Pdl, la frattura in Sicilia diventa un caso nazionale

Pubblicato il 23 Aprile 2010 - 20:30 OLTRE 6 MESI FA

Gianfranco Micciché

“L’anomalia” isolana del partito di Berlusconi, sottolineata nella riunione della direzione nazionale si chiama Pdl-Sicilia, frutto di uno strappo deciso lo scorso autunno da Gianfranco Micciché, che ha portato a una frattura netta all’Assemblea regionale: da una parte il partito ufficiale, quello dei cosiddetti “lealisti”, dall’altra gli uomini che fanno capo al sottosegretario alla Presidenza del consiglio.

I primi stanno all’opposizione del governo guidato da Raffaele Lombardo, l’autonomista che con Micciché divide l’idea di creare il Partito del Sud; i secondi sostengono il leader dell’Mpa attraverso una strana alleanza di cui fanno parte anche il Pd e l’unico esponente dell’Api all’Assemblea siciliana. Gianfranco Micciché, durante i lavori della direzione di ieri 22 aprile, aveva preparato un intervento di una decina di minuti per parlare del “caso Sicilia” e delle ragioni dello strappo, ma – secondo quanto affermano gli uomini del suo entourage – a fermarlo sarebbe stato il clima rovente generato dal confronto tra Fini e Berlusconi.

Micciché, spiegano i bene informati, aveva intenzione di ribadire la propria lealtà a Berlusconi, ma avrebbe voluto sottolineare che in Sicilia la frattura si era resa necessaria per la decisione del Pdl di non sostenere più il governo Lombardo, scelta contraria al volere di Berlusconi e degli elettori del centrodestra. I riflettori accesi da Roma sulla questione siciliana cadono in un momento delicato del governo Lombardo, alle prese con bilancio e finanziaria che dovranno essere approvati entro il 30 aprile, data di scadenza dell’esercizio provvisorio.

Se venissero a mancare i voti dei 14 deputati che fanno capo a Micciché, il rischio di una crisi sarebbe concreto. Davanti a questo scenario, il co-coordinatore del Pdl in Sicilia, Giuseppe Castiglione, spiega che «non possono più esserci due gruppi parlamentari all’Ars. Ieri il partito si è dato delle regole che valgono anche per la Sicilia: la maggioranza stabilisce la linea che il Pdl dovrà tenere». Castiglione – da tempo inviso a Micciché, ma con alleati di peso come il ministro Angelino Alfano e il presidente del Senato Renato Schifani – è convinto che esistano le condizioni per un ritorno all’unità del partito. «Intanto – ribadisce – la nostra posizione è chiara: siamo all’opposizione del governo Lombardo, che in questi giorni spaccia per innovativa una finanziaria illegibile e confusa».

Il messaggio non è poi così criptico: se il Pdl Sicilia votasse la finanziaria, sceglierebbe di mettersi fuori dal partito. Ma l’ala governativa del partito non è composta dai soli ex forzisti: sei deputati sono di solida fede finiana e a loro si aggiungono due assessori molto vicini al presidente della Camera, Nino Strano (l’uomo che agitò in Parlamento una fetta di mortadella per la caduta dell’ultimo governo Prodi) e Luigi Gentile.

I finiani, proprio dopo il “duello” tra il loro leader e Berlusconi, ritengono che quanto sta accadendo a livello nazionale sia una ragione in più per mantenere la loro posizione in Sicilia.