Referendum costituzionale, in un libro di Salvatore Sfrecola le ragioni del No: non sono ostacolo 2 Camere ma la politica

Pubblicato il 30 Settembre 2016 - 06:04 OLTRE 6 MESI FA
Referendum costituzionale, un nuovo libro di Salvatore Sfrecola spiega le ragioni del No

Referendum costituzionale, un nuovo libro di Salvatore Sfrecola (nella foto) spiega le ragioni del No

Referendum costituzionale, un nuovo libro di Salvatore Sfrecola spiega le ragioni del No. Come era immaginabile, la lunga vicenda della legge di revisione costituzionale ed il dibattito che ne è seguito, nel corso dei lavori parlamentari e, poi, i vista del referendum che si terrà il 4 dicembre, ha mosso interventi di giornalisti e studiosi, osservatori delle cose della politica che ad oggi formano una non piccola biblioteca. Alla quale si aggiunge oggi il volume “La Costituzione va riformata? SÌ/NO”, edito da Aracne, 132 pagine a 10 euro. L’autore, Salvatore Sfrecola, avvocato e docente universitario, già magistrato della Corte dei Conti, ha una ricca esperienza nelle amministrazioni, quale consulente di ministri, che gli fa dire che il bicameralismo “perfetto” non è stato la causa della lentezza nella approvazione delle leggi. Che poi contesta, infatti le leggi di stabilità, mostri giuridici composte di due o tre articoli e centinaia di commi, anche di una pagina, sono state approvate mediamente in 50 giorni. Perché quando c’è accordo politico le cose vanno velocemente, come nel caso del decreto svuotacarceri approvato in 38 giorni.

Sulla revisione costituzionale, in relazione alla quale Sfrecola dà conto delle opposte tesi del SÌ e del NO, il suo giudizio è, infatti, negativo. È una riforma che, prendendo lo spunto da alcune esigenze effettive, come quella del superamento del bicameralismo cosiddetto “perfetto” o “paritario”, giunge ad alterare il sistema dei rapporti istituzionali, riducendo i margini di garanzia e, quindi, di democrazia, in ragione degli effetti della legge elettorale, l’Italicum, che consentirà al partito vincitore non solo di disporre del governo, ma di condizionare l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. E non risparmia a Giorgio Napolitano, sposando le tesi di Zagrebelsky, di essere stato un arbitro che ha giocato in favore di una squadra, quella di Renzi. Non solo, ma anche di non aver esercitato il suo ruolo di garante imparziale per cui avrebbe dovuto esigere che le Camere rimanessero nell’ambito delle indicazioni della Corte costituzionale che con la sentenza n. 1 del 2014 ha dichiarato illegittima la legge, il porcellum, sulla base della quale Senatori e deputati sono stati eletti. Ebbene, scrive Sfrecola, un Parlamento che avrebbe dovuto pensare a garantire la continuità dello Stato e nulla più si è addirittura arrogato il diritto di cambiare 47 articoli della Carta fondamentale dello Stato, quella che esprime “non ciò che è mutevole ma ciò che è destinato a durare nel tempo”, come si è espresso Onida. Infatti, ricorda, la Costituzione vigente, entrata in vigore nel 1948, è stata approvata quasi all’unanimità pur in un contesto di forti contrapposizioni politiche e ideologiche all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale e del referendum Monarchia/Repubblica.

Un riforma, sottolinea Sfrecola, “votata da una limitata maggioranza” facendo prevalere interessi politici contingenti (come l’arruolamento di Verdini) in una materia costituzionale, che in quanto tale dovrebbe essere oggetto di ampia condivisione.

Una riforma che il governo si è intestata ed ha portato avanti con significative forzature, anche sostituendo in commissione parlamentari contrari, limitando in ogni modo gli emendamenti parlamentari. Ricorda Sfrecola che per Calamandrei “quando si scrive la Costituzione, i banchi del governo devono restare vuoti”. L’iniziativa del Governo è, dunque, la prima anomalia della “riforma” con “difetti e discrasie”, come si afferma nel documento del SÌ, propagandata con affermazioni non veritiere, come quella che ci sarebbe un risparmio nella trasformazione del Senato che passa da 315 a 100 senatori. Questo va bene, scrive Sfrecola, ma si chiede perché sono rimasti 630 deputati, quasi 200 in più degli Stati Uniti d’America che hanno oltre 381 milioni di abitanti?

Il risparmio dice la Ragioneria Generale dello Stato sarà al massimo di 50 milioni non dei 500 di cui parla il Presidente del Consiglio che promette di devolverli ai giovani.

Infine critica la nuova formulazione dell’art. 70 sulla legislazione che passa da due procedure ad otto o dieci, secondo le varie interpretazioni dei costituzionalisti.

Un autentico “pasticcio” per Sfrecola che conclude per il NO al referendum.