Intercettazioni, Fini frena, ma i berlusconiani spingono

Pubblicato il 14 Giugno 2010 - 23:21| Aggiornato il 15 Giugno 2010 OLTRE 6 MESI FA

Gianfranco Fini frena sui tempi di approvazione del testo sulle intercettazioni, chiedendo una ulteriore riflessione per evitare “polemiche e fraintendimenti”. Parole che, com’era facile prevedere, trovano contrari i ‘berlusconiani’ secondo i quali sul provvedimento si è discusso fin troppo. Si ripropone insomma lo scontro, anche indirettamente e con toni che (per ora) restano pacati, fra il presidente della Camera e Silvio Berlusconi.

Con il primo che non nasconde dubbi sul testo licenziato dal Senato e il secondo che però lascia trapelare la sua ferma determinazione al rispetto dei tempi con il testo approvato prima dell’estate. E senza modifiche.

Ragionamenti che Fini ben conosce e ai quali risponde anche senza doverli sentire: “Perché dobbiamo correre tanto prima delle vacanze estive?”, si chiede retoricamente Fini, nel corso di un incontro promosso dall’associazione ‘Mezzogiorno nazionale’ a Benevento.

Pur riconoscendo la necessità di una stretta sugli ascolti telefonici, il presidente della Camera sostiene l’esigenza di un confronto più approfondito sul provvedimento. “Ne stiamo discutendo da oltre due anni, se ne può discutere ancora un po’” allo scopo di “evitare polemiche e avere un testo condiviso”, spiega la terza carica dello Stato. Del resto, aggiunge, il tempo ci sarebbe visto che “non ci sono dubbi” sul fatto che la manovra abbia priorità sulle intercettazioni, se non altro per il fatto che il primo è un decreto, mentre il secondo è un disegno di legge”.

Argomentazioni che non convincono i ‘berlusconiani’. “In materia di intercettazioni – sottolineano in una nota congiunta i due capigruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri – il dibattito ed il confronto durano da molti anni”. Una constatazione che può essere così tradotta: adesso basta.

Più diretto ancora un altro berlusconiano di stretta osservanza, Osvaldo Napoli, che accusa Fini di fare “capriole con la logica”, con il rischio di “delegittimare” il Parlamento a causa del suo indecisionismo.

E anche il leghista Roberto Calderoli sembra non condividere l’analisi dell’ex leader di An: “La manovra è in Senato. Spetta quindi a palazzo Madama a decidere i tempi, non alla Camera”.

Poco prima del suo intervento da Benevento, Fini aveva rassicurato il Partito Democratico sul “corretto svolgimento” dei lavori parlamentari. Una risposta al capogruppo Dario Franceschini che aveva chiesto garanzie al fine di consentire una “approfondita istruttoria” sul testo.

Le rassicurazioni di Fini, proprio a causa delle tensioni interne al Pdl, erano suonate come qualcosa di più di una nota istituzionale. Tanto che anche Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia e molto vicina a Fini, aveva promesso di voler permettere “tutto l’approfondimento che merita un provvedimento così rilevante”.

Lo scontro, dunque, oltre al merito si basa anche sui tempi. Perché se è vero che Cicchitto giudica “ineccepibile” la risposta di Fini a Franceschini, ribadisce anche che la linea dettata dal premier: “Modifiche, allo stato attuale, non mi sembrano possibili”; la speranza resta quella di vedere licenziato il testo “prima di agosto” e per farlo non si esclude il ricorso alla fiducia. Cosa che ovviamente Fini vuole evitare a tutti i costi.

Ma la partita sembra andare oltre le intercettazioni, come spiega chiaramente Italo Bocchino, considerato uno degli interpreti più fedeli del pensiero ‘finiano’: “Siamo a un bivio” e serve una “svolta” nel Pdl perché “o si discute preventivamente su ogni questione, oppure noi continueremo a porre all’esterno le questioni, allineandoci con l’opinione pubblica”.

Sul piatto, Bocchino non mette solo il ddl (che presenta ancora profili di irragionevolezza e incostituzionalità), ma anche la manovra che sembra “insufficiente” rispetto a quella messa a punto degli altri paesi europei.