Papa, Milanese, Romano: il “partito degli onesti” costretto a salvarli?

di Dini Casali
Pubblicato il 14 Luglio 2011 - 12:51| Aggiornato il 8 Agosto 2011 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Alfonso Papa, Marco Milanese, Saverio Romano: tre nomi, tre spine per la maggioranza. Per non contare Luigi Bisignani, che però non è esponente di governo né deputato. Il momento è cruciale: l’opinione pubblica vuol conoscere che tipo di stangata li aspetta, negli uffici e nei bar si parla di tasse, pensioni, la manovra occupa tutta la scena. Ma l’intrigo di inchieste estive sta diventando una matassa inestricabile, potenzialmente letale per la maggioranza. Per il nuovo “partito degli onesti” lanciato da Alfano non è un inizio rincuorante. Il Pdl è indeciso tra la difesa d’ufficio dei suoi rappresentanti e il rischio di pagare un prezzo troppo alto in termini di credibilità etica. Per quei tre la magistratura vuole due mandati d’arresto e un rinvio a giudizio. D’altra parte intercettazioni e interrogatori sono, come da prassi ormai consolidata, di dominio pubblico. Anche perché le richieste dei pm e i dettagli dei presunti reati debbono necessariamente passare dal Parlamento.

Iniziamo da Papa. Il Pdl ha ottenuto l’ennesimo rinvio. La Giunta per le autorizzazioni a procedere doveva decidere oggi (giovedì 14 luglio) se accettare la richiesta di arresto. Ci sono nuove carte, la maggioranza Pdl in Giunta vuol vederle. Ma, contestualmente ritira  a sua volta la richiesta di non arresto. Potrebbe esser vista come una mossa dilatoria. Anche perché le nuove carte non annunciano nulla di buono. E dalla Lega non arrivano segnali incoraggianti: il grosso del gruppo nordista non se la sente di votare contro l’arresto. I particolari dell’interrogatorio a Napoli di Papa, boccacceschi quanto si vuole ma sempre più gravi, sono su tutte le pagine dei giornali. Alla domanda del pm sul perché non pagasse mai di tasca sua cene, alberghi e crociere Papa risponde: “Per non farlo sapere a mia moglie”.

Un fiume di soldi, secondo la ricostruzione dei pm, usciva dalle tasche degli imprenditori per foraggiare la dolce di vita Papa. I riscontri della Finanza rivelano le spese pazze di Lyudmyla Spornyk, ucraina, classe ’76, di casa al lussuoso Hotel de Russie a Roma. Massaggi, cene, manicure: a pagare erano gli imprenditori. E la moglie di Papa? Sarà stata tenuta all’oscuro dei maneggi sentimentali del marito, ma intanto, i magistrati stanno passando in rassegna i suoi conti. Tiziana Rodà in Papa, avvocato, studio a Napoli, dichiarava nel 2001, da giovane magistrato, 21 mila euro all’anno. Nel 2009 la sua dichiarazione sfiorava i 428 mila euro. I magistrati vogliono capire se le numerose e sostanziose consulenze che hanno arricchito il suo portafoglio siano frutto di illeciti, magari governati dal marito. Telecom, Autostrade, Enel, Poste, sono i grandi soggetti suoi clienti. In particolare Enel distribuzione è la gallina dalle uova d’oro per la consulente: 828 mila euro nel 2006, 530 nel 2007, 348 nel 2008, 412 nel 2009. E Papa rivelò all’armatore D’Abundo: “Le consulenze fittizie devono attestarsi a 35 mila euro mensili”.

Il dossier Milanese. Quando si parla di lui si intende Tremonti, il bersaglio grosso. Mercoledì 13 luglio i pm hanno ribadito con forza che non è iscritto nel registro degli indagati. Una boccata d’ossigeno per il ministro: sia per la sua onorabilità politica, sia, ed è più importante, per la ricaduta istituzionale. Tremonti è il garante dell’Italia presso i mercati e l’unico interlocutore dei grandi organismi, dalla Bce all’Fmi, al Consiglio di Europa. Però la vicinanza al ministro di Milanese è un dato di fatto e la storia di corruzione, rivelazione di segreti e associazione a delinquere è una bomba a orologeria. Su di lui indagano Napoli e Roma, vogliono il suo arresto, il problema si ripresenterà in Giunta, più complicato che per Papa, in fin dei conti più cavallo sciolto. C’è la questione della casa nella disponibilità di Tremonti e soprattutto l’intreccio perverso con cui si procedeva alle nomine degli enti pubblici.

Il ministro in odor di mafia. La richiesta di rinvio a giudizio della procura di Palermo per Saverio Romano non è stata un fulmine a ciel sereno. Lui è uno dei responsabili arrivati in soccorso della maggioranza indebolita dall’uscita di Fini. E’ il pezzo da novanta dei cosiddetti Responsabili. Il 13 luglio ha annunciato senza esitazioni “Resto al mio posto” polemizzando con il presidente della Camera che lo invitava a farsi da parte. L’accusa è gravissima: è stato rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa. E’ imputato per mafia: la Lega ha evitato qualsiasi commento in proposito. E’ chiaro che sarà difficile spiegare al suo elettorato che salverà uno di Belmonte Mezzagno, Palermo, considerato il “gemello diverso” di Totò “vasa vasa” Cuffaro. Senza contare che la sua nomina avvenne con la ratifica con riserva del Presidente della Repubblica. Napolitano aveva chiesto a Berlusconi se fosse il caso di portare al governo un soggetto così chiacchierato. Su di lui erano stati fatti accertamenti, c’erano state archiviazioni ma nessuno poteva giurare che altre incriminazioni potessero raggiungerlo. Come puntualmente si è verificato.