Pensioni, sette milioni sotto 1000 euro. Ma neanche dovevano averla la pensione

di Riccardo Galli
Pubblicato il 16 Luglio 2012 - 13:59 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – In Italia ben sette milioni di pensionati percepiscono di assegno meno di 1000 euro al mese. Pensioni da fame, con cui è verosimilmente difficile se non impossibile arrivare a fine mese. Delle pensioni con importi simili sono quasi un affronto dopo una vita di lavoro. Vero, peccato che quei sette milioni di pensioni da meno di 1000 euro non siano il frutto di una vita di lavoro e di contributi pagati. Quelle pensioni misere sono assistenza pubblica e non diritto contributivo, quei sette milioni di pensionati sotto i mille euro hanno bisogno estremo ma non diritto ai pochi euro che prendono.

Un’affermazione politicamente più che scorretta, ma vera. A fare i conti e a raccontare che non gli importi, ma la natura di quei sette milioni di prestazioni pensionistiche è discutibile, è Alberto Brambilla, docente dell’Università Cattolica di Milano, sul Corriere della Sera. “L’Istat, e lo conferma il ministro del Lavoro, dichiara che circa 7 milioni di pensionati prendono meno di 1.000 euro al mese. È vero ma le cose non stanno proprio così. La verità è che abbiamo circa 7 milioni di pensionati che raggiunti i 65 anni (in generale), e non avendo pagato i contributi sociali sufficienti per ottenere la pensione minima (basterebbero circa 16 anni di contribuzione regolare), beneficiano di una integrazione fornita dallo Stato e a carico della fiscalità generale (cioè di tutti noi). Infatti calcolando la pensione secondo quanto hanno versato, dovrebbero percepire cifre modeste (100-200 euro al mese) che vengono integrate fino a 600 euro o più in presenza del coniuge. E’ ovvio che con 600 euro non si vive bene ma la domanda, che mi rendo conto è forte, è: sono tutti stati sfortunatissimi? In 65 anni di vita non sono riusciti a lavorare regolarmente per 16 anni? Ma se è così non hanno neppure pagato le tasse. Ora 7 milioni di pensioni su un totale di 23.557.241 rappresentano il 30%; è difficile credere che un Paese con il livello di vita come il nostro (ai primi posti tra i Paesi industrializzati per numero di autoveicoli, moto, case, telefonini ecc, per abitante), abbia un così elevato numero di poveri”.

L’articolo di Brambilla s’intitola significativamente “Quelle scomode verità che nessuno ha il coraggio di dire”. Rientra infatti nella fantascienza l’immagine di un politico italiano che dichiara che i 7 milioni di pensioni sotto i 1000 euro sono sì da fame, ma sono figlie di posizioni pensionistiche almeno in parte di dubbia origine. Perché tra quei 7 milioni ci sarà certamente una quota di sfortunati che nella vita non è riuscita a versare i 16 anni di contributi per maturare la pensione minima, ma c’è verosimilmente anche chi quei contributi non li ha voluti versare, preferendo forse metterseli in tasca.

Ma tra le verità scomode non ci sono solo le pensioni sotto i 1000 euro: “E non è finita qui; considerando il numero delle prestazioni assistenziali (pensioni di invalidità civile e assegni di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra) pari a 3.934.536 e le pensioni beneficiarie di maggiorazioni sociali, altre 6.939.468, il totale delle prestazioni che usufruiscono di un intervento dello Stato assomma a 10.874.004, cioè il 46,2% del totale delle prestazioni in pagamento. Si dice sempre che bisogna dividere la previdenza dall’assistenza; ma i dati ci sono. Le prestazioni di integrazione pensionistica e le maggiorazioni sociali (il famoso milione al mese) costano circa 21 miliardi che sommati ai 22 relativi alle invalidità, assegni e pensioni sociali e di guerra, e ai 33 miliardi della Gias (gli interventi assistenziali sulle pensioni) portano il totale del costo dell’assistenza a 76 miliardi (circa 5,4 punti di Pil).

Tutto male dunque? No. Le riforme che si sono succedute dal 1992 in poi, compresa l’ultima revisione Monti, hanno certamente messo il sistema sui binari dell’equilibrio di lungo termine. Ma non c’è nessuna riforma che regga se manca lo sviluppo; e lo sviluppo viene da un Paese che riesce a fare team, che comincia a pensare con la testa del 2012 non con quella ante 2007, che si interroga su come mai è ultimo in tutte le classifiche sull’ occupazione e sulla produttività. (…) Un’ultima cosa; a quelli che hanno iniziato a lavorare dal primo gennaio 1996 in poi la politica, ma anche le parti sociali, dovrebbero dire un’altra verità: per loro la legge ha abolito qualsiasi forma di integrazione pensionistica per cui se non avranno versato contributi sufficienti resteranno pensionati poveri. Con poca pensione, ma molto arrabbiati perché chi li doveva informare non lo ha fatto poiché, come mi ha recentemente detto un ministro, è impopolare”. E questa, tra tutte le verità, è probabilmente la più scomoda.