America da Trump a Biden, analisi di Noam Chomsky introduce il libro di Pino Nicotri: Usa fra Cina e Afghanistan

di Pino Nicotri
Pubblicato il 21 Novembre 2021 - 08:00| Aggiornato il 22 Novembre 2021 OLTRE 6 MESI FA
America da Trump a Biden, analisi di Noam Chomskiintroduce il libro di Pino Nicotri: Usa fra Cina e Afghanistan

America da Trump a Biden, analisi di Noam Chomsky introduce il libro di Pino Nicotri: Usa fra Cina e Afghanistan

America e il mondo, come li vede Noam Chomsky, in 3 mila parole. L’intervista accompagna il nuovo libro di Pino Nicotri,  “”America is back!” – Joe Biden, gli Stati Uniti e il mondo”.  (Traduzione dell’intervista di Alice Nicotri).

1 – Donald Trump il 31 marzo 2017 ha dichiarato: “L’America è il paese che guiderà coraggiosamente il mondo nel futuro”. Joe Biden il 6 giugno di quest’anno ha dichiarato: “Gli Stati Uniti devono guidare il mondo da una posizione di forza”.

Queste dichiarazioni non suggeriscono che la politica estera di Biden non differisce molto da quella di Trump? Biden parla anche esplicitamente di “forza”, ovviamente soprattutto forza militare.

RISPOSTA Ci sono alcune differenze in politica estera, ma non molte.  E’ un insieme di cose.  Parte del problema del confronto è che Trump era poco coerente in termini di politica estera.   Il suo obiettivo era principalmente quello di distruggere ciò che non aveva creato lui stesso. E di insistere affinché fosse conforme alla sua volontà.
Le questioni più importanti che l’uomo deve affrontare sono la distruzione ambientale e la guerra nucleare.
Trump si è dedicato alla rapida distruzione dell’ambiente in cui viviamo mettendo davanti i profitti a breve termine per la sua prima circoscrizione. Ricchezza estrema e potere aziendale.  Ha fatto il possibile per massimizzare l’uso dei combustibili fossili. E per eliminare la regolamentazione che in qualche modo ne mitigava gli effetti, oltre a ritirarsi dagli accordi di Parigi.

Trump ha distrutto quanto più poteva il sistema di controllo delle armi che era stato faticosamente costruito in molti decenni. E ha favorito la creazione di armi nuove e più pericolose.

Biden si è riconciliato con il mondo sulla crisi climatica. E ha cercato di fare degli sforzi –anche se inadeguati, al di là di ogni precedente – per affrontare questa urgente crisi.   

Il partito repubblicano di Trump sta bloccando qualsiasi sforzo di questo tipo, all’unanimità. Seguendo il principio apertamente annunciato dal leader del partito Mitch McConnell. Bloccare qualsiasi cosa che Biden cerchi di realizzare, non importa quanto siano disastrosi gli effetti. E riversare la colpa per le conseguenze ai democratici per poter poi tornare al potere.

Sulla guerra nucleare, Biden è riuscito a salvare il trattato New Start nelle ore precedent la sua scadenza, ma oltre a questo ha proceduto molto sulla falsariga di Trump.

Trump ha offerto a Israele tutto ciò che i suoi elementi più estremi volevano.  Biden ha sostanzialmente adottato questa politica, ma senza la ferocia gratuita di Trump, come il taglio del UNRWA, ancora di salvezza UNRWA per la mera sopravvivenza a Gaza.

Trump si è ritirato dall’accordo congiunto con l’Iran (JCPOA): e ha imposto dure sanzioni all’Iran punendo gli iraniani per violazione dell’accordo commessa da lui.

Biden ha praticamente adottato la politica di Trump, pur dimostrando una certa disponibilità a rientrare nel JCPOA.

Sulla Cina, Trump ha vacillato.  Biden ha adottato una linea molto più dura, includendo azioni provocatorie che alzano il livello di uno scontro molto pericoloso laddove è necessaria la diplomazia ed è praticabile.

Trump, e ora il partito repubblicano che egli possiede in gran parte, ammirano molto le “democrazie illiberali” come l’Ungheria di Orban. E, tornati al potere, è probabile che stringano alleanze più strette con loro.  Non con Biden.

2 – Sulla forza militare: Ike Eisenhower il 17 gennaio 1961 nel suo discorso d’addio alla Casa Bianca, dopo due mandati da presidente, rivelò l’esistenza del “complesso militare industriale” statunitense.

