Usa, Germania: carcere vero e subito per gli evasori, senza “modica quantità”

di Riccardo Galli
Pubblicato il 2 Settembre 2011 - 14:35 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il Governo ha deciso, salvo futura retromarcia s’intende: per mettere a posto i conti dello Stato bisogna dichiarare guerra agli evasori fiscali. Pagare meno, pagare tutti, sembra paradossalmente essere il nuovo motto dell’esecutivo Berlusconi. E allora linea dura sia: “chi evade più di tre milioni di euro andrà immediatamente in galera”. Sarà… Non sembra proprio una misura che possa riguardare moltissimi evasori, tre milioni non sono proprio spicci, comunque meglio di niente, almeno un segnale che lo Stato fa qualcosa. Anche se sembrerebbe più logico punire non in base alla quantità di denaro sottratto al fisco, ma in base alla volontà o meno di farlo. Certo non per i tre milioni di euro, ma può anche capitare di essere “evasori per caso”, di aver commesso un errore non voluto nella dichiarazione dei redditi. Tra l’altro l’Italia è uno dei paesi in cui è più difficile conteggiare le proprie tasse, specie se si è lavoratori autonomi. In questo caso lo Stato dovrebbe mirare a recuperare il dovuto e poco più, altro discorso deve e dovrebbe essere invece per gli “evasori sistematici”, cioè quelli che truffano il fisco, e non solo quando la frode eccede i tre milioni di euro.

Con questi ultimi lo Stato non solo dovrebbe recuperare il credito, ma dovrebbe anche punire chi per scelta ha fregato la comunità. Interessante è dare uno sguardo a cosa succede agli evasori negli altri paesi, primi fra tutti gli Stati Uniti. Uno sguardo rivelatore, al di là dei facili proclami, di come l’Italia sia nella realtà dei fatti il paradiso degli evasori che non solo non vengono incarcerati, ma spesso non sono nemmeno costretti a pagare quello che hanno illegalmente trattenuto. Oltre gli Usa, in tutti i paesi in cui lo Stato è uno Stato che esige rispetto, con gli evasori non ci vanno leggeri. In Germania, ad esempio, dove il governo scoprì nel febbraio 2008 i contribuenti con conti illegali all’estero andando per le spicce, cioè comprando con quattro milioni e mezzo di euro da Heinrich Kieber, un ex dipendente della banca del Liechtenstein, un elenco di 4.527 clienti del Principato. Una cosa che impensabile in Italia. Ancora più interessante, per continuare con gli esempi, è la vicenda dell’arresto spettacolare del potentissimo Klaus Zumwinkel, allora amministratore delegato delle Poste. Che venne ammanettato per evasione fiscale dopo un’irruzione all’alba nella sua lussuosa villa a Colonia da parte di decine di agenti speciali. Avrebbero potuto arrestarlo in maniera meno scenografica e più sobria? Sicuro. Ma era in ballo qualcosa che nei Paesi seri è determinante: l’affermazione che lo Stato, per far rispettare la legge, non guarda in faccia a nessuno.

In Italia in galera per tasse evase invece di fatto non si va. Nel 2005, a fronte di 6120 soggetti denunciati, sono finiti dietro le sbarre appena in 170, il 2.8%. Media che è scesa all’1.3% nel 2009 quando i denunciati sono stati 11489 e gli arrestati 144, e che non è molto diversa nello spicchio di anno appena trascorso: nel periodo gennaio – maggio 2011, 5360 denunciati e 108 arrestati, cioè il 2%. In altre parole, nel nostro paese, il 98% di coloro i quali vengono scoperti a frodare il fisco non conosce carcere. Non va però così negli altri paesi. Gli Stati Uniti  sono tra i più fermi in tema di fisco. Tra il 2000 e il 2005 gli evasori finiti in carcere negli States sono stati 9.581. Più altri 998 nel 2006 e 1.112 nel 2007 per i soli reati fiscali federali. A tutti questi, per capirci, vanno aggiunti quelli finiti in galera Stato per Stato, dalla California al Massachusetts. Condanna media: 30 mesi a testa. Ancora più dura la pena per i manager delle imprese colpevoli di avere evaso il fisco: 37 mesi. E vanno dentro sul serio, già dopo la condanna in primo grado. Mica dopo anni di attesa della Cassazione. Sperando magari in un condono che da noi spesso arriva.

Il divo di Hollywood Wesley Snipes, condannato a 3 anni per evasione fiscale, è dal 9 dicembre 2010 nel carcere di McKean a Bradford, in Pennsylvania da dove dovrebbe uscire, salvo sconti di pena il 19 luglio 2013. E quattro anni fa, sempre negli Stati Uniti, le autorità federali assediarono per mesi una coppia di anziani evasori che si era asserragliata in una casa-fortezza con tanto di torretta di avvistamento nel New Hampshire dopo una condanna a cinque anni di carcere per non avere pagato le tasse federali. Esattamente come se avessero rapinato una banca o sequestrato qualcuno. Questo perché oltreoceano, chi non paga le tasse, è considerato (giustamente) come un nemico della società, e come tale viene trattato. E come tale venne trattata anche Leona Helmsley, la regina degli alberghi di New York, convinta che con il suo esercito di avvocati e commercialisti sarebbe stata al sicuro da ogni fastidio. Quando l’arrestarono per evasione fiscale, nonostante avesse passato la settantina, finì in galera. Nel tentativo disperato di evitarle il carcere, il suo legale Alan Dershowitz, l’avvocato delle celebrità, disse all’ultimo momento che in cambio della libertà la sua cliente «era pronta a risolvere da sola il problema dei senzatetto» ed era «disposta a regalare alla città di New York tutti i suoi alberghi». Niente da fare: quattro anni di galera. Ridotti solo successivamente e a caro prezzo. Ma dopo un anno e mezzo in penitenziario. L’evasione fiscale negli Stati Uniti viene quindi punita con pesanti sanzioni finanziarie e con la detenzione, che vengono decise dal giudice una volta appurata la presenza di frode ovvero la «consapevole intenzione» di violare le leggi sul pagamento delle imposte o meno.

A essere determinante dunque non è l’ammontare dell’evasione ma l’intenzione di commetterla. Le norme sulla «frode criminale» prevedono infatti che facendo avere all’Internal Revenue Service – l’Ente per la riscossione delle imposte – «informazioni fraudolente sulla propria dichiarazione dei redditi si commette un reato penale» che verrà esaminato dagli investigatori e «sulla base della severità della frode si può essere condannati al processo, alla restituzione e alla prigione». In presenza di un pagamento inferiore al dovuto a causa di frode, l’Irs impone di versare una penale pari al 75% del dovuto, oltre alle conseguenti pene detentive. Per provare l’esistenza di una frode gli investigatori prima e il giudice poi puntano ad accertare una serie di elementi convergenti: la «consapevolezza» della scelta di evadere, l’aver fornito «false informazioni sui redditi» al proprio commercialista ed essere stati spinti dalla volontà di «tentare di pagare meno di quanto in realtà si dovrebbe». È recente la decisione dell’Irs di potenziare un’unità speciale di investigatori il cui compito è setacciare le banche all’estero per verificare se vi sono conti correnti intestati a cittadini americani che hanno evitato di dichiararli alle tasse. L’obbligo di far conoscere tutti i propri conti all’estero risale agli ultimi due anni e punta a scoprire se la frode è relativa a entrate di danaro avvenute all’estero di cui il contribuente non ha informato l’Irs.