Sparisce la “pensione politica” per tutti gli eletti: il Pd sconfessa i suoi tre parlamentari

Pubblicato il 20 Maggio 2010 - 14:36| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

 

Francesco Boccia, deputato Pd

 

Una buona notizia, talvolta succede: la proposta di legge per la “pensione politica” a tutti gli eletti, consiglieri comunali, di circoscrizione e di comunità montane compresi, è stata archiviata, imbalsamata, di fatto cancellata. Dalla stessa parte politica che l’aveva avanzata, il Pd. Erano stati tre parlamentari del Pd a firmarla: Maria Luisa Gnecchi, Oriano Giovannelli e Lucia Condurelli. Si trattava di pagare a spese dello Stato i contributi previdenziali anche ad eletti in ogni Assemblea legislativa, anche quelle “bonsai”, che non avevano un lavoro, e quindi una copertura pensionistica, prima di diventare assessori, consiglieri o presidenti. Insomma si trattava di fare dell’attività politica una sorta di impiego statale con relativo trattamento. Quando la proposta di “pensione politica” targata Pd è arrivata sul tavolo di Bersani segretario e di Franceschini capogruppo, allora è partito un ordine secco: lasciate perdere per carità. E Francesco Boccia, a nome della segreteria del Pd, ha fatto sapere: “Sia chiaro, noi non l’appoggiamo”.

I tre parlamentari hanno quindi cercato di spiegare: “Siamo stati fraintesi”. La loro tesi è quella di aver tentato di riparare ad una “ingiustizia”, anzi ad una “sperequazione”: quella per cui lo Stato si sostituisce nel pagamento dei contributi previdenziali al datore di lavoro quando il lavoratore diventa “eletto” mentre l’eletto senza lavoro precedente non gode di questa “sostituzione”. Si dicono “stupiti” che la loro proposta sia stata interpretata “in modo sbagliato”. Comunque accettano di metterci una pietra sopra. Fatta salva la buona fede, stupisce il loro stupore. Pagare i contributi ad una lavoratore, dipendente o autonomo, che viene eletto in qualche Assemblea legislativa è cosa buona e giusta: un cittadino non può essere penalizzato per il fatto che diventa, per pochi o molti anni, un politico. Infatti gli si conserva il posto di lavoro e gli si garantiscono i diritti previdenziali. Sarebbe assurdo il contrario. Il cittadino che si fa politico non deve per questo perdere diritti e garanzie. Ma ben diverso è fare della politica un impiego statale, conferire diritti e garanzie solo in nome di un’attività politica anche minima. Questo non è dare al politico quanto gli spetta come lavoratore e cittadino, questo è dare a chi fa solo politica un “di più” rispetto alla condizione degli altri lavoratori e cittadini. Era, sarebbe stato poco di più in termini di milioni di euro. Ma era un di più intollerabile in termini di principio.

Diciamo, per carità di patria, che si è trattato di un “equivoco”. Felicemente risolto: la “pensione politica” sparisce, almeno per ora. Un equivoco nato in casa Pd che si era rapidamente esteso: dal Pdl avevano fatto sapere di guardare con interesse alla proposta. Il Pd ci ha messo una “pezza”, il Pdl tirerà indietro la mano anche se non è stata la sua a “tirare il sasso”?