E la sua capacità potenzialmente forte di influenzare la politica. Sono passati 60 anni: cosa è cambiato? Il “complesso industriale militare” ha perso potere o lo ha aumentato?

R – Eisenhower sapeva molto del complesso militare-industriale, perché lo ha adottato per 8 anni.  È difficile distinguerlo dall’economia high tech- Che è stata ampiamente sviluppata negli anni ’50 e ’60 grazie ai finanziamenti del Pentagono. Proprio come la moderna industria basata sulla biologia contribuisce sostanzialmente allo sviluppo delle componenti nel sistema sanitario statale.

Ed è il risultato naturale della combinazione di base sussidio pubblico/profitto privato.
Nelle prime bozze del discorso di Eisenhower veniva chiamato il complesso militare-industriale-congressuale. Per indicare come il complesso militare e industriale sia integrato con il sistema politico. 

Il capitalismo di Stato (e di tutte le società sviluppate) assume una varietà di forme. Negli Stati Uniti, in parte a causa del loro ruolo nel dominio globale, ha avuto una componente militare molto più grande che, per esempio, in Giappone.

3) – La risoluzione 68 del Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC), con le sue 58 pagine scritte nell’aprile del 1950 durante la guerra di Corea, che rimase un segreto fino alla metà degli anni ’70, raccomandava un massiccio aumento degli investimenti militari.

A sostegno di un impegno politico, militare e morale globale urgentemente necessario da parte degli Stati Uniti.

L’NSC aveva notato che la seconda guerra mondiale e la guerra di Corea avevano portato a un’enorme espansione dell’industria degli armamenti. E che questo stava guidando una grande espansione dell’industria civile e dell’occupazione. Il presidente Truman firmò il documento dell’NSC all’insaputa del Congresso.
Si può dire che Eisenhower con il suo discorso sul “complesso industriale militare” abbia indicato le conseguenze della politica di Truman basata su quella risoluzione NSC?

R- NSC 68 dovrebbe essere letto attentamente.  Come dice lei, chiedeva un’enorme espansione delle spese militari e solo per pura isteria.  Si legge come una favola. Il male puro contro la perfezione pura. Il “disegno fondamentale [dello] stato schiavo” (la Russia). Il cui “scopo inarrestabile” e la cui intrinseca pulsione è quella di ottenere “il potere assoluta sul resto del mondo”. Distruggendo ovunque tutti i governi e la “struttura della società.   

Al contrario, lo “scopo fondamentale” degli Stati Uniti sarebbe quello di assicurare “la dignità e il valore dell’individuo” ovunque. I suoi leader sono animati unicamente da “impulsi generosi e costruttivi. E da assenza di cupidigia nelle relazioni internazionali”.

Qualità particolarmente evidenti nei domini tradizionali dell’influenza statunitense, che hanno goduto del privilegio dei “nostri lunghi sforzi continui per creare e ora sviluppare il sistema interamericano”.

In America Latina stanno apprezzando da molti anni la benevolenza degli Stati Uniti.

Dean Acheson, uno degli autori del documento, scrisse in seguito nelle sue memorie che era necessario essere “più chiari della verità”. Per “spingere” il Congresso ad accettare il ritorno ad un’economia di guerra.  L’influente senatore Arthur Vandenberg aggiunse che era necessario “spaventare a morte il Paese” per far accettare questo programma ad una popolazione pacifista.

Ci sarebbe molto altro da dire su questo sforzo quasi fanatico di evocare un nemico mostruoso.  Non è l’unico esempio ed è un processo continuo.  Naturalmente, i leader statunitensi non hanno inventato questo strumento,  pur avendolo brandito con molta efficacia nel corso della storia degli Stati Uniti.

4) – Sarebbe esagerato concludere che gli USA hanno capito e deciso fin dal 1950 che avere una tensione politico-militare internazionale continua, tra la guerra fredda e alcune vere e proprie guerre locali – come quelle in Vietnam, Corea e le due guerre contro l’Iraq – è un potente incentivo per la propria economia?

Un potente incentivo anche per lo sviluppo tecnologico, industriale e la ricerca scientifica che dal nucleare alle sonde su Marte ha sempre un lato militare, e per lo sviluppo tecnologico e industriale. 
Quindi, considerando tutto questo, sarebbe sbagliato sostenere che c’è un eterno bisogno dell’esistenza di un “Nemico Necessario” per la politica statunitense e il loro sistema produttivo?

R – Niente è mai così semplice, ma è vero che inventare un nemico mostruoso che sta per distruggerci è un modo efficace per mobilitare una popolazione a sostegno degli obiettivi di un sistema di potere. 

Negli Stati Uniti questa narrazione risale agli albori, anche prima della loro fondazione.  La Dichiarazione d’Indipendenza accusa Re Giorgio III di aver scatenato gli “spietati selvaggi indiani” contro gli innocenti coloni amanti della pace.  Thomas Jefferson, che non era uno sciocco, naturalmente lo sapeva bene.

5) – Per molti anni, l’Iran è stato oggetto di lamentele, accuse, molti tipi di sanzioni e pressioni, compresa l’uccisione di alcuni scienziati nucleari, per impedirgli di produrre bombe atomiche. Tuttavia, ci sono cose che vengono tenute nascoste.

a) – Nel 1967 gli Stati Uniti hanno fornito all’Iran il reattore di ricerca di Teheran (TRR) e una partita di uranio altamente arricchito. In effetti, questo reattore nucleare funziona ancora oggi.

b) – Negli anni ’70, il presidente Nixon autorizzò anche la collaborazione, il leasing e poi addirittura la vendita all’Iran del laboratorio di fisica nucleare del Massachusetts Institute of Technology (MIT), nonostante lo scià Reza Palahvi avesse esplicitamente affermato che intendeva utilizzarlo “per produrre bombe atomiche il più presto possibile”. 

La vendita non andò in porto solo per le proteste di studenti e professori guidati dal professor Chomsky, che denunciarono alla stampa che la collaborazione del MIT con Teheran consisteva nel “dare in affitto il dipartimento di ingegneria nucleare allo scià in cambio di una somma di denaro non specificata”.

Insomma, se gli ayatollah non hanno avuto le bombe atomiche per decenni è anche e soprattutto merito suo, professore.
Come ha vissuto quell’evento e cosa l’ha spinta ad opporsi con forza?

R – Sono stato uno dei pochi docenti – a cui si è unita, curiosamente, la stragrande maggioranza degli studenti. Che si sono opposti agli accordi in gran parte segreti, stipulati essenzialmente per fornire alla tirannia assassina dello scià il dipartimento di ingegneria nucleare.  Le ragioni per opporsi a questo accordo mi sembrano abbastanza ovvie.  Ma abbiamo fallito.  L’accordo è andato in porto.

La sua esatta natura era sconosciuta e forse lo è ancora.  Non sapevamo allora che lo scià avesse reso chiaro il suo intento di produrre armi nucleari. Anche se sicuramente il governo degli Stati Uniti lo sapeva, forse anche altri.

Sembra che l’Iran abbia iniziato ad considerare la possibilità di sviluppare armi nucleari dopo l’aggressione subita da parte di Saddam Hussein, con annesso ricorso alle armi chimiche, che è costata cara all’Iran.
L’amministrazione Reagan sostenne fortemente Saddam e alla fine intervenne direttamente per costringere l’Iran a capitolare. 
A Reagan è succeduto George H.W. Bush, che invitò il proprio amico Saddam a inviare negli Stati Uniti gli ingegneri nucleari iracheni per un addestramento avanzato nella produzione di armi. 
La storia d’amore finì pochi mesi dopo, quando Saddam invase il Kuwait.

America preoccupata: per questo invase l’Iraq

Molte altre cose vengono taciute anche se le prove sono facilmente disponibili. 
Una di queste è che la preoccupazione per i programmi di armi nucleari iraniani è una farsa. 
Se ci fosse una preoccupazione reale, potrebbe essere facilmente superata disponendo una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente, con ispezioni intensive.  Sappiamo che ciò funzionerebbe  grazie all’esperienza del JCPOA prima che Trump lo smantellasse. 

Chi si opporrebbe?  Non gli stati arabi, che l’hanno sostenuto con forza per 20 anni. E non l’Iran, che l’ha fortemente sostenuto.  Né il Sud globale (detto anche G-77), che pure lo sostiene vigorosamente.  Non l’Europa, che non solleva obiezioni. 
Piuttosto, gli Stati Uniti, che pongono il veto alla proposta quando si presenta nei forum internazionali, da ultimo Obama nel 2015. 

Tutti conoscono le ragioni: richiederebbe l’ispezione dell’enorme arsenale nucleare di Israele.   Infatti, gli Stati Uniti non riconoscono ufficialmente che Israele abbia armi nucleari. E anche in questo caso per buone ragioni. Ammetterlo metterebbe in gioco delle disposizioni della legge americana suscettibili di rendere illegali gli aiuti statunitensi a Israele.

Nessuno dei due partiti politici vuole aprire queste porte. E quando infuriano contro la minaccia delle armi nucleari iraniane, i media tacciono educatamente tutto questo.

6) – Cosa pensa della fine della guerra e della presenza militare occidentale in Afghanistan?

R – La guerra non è finita.  Gli Stati Uniti si riservano l’opzione di ulteriori bombardamenti e forse altre attività delle forze speciali.

Nel febbraio 2020, il presidente Trump ha negoziato con i talebani il ritiro degli Stati Uniti, senza nemmeno preoccuparsi di informare il governo afgano.

Ha scelto il peggior momento possibile: maggio, l’inizio della stagione dei combattimenti.  Il ritiro non ha imposto alcuna condizione ai talebani, tranne quella di non sparare sui soldati americani in partenza. 

Il Partito Repubblicano, che ora venera Trump come una semi-divinità, ha salutato questo atto come un grande risultato di importanza storica. E lo ha presentato nella propria pagina web finché si è rivelato un fiasco. 

A fiasco avvenuto, cioè a sconfitta avvenuta, tale “risultato storico” è stato tolto dalla pagina web dei repubblicani. Che sono passati a denunciare Biden per aver perseguito quella che è semplicemente una versione migliorata del tradimento di Trump. Ritardando il ritiro dall’Afghanistan per diversi mesi e imponendo alcune condizioni.

7) – L’accordo di Doha per lasciare l’Afghanistan è stato avviato dal presidente Donald Trump e firmato dal segretario di Stato Mike Pompeo il 29 febbraio dello scorso anno. Cos’altro avrebbe potuto fare il presidente Joe Biden se non ritirarsi dall’Afghanistan?

R – Biden non doveva attenersi alla slealtà di Trump.  Era abbastanza chiaro – posso citare quello che scrissi all’epoca – che quando la America avrebbe iniziato a ritirarsi il governo afgano, un pantano di corruzione, sarebbe rapidamente crollato.

E che l’esercito, nella misura in cui esisteva, si sarebbe eroso. Molti erano “soldati fantasma”, arruolati per permettere ai comandanti di rubare i fondi.  Molti soldati non erano stati pagati o riforniti. E avevano poco incentivo a combattere una battaglia persa per un governo senza legittimità imposto da una potenza straniera.

In alternativa, Biden avrebbe potuto, per la prima volta, prestare attenzione al popolo dell’Afghanistan. Ritardare il ritiro per permettere loro di avere voce in capitolo e di perseguire le sistemazioni locali che spesso erano in corso. 

Naturalmente, sarebbe stato criticato dai repubblicani per essersi allontanato dai metodi del Genio Trump, “l’eletto”, come si è descritto, con gli occhi alzati al cielo. Mandato sulla terra dal Signore per salvare Israele dall’Iran, come ha intonato il segretario di Stato Pompeo.  Sarebbe stata un’impresa politica audace e forse impossibile e possiamo solo fantasticare su come sarebbe potuta andare a finire. 
Ma per quanto si sa, tali idee non sono mai state contemplate.

8) – L’Afghanistan potrebbe diventare un pericolo per l’Occidente alimentando il terrorismo in Europa e negli Stati Uniti?

R- Il terrorismo a base afghana è un problema serio per la Cina.  L’Afghanistan potrebbe diventare una base per azioni che si oppongono alla repressione cinese delle comunità turche nelle  province occidentali della Cina.

In questo momento, i talebani sono in guerra con una propaggine dell’ISIS.  L’Afghanistan non ha alimentato il terrorismo in Europa e negli Stati Uniti, anche se ha ospitato al-Qaeda, in una relazione scomoda.  È improbabile che i talebani sostengano la rinascita di gruppi terroristici islamici, ma potrebbero non essere in grado di impedirla qualora il paese diventi ingovernabile.

9) – La “guerra fredda” degli Stati Uniti e il commercio contro la Cina potrebbero portare ad una guerra militare?

R – Possiamo affermare con piena fiducia che non sarà così – perché se ci sbagliamo, la distruzione sarà così travolgente che nessuno si preoccuperà di ritenerci responsabili.  Gli Stati Uniti e la Cina devono cooperare – sul riscaldamento globale, le armi nucleari, le questioni di sicurezza, le pandemie e altro, altrimenti siamo condannati.  Possono e devono farlo. 

Ci sono ampie opportunità per iniziative diplomatiche per affrontare le aree di contesa.  Non c’è posto per azioni altamente provocatorie che intensificano la minaccia di un conflitto.  C’è molto da dire su questi argomenti, ma non è questo il luogo.

10) – Dopo la strategia “Pivot to Asia” lanciata dal presidente Barack Obama, Biden vuole anche trasformare il Mar Cinese Meridionale in una cintura di contenimento per la Cina.

E usare India, Giappone e Australia come una potente barriera politica territoriale contro la Cina. Cosa pensa della volontà di Biden di “contenere” la Cina?

R – Il pretesto nel Mar Cinese Meridionale è la “libertà di navigazione”.
Come spesso accade è una scusa.  Non c’è stata alcuna minaccia alla libertà di navigazione. 
Piuttosto è in gioco una questione tecnica sull’interpretazione di una disposizione della Legge del Mare del 1982 (ratificata da tutte le potenze marittime tranne gli Stati Uniti, che si sono rifiutati di farlo, come spesso accade in fatto di ratifiche). 

La legge assegna ad ogni stato una zona di economica esclusiva (ZEE) di 200 miglia, all’interno della quale non dev’esserci “minaccia o uso della forza” da parte di una potenza straniera. 

In America interpretano questa diposizione come un permesso per operazioni militari e di intelligence all’interno di tali zone economiche esclusive.

La Cina, invece, lo interpreta come un divieto di tali operazioni.

La Cina è sostenuta dall’India, che recentemente ha protestato contro le manovre militari statunitensi all’interno della sua ZEE. 

Questa è sicuramente una questione che può essere risolta con la diplomazia, non con l’invio di un’armata navale per difendere la “libertà di navigazione”. O con il recente accordo AUKUS, un atto altamente provocatorio il cui unico effetto sarà quello di aumentare il livello di scontro.

America in EO: cosa dà all’Australia

L’accordo fornisce all’Australia una flotta di sottomarini nucleari, pubblicizzati come capaci di affondare la flotta cinese in tre giorni e di presentarsi senza preavviso nei porti cinesi.  Non saranno operativi per circa 15 anni, quando la Cina avrà sicuramente ampliato le sue forze militari per affrontare questa grossa minaccia.

L’esercito degli Stati Uniti, naturalmente, è molto più potente di quello cinese, anche nel Mar Cinese Meridionale. Dove la Cina ha una manciata di vecchi sottomarini rumorosi che non possono sfuggire al mare a causa della schiacciante potenza degli Stati Uniti.  Un sottomarino nucleare degli Stati Uniti può distruggere quasi 200 città in tutto il mondo.  La Cina non ha nulla di lontanamente paragonabile.

Ci sono questioni locali nel Mar Cinese Meridionale, dove la Cina sta violando il diritto internazionale costruendo isole. 

Questa è una questione che le potenze regionali devono affrontare, non una base per azioni altamente provocatorie da parte dell’egemone globale, cioè gli USA. Che si dà il caso sia un fuorilegge internazionale privo di qualunque rispetto per il diritto internazionale, a parte le pie dichiarazioni sulle malefatte di qualche nemico.

11) – L’Afghanistan è ricco di importanti minerali, oltre che di petrolio. Farà accordi commerciali politici con la Cina per sfruttarli?

R – In questo momento ci sono due approcci all’Afghanistan nella diplomazia internazionale.  Uno è quello delle potenze regionali, guidate dalla Cina, all’interno della Shanghai Cooperation Organization. Eccetto l’India, chiedono di impegnarsi con i talebani, esortandoli a diventare più inclusivi e a moderare le loro azioni.

Soprattutto fornendo aiuti per superare le gravi crisi umanitarie che la popolazione affronta.  Hanno anche proposto che  l’economia afgana si sposti dalla produzione di oppio allo sfruttamento delle loro notevoli risorse minerarie. 

Il secondo approccio è quello degli Stati Uniti. Rifiutare di impegnarsi con i talebani, imporre dure sanzioni. E rifiutare di rilasciare i fondi del governo afgano detenuti nelle banche statunitensi, aggravando così naturalmente la crisi umanitaria. 
Gli Stati Uniti sono affiancati dall’India e, a quanto pare, dalle istituzioni finanziarie internazionali, che trattengono i prestiti.

Quale corso prevarrà, lo vedremo.  Non c’è bisogno che io dica quale mi sembra preferibile. 

(Traduzione dell’intervista di Alice Nicotri).