molti altri paesi vicini – e contro la quale si sono rivolte le vaste proteste del novembre 2019, subito duramente represse.

Senza voler attribuire una funzione salvifica al nuclear deal, tuttavia credo che, se vi fosse stata l’apertura dell’economia iraniana agli investimenti stranieri e a maggiori e trasparenti interazioni finanziarie e commerciali, vi sarebbe stato più spazio per l’imprenditoria privata.

Essa invece fatica a trovare il suo posto in un’economia dominata dai Guardiani della rivoluzione, che si ritiene controllino il 30-40% dell’economia, e dalle potenti fondazioni religiose (Bonyad).

Insomma, l’interazione con l’imprenditoria e i governi stranieri, soprattutto nei grandi investimenti infrastrutturali per i quali anche l’Italia aveva firmato accordi per 30 miliardi di euro, avrebbero sicuramente favorito una maggiore trasparenza nell’economia.

Al contrario, le nuove sanzioni che colpiscono anche gli operatori economici e finanziari non americani ma che operano sia con l’Iran che con gli Usa, favoriscono l’opacità e i traffici sommersi (pensiamo solo al contrabbando) finendo per rafforzare proprio i potentati semi-monopolistici, che si arricchiscono grazie alle sanzioni mentre la gente comune ne viene drammaticamente impoverita.

D – Insomma, c’è il rischio che evitando di aiutare l’Iran a combattere l’attuale pandemia questo coronavirus venga usato di fatto come arma biologica contro l’Iran?

R . Di fatto gli Usa stanno mostrando di vedere nel virus un inatteso strumento a favore delle loro politiche per porre fine alla Repubblica Islamica. Dimenticando però che, se il virus non si combatte efficacemente anche in Iran, la pandemia non sarà mai sconfitta.