Silenzio, parla Bagnasco. Tutta la pena del cardinale per l’Italia e la sua classe dirigente. Che prostrata, ringrazia

Pubblicato il 28 Settembre 2010 - 04:00 OLTRE 6 MESI FA

Angelo Bagnasco

Sotto le le lenti del capo dei vescovi scorrono le grottesche immagini dello spettacolo deprimente della politica italiana. Il duello rusticano tra Fini e Berlusconi è solo l’ultimo atto di un impoverimento generale: impoverimento che la Chiesa si incarica di denunciare e di emendare, dall’alto della sua autorità morale. Troppo in alto, forse, per accorgersi che lo scadimento dei valori della buona politica ha tanti padri, nessuno escluso, non ultimo chi sembra voler ignorare che una Chiesa interventista a tutto campo entra di fatto nella dialettica delle idee, quando non in quella degli interessi costituiti. Giudica, ma non vuol essere giudicata.

Politica logorata dai personalismi, crisi e divario sociale, riforme fiscali e federalismo, ma anche cristianofobia e pedofilia: ha toccato ogni tema possibile la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco che ha aperto i lavori del Consiglio permanente della Cei.

Personalismi e politica. I vescovi sono ”angustiati per l’Italia” ed esprimono ”grande sconcerto e acuta pena per discordie personali che, diventando presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili”, e si sono fatte ”pretesto per bloccare i pensieri di un’intera nazione, quasi non ci fossero altre preoccupazioni, altri affanni”. Con queste parole il presidente della Conferenza episcopale è intervenuto ieri, aprendo a Roma i lavori del Consiglio permanente della Cei. ”Siamo angustiati per l’Italia – ha ripetuto Bagnasco – non per un’idea o l’altra, comunque astratte”, ma ”per l’Italia concreta, fatta di persone e comunità”. Nazione ”generosa e impegnata, che però non riesce ad amarsi compiutamente, facendo fruttare al meglio sforzi e ingegno; che non si porta a compimento, in particolare in ciò che è pubblico ed è comune”.

Il presidente della Cei punta il dito contro ”una corrente di drammatizzazione mediatica”, che presenta ”piccole porzioni di verità, reali ma limitate, assolutizzate e urlate”, delle quali troppo spesso l’opinione pubblica ”si accontenta”. ”A momenti – afferma ancora Bagnasco – sembriamo appassionarci al disconoscimento reciproco, alla denigrazione vicendevole, e a quella divisione astiosa che agli osservatori appare l’anticamera dell’implosione, al punto da declassare i problemi reali e le urgenze obiettive del Paese”.

”Alla necessaria dialettica – ha detto ancora Bagnasco – si sostituisce la polemica inconcludente, spingendosi fino sull’orlo del peggio. Poi, alla vista dell’esito estremo, si raddrizza il tiro”. Ma poi – prosegue – ”si preferisce indugiare con gli occhi tra le macerie, cercare finti trofei, per tornare a riprendere quanto prima la guerriglia, piuttosto che allungare lo sguardo in avanti, disciplinatamente orientato sugli obiettivi comuni, per i quali è richiesta una dedizione persistente e convergente”. I vescovi invitano perciò ad ”allungare lo sguardo in avanti, recuperare ”la giusta auto-stima, senza cesure o catastrofismi, esattamente così come si è ogni giorno dedicati al lavoro che dà sostentamento alla propria famiglia”.

”Ai cattolici con doti di mente e di cuore diciamo di buttarsi nell’agone, di investire il loro patrimonio di credibilità, per rendere più credibile tutta la politica”, ha detto Bagnasco. ”Lasciamo volentieri ai competenti il compito di definire i modi di ingaggio e le regole proprie della convivenza. A noi tocca però segnalare come una città la si costruisca tutti insieme, dall’alto e dal basso, in una sfida che non scova alibi nella diserzione altrui. Le maturazioni generali hanno bisogno di avanguardie: ognuno deve interrogarsi se è chiamato a un simile compito”.