Spaccio uguale espulsione, allo sbarco sei mesi rinchiusi. E zero campi rom

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 25 Settembre 2018 - 08:43 OLTRE 6 MESI FA
Decreto Salvini. Spaccio uguale espulsione, allo sbarco sei mesi rinchiusi. E zero campi rom

Spaccio uguale espulsione, allo sbarco sei mesi rinchiusi. E zero campi rom (foto Ansa)

ROMA – Spaccio uguale espulsione, è una delle traduzioni in concreto della legge Salvini, del decreto sicurezza e migranti varato all’unanimità dal Consiglio dei ministri.

Nel decreto c’è nero su bianco che se e quando un migrante commette un reato, anzi viene giudicato pericoloso, anzi viene condannato in primo grado, allora e subito la sua richiesta di asilo decade