Meloni riformerà la burocrazia? dubbi e timori di un uomo di destra testimone della occasione mancata di Berlusconi

Meloni ce la farà a riformare la burocrazia? dubbi e timori di un uomo di destra che testimoniò la "occasione mancata" di Berlusconi

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 21 Gennaio 2024 - 20:55
Meloni ce la farà a riformare la burocrazia? dubbi e timori di un uomo di destra che testimoniò la "occasione mancata" di Berlusconi

Meloni ce la farà a riformare la burocrazia? dubbi e timori di un uomo di destra che testimoniò la “occasione mancata” di Berlusconi

Meloni ce la farà a riformare la burocrazia? dubbi e timori di un uomo di destra che testimoniò la “occasione mancata” di Berlusconi

Nel 2001, il 13 maggio, quando le elezioni legislative assicurarono una significativa maggioranza al Centrodestra (368 deputati su 630 e 176 senatori su 315), a votare compatto per la Casa delle Libertà, rappresentata essenzialmente da Forza Italia e Alleanza Nazionale, fu soprattutto il pubblico impiego.

Le ragioni erano molte, a cominciare dalla presenza massiccia e soffocante delle sinistre e dei loro uomini, in una legislatura che aveva visto il susseguirsi di ben quattro governi, Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Amato II, e l’occupazione degli apparati attraverso nomine di persone fedelissime piazzate nei posti di responsabilità, laddove si gestiscono funzioni rilevanti e cospicue somme di denaro.

Insomma, fu una rivolta generalizzata della classe media, convinta dalle promesse del “gran comunicatore”, l’imprenditore abile ma anche assistito dalla politica (Craxi, Presidente del Consiglio, era tornato in fretta da Londra dove era impegnato in incontri con il Governo di Sua Maestà per adottare un decreto-legge che consentì alle televisioni di Berlusconi, chiuse dai Pretori, di trasmettere su canali nazionali).

Accanto a lui Gianfranco Fini, che aveva trasformato il Movimento Sociale Italiano (M.S.I.) dei nostalgici del ventennio in un partito dalle molteplici anime, da quella liberale di Domenico Fisichella, eminente studioso e cattedratico di Scienza della Politica, che aveva inventato la denominazione “Alleanza Nazionale” scrivendone in un fondo su Il Tempo di Roma, a quella cattolica di Learco Saporito, un vivace Senatore democristiano, che aveva mobilitato gran parte dei campani di Roma.

Con loro altri provenienti dalla vasta area culturale del Centrodestra, molti i liberali, di fede monarchica, come il Professor Fisichella e il fisico nucleare Giuseppe Basini, guardati con qualche ostilità dai duri e puri eredi dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana. E così l’11 giugno 2001 s’insediò il governo Berlusconi con tanta fiducia che le promesse della campagna elettorale sarebbero state mantenute integralmente.

Non passò molto tempo che molti si dovettero ricredere, soprattutto nel pubblico impiego ed i pensionati, ai quali era stato promesso un assegno minimo di 500 euro. I dipendenti pubblici furono i primi a comprendere che il promesso rinnovamento della Pubblica Amministrazione ed il conseguente cambio di passo nella gestione del personale e nell’attribuzione delle funzioni di rilievo sarebbe rimasto tra le promesse irrealizzate della campagna elettorale.

Ricordo, in proposito, un episodio sintomatico. Ero stato nominato Capo di gabinetto di Gianfranco Fini Vicepresidente del Consiglio su indicazione del Sen. Saporito che conoscevo bene perché, da Presidente dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, avevo con lui trattato in occasione del dibattito parlamentare sulla riforma del decentramento delle attribuzioni giurisdizionali della Corte.

In quei giorni avevo ricevuto la visita di molteplici amici e colleghi, i quali intendevano congratularsi con me e farmi partecipe delle aspettative che riponevano nel nuovo governo.

Tra gli amici avevo ricevuto anche un alto ufficiale dei Carabinieri. Qualche scambio di opinioni dinanzi all’ottimo caffè preparato dai commessi del primo piano di Palazzo Chigi. Congedatosi, era tornato da me dopo pochi minuti. Naturale che gli chiedessi se avesse dimenticato qualcosa nel mio ufficio. Nulla, mi disse.

Tornava per dirmi che, in ascensore, aveva sentito alcuni funzionari scambiarsi considerazioni sul nuovo governo e sui collaboratori messi in campo e voleva mettermene a parte.

“Non è cambiato nulla”, aveva sentito dir loro. “I compagni sono tutti ai loro posti. Anzi si tengono in contatto, certi che non sarebbe cambiato nulla e che probabilmente il Governo sarebbe durato poco”.

Ne ebbi conferma nei giorni successivi. Alcuni amici di vecchia data (sono stato a Palazzo Chigi con i governi Andreotti, Cossiga, Forlani e Spadolini ed ho intessuto molteplici relazioni, grazie alla mia posizione di magistrato della Corte dei conti, spesso richiesto di un’opinione o di un consiglio) mi riferirono che i residui del governo D’Alema si incontravano la mattina al bar per un cappuccino e spesso la sera in pizzeria per confermare la loro fedeltà ai partiti che li avevano nominati, facendo pronostici sulla durata della maggioranza. “Sono incapaci di governare”, era il loro refrain “comandiamo ancora noi!”.

Quanto ai pensionati, che ho prima ricordato, compresi presto che sulle promesse di Berlusconi andava fatta una tara. A godere dei 500 euro erano solo coloro che non possedevano nulla. Era sufficiente la casetta del nonno in campagna perché non si giungesse al limite promesso.

Il governo è andato avanti tra promesse e roboanti rivendicazioni di successi con molte leggi ad personam ed ipotesi di riforme costituzionali che tanto somigliavano a quelle che aveva preconizzato Licio Gelli nel suo famoso programma di riforma, che sarebbero state riprese anche successivamente ma che evidentemente non hanno convinto gli italiani che, al termine della legislatura, hanno voltato le spalle ai partiti di governo negando loro la conferma per meno di 25.000 voti, nonostante una maggioranza straordinaria che nel 2001 era facile prevedere sarebbe durata molto più della legislatura. 

Fu una grande delusione o, più esattamente “Un’occasione mancata”, dal titolo del mio libro, edito da Pagine, significativamente completato da una successiva frase “o una speranza mal riposta?”, che molti ancora oggi sottolineano essere la più corretta interpretazione delle vicende di quel periodo storico.

Il 25 settembre del 2022 il Centrodestra è tornato al successo secondo gli auspici di vasti settori dell’opinione pubblica. Ancora una volta del pubblico impiego. La coalizione si aggiudica alla Camera 237 seggi su 400 (119 per FdI, 66 per la Lega, 45 per FI, 7 Noi moderati + 3) e al Senato 115 su 206 (65 per FdI, 30 per la Lega, 18 per FI, 2 per Noi moderati + 4). Anche stavolta la coalizione dispone di una solida maggioranza nei due rami del Parlamento.

Saprà utilizzare questa forza? Saprà governare, come si sentiva dubitare, delle stesse forze politiche, nel 2001 nei corridoi di Palazzo Chigi dove i reduci dei governi di sinistra mormoravano intorno alla modestia di molti dei collaboratori dei ministri.

Con fondatezza quella volta, come sarebbe stato evidente nei risultati elettorali del 2006 sulla base delle cose non fatte, nonostante l’imponente maggioranza parlamentare che, se ben guidata, avrebbe consentito un risultato positivo.

Dal mio duplice osservatorio, Palazzo Chigi e Corte dei conti, avevo individuato alcune delle carenze dell’azione governativa di cui ho scritto in “Un’occasione mancata”. Alla sua lettura Francesco Storace mi disse: “ho capito perché abbiamo perso per venticinquemila voti (per l’esattezza 24.755: 18.977.843 contro 19.002.598, n.d.A.) quando avremmo potuto vincere per due milioni”.

Scarsa cultura di governo, per semplificare, inadeguata conoscenza della macchina amministrativa, della sua organizzazione, delle sue norme, dei suoi addetti. Senza realizzare neppure una riforma capace di restituire efficacia all’azione delle strutture amministrative attraverso le quali il governo ed i singoli ministri perseguono gli obiettivi previsti dalle politiche pubbliche.

Siamo solo all’inizio ma non s’intravedono all’orizzonte significativi programmi di ristrutturazione degli apparati e di semplificazione delle procedure.

Sarebbe sufficiente rendere più celeri le pratiche amministrative di autorizzazione ad attività imprenditoriali perché si possano mettere in moto importanti processi produttivi con conseguente incremento dell’occupazione, incentivo ai consumi, aumento del gettito fiscale.

Sembra, invece, che al Ministero per la semplificazione l’unica idea non sia quella di motivare le forze in campo ma di assumere con modalità semplificate giovani laureati, soprattutto per le esigenze del PNRR. Ma è dubbio che neoassunti con nessuna esperienza, anche quando avessero una buona professionalità, possano operare presto e bene.

Quanto, poi, all’occupazione del potere amministrativo operato dai governi precedenti, con persone di cultura diversa da quella dell’attuale governo, che il Ministro Crosetto, all’indomani dell’insediamento, si proponeva di non confermare, continuano ad occupare i loro posti e, alla scadenza, sono stati confermati. Come dopo il 2001!

È la mentalità berlusconiana che continua a prevalere, con molta superficialità e moltissima presunzione. Riformare la P.A. in tempi brevi non è obiettivamente facile, ma tentare è necessario. E molto si potrebbe fare se qualcuno “ci capisse”, se avesse le idee chiare, se conoscesse l’arte del “buongoverno”.

Ed io che osservo sono a tratti deluso, nonostante una innata tendenza all’ottimismo ed al fatto che, come molti amici, ho sperato nel successo del Centrodestra. Mi auguro, tuttavia, di non ritrovarmi, a consuntivo, a scrivere “Un’occasione mancata 2”.

Sarebbe molto difficile tornare a sorridere in “un Paese naturalmente di centrodestra”, per cui “alle elezioni l’italiano medio vota la coalizione che non sta a sinistra”, come scrive Andrea Scanzi in “La sciagura – Giorgia Meloni e il suo governo disastroso”, con analisi in gran parte azzardate rispetto al tempo attuale dell’esecutivo.

Come quando afferma che l’astensionismo elettorale “massacra puntualmente il centrosinistra”, mentre, a suo dire, “l’elettore di centrodestra magari non è entusiasta, ma alla fine a votare ci va… Fa gruppo. Fa massa. Fa numero”.

Lo verificheremo nei prossimi mesi, alle regionali ed alle europee. E mi auguro che abbia torto, anche se certi mugugni che sento in giro, che evidentemente non percepisco solamente io, dovrebbero far riflettere.