Terrorismo, l’Isis sfoga la sua impotenza. I precedenti italiani

di Pino Nicotri
Pubblicato il 15 Maggio 2018 - 06:55 OLTRE 6 MESI FA
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Terrorismo, l’Isis sfoga la sua impotenza. I precedenti italiani

Terrorismo, l’Isis sfoga la sua impotenza. Un altro gesto di violenza omicida, questa volta di nuovo a Parigi, prontamente rivendicato dall’Isis. Ammesso che non si tratta del gesto di un folle, [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui, Ladyblitz – Apps on Google Play] cavalcato dall’Isis per darsi importanza e incutere ancor più paura, il nuovo ucciso e i nuovi feriti di Parigi seguono la ventina di morti e le decine di feriti falcidiati con furgone esplosivo, auto sulla folla e coltellate varie lo scorso agosto in sole 40 ore a Barcellona e Cambrils in Spagna, a Turku in Finlandia e a Surgut in Russia.

Più i 305 morti e gli oltre 100 feriti del terribile attentato dello scorso novembre a una moschea sufi in Egitto, talmente orrendo che prudentemente non è stato neppure rivendicato. Nonostante l’immane carico di dolore disseminato un po’ ovunque e la sua grande brutalità, l’Isis dimostra con estrema chiarezza una cosa peraltro già chiara da tempo: dimostra di non avere una strategia, ma solo una tattica che trascina qua e là senza possibilità di costrutto alcuno. Non si tratta cioè di terrorismo funzionale e di supporto a una strategia con un programma realizzabile, quale che esso sia, buono o mostruoso, si tratta solo di terrorismo fine a se stesso: un elemento di disturbo, e di disturbo purtroppo sanguinoso, ma sterile, senza sbocchi vincenti positivi, che possano cioè davvero cambiare, in meglio o in peggio, le società che man mano colpisce. Il rischio è che diventi una routine, come i morti sul lavoro o per incidenti automobilistici, con cui c’è il rischio che si debba convivere a lungo. Ma la strategia, intesa come disegno e programma che punta a costruire qualcosa, di buono o di cattivo che sia,  NON c’è.

 Facciamo degli esempi e ne bastano due anche se se ne potrebbero fare ben di più.

1) – Durante la Rivoluzione Francese c’è stata una fase tremenda chiamata non a caso Il Terrore. E ci fu anche la stagione del Grande Terrore. La ghigliottina, inaugurata a bella posta, lavorava a pieno ritmo senza andare troppo per il sottile e finì col ghigliottinare anche chi il Terrore lo aveva voluto e cavalcato, a partire da Robespierre.

Alla fine anche il Terrore dovette cedere il posto a una politica meno feroce, ma in ogni caso aveva fatto da supporto a quell’enorme ed epocale sconvolgimento vincente che va sotto il nome di Rivoluzione Francese. Senza la quale saremmo ancora servi sfruttati dai cosiddetti nobili e dal clero e vivremmo nell’oscurantismo privo anche e soprattutto del sapere scientifico e tecnologico che oggi ci caratterizza.

 2) – Durante gli anni fine ’60 e gli anni ’70-’80 in Italia c’è stato il terrorismo nero, dei fascisti e dei neonazisti, più o meno supportati da apparati statali, e c’è stato anche il terrorismo rosso, quello delle Brigate Rosse prima e anche di Prima Linea dopo. Andiamo per ordine.

 A- Il terrorismo nero non ha mai avuto una strategia globale, non ha mai avuto progetti particolareggiati di cambiamenti strutturali in Italia, ma si è limitato a seminare bombe e morti con la speranza di ottenere così un tale disordine sociale e politico e una tale rabbia generalizzata da scatenare per reazione una presa del potere da parte dei militari o di un’estrema destra supportata dalla Nato. E’ stata insomma una sorta di macabra danza della pioggia che non è mai riuscita a far piovere, se non il sangue di qualche decina di vittime.

 B –  Il terrorismo rosso, delle Brigate Rosse, di fatto ultimi fuochi della Resistenza, e quello di Prima Linea, nata dal servizio d’ordine e dalla corrente de La Forza del gruppo extraparlamentare di sinistra Lotta Continua, di morti ne hanno fatti molti di più.

Prima Linea aveva una sua strategia, anche se più velleitaria e meno chiara di quella delle Brigate Rosse, ma è rimasta nel campo del giustizialismo: colpire cioè persone ritenute a torto o a ragione colpevoli di eccessi nei confronti dei lavoratori e del proletariato in genere.

 Le Brigate Rosse invece a un certo punto si misero a colpire obiettivi ben precisi perché volevano “disarticolare” lo Stato, le istituzioni e la società. Il libro “L’ape e il comunista”, scritto a fine anni ’80 da brigatisti in carcere, chiariva in modo inequivocabile che si doveva colpire non alla cieca, non “i cattivi”, ma “gli uomini cerniera”: gli uomini cioè non facilmente sostituibili che facevano funzionare le istituzioni, la produzione, che facevano da asse portante della realtà istituzionale, sociale, produttiva, informativo comunicativa, e da collante tra classi sociali e realtà diverse. I brigatisti speravano che colpendo le cerniere e gli assi portanti sarebbe crollato l’intero palazzo, da sostituire con un’altro totalmente diverso. Di colore rosso. Però con il sequestro e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro avevano portato lo scontro “militare” con lo Stato a una tale livello che potevano solo perderlo. Come infatti per fortuna è stato.

 Come è noto, il terrorismo nero è rimasto una variabile facilmente riconducibile alla cuccia dai suoi manovratori, come in effetti è poi successo, e quello rosso non è riuscito a far crollare il palazzo. Eppure il terrorismo rosso aveva una strategia ben chiara, molto articolata e pubblicizzata da una marea di pubblicazioni clandestine e non, disponeva di appoggi molto robusti di piazza e di grandi simpatie in molti strati sociali, in particolare nelle grandi fabbriche e nelle Università. L’ex ministro dell’Interno ed ex capo di Stato Francesco Cossiga ha calcolato che a un certo punto “la lotta armata” di sinistra poteva contare su un bacino capillare di più o meno 100 mila persone armate o immediatamente armabili, comunque disponibili alla lotta armata, in parte anche già entrate in clandestinità.

 L’Isis non ha  nulla di tutto ciò in nessun Paese europeo e occidentale, dove è impossibile che possa arrivare a disporre di 100 mila uomini armati o immediatamente armabili anche perché polizia e servizi segreti non avrebbero da controllare milioni e milioni di cittadini, ma molti di meno. Perfino la martoriata Siria è stata fatta invadere  da milizie composte in prevalenza da non siriani.

L’Isis non ha appoggi di massa e capillari in nessuno strato e  classe sociale europea e occidentale, neppure tra i numerosi immigrati musulmani. E soprattutto non ha una strategia che non sia il solito delirio di volontà di potenza e di egemonia vendicativa su tutta l’Europa e l’intero Occidente. Come ha scritto anche lo storico di fede cattolica Franco Cardini non solo nei suoi libri L’ipocrisia dell’Occidente e “«L’Islam è una minaccia» (Falso!)”, l’Isis può invadere e dominare l’Europa solo nella fantasia malata di qualche suo fanatico leader e nell’interessato allarmismo di politici e partiti europei decisi a seminare a man bassa la paura e ad alimentarla il più possibile per raccogliere a man bassa voti prima e il potere dopo.

L’Isis somiglia più al terrorismo di destra che a quello di sinistra dei nostri anni di piombo, entrambi comunque pesantemente sconfitti. E somiglia in particolare al terrorismo di destra perché come quello è finanziato e manovrato da realtà occidentali – e da loro alleati musulmani come i sauditi – che se ne servono per seminare disordine dove interessa poter poi avere il pretesto buono per intervenire manu militari con la scusa di  “ristabilire la pace”. Vedi l’Afganistan, la Libia e la Siria, per ora.

 Insomma, l’Isis può fare stragi, seminare lutti, paura e incertezze  versando sangue e lacrime altrui, cioè nostre, nelle più svariate località europee e non europee, ma oltre questo non può andare. E’ destinata quindi a una sicura sconfitta. Purtroppo la sua sconfitta non avverrà in tempi brevissimi, visto che ha padroni interessati a tenerla comunque in vita, magari in un letargo dal quale farla uscire se e quando utile. E magari con un nome diverso: talebani prima, Al Qaeda poi, Isis per adesso, poi si vedrà. Ma la sostanza non cambia.

Come spesso fanno gli impotenti, l’Isis si sfoga con violenza direttamente proporzionale alla propria impotenza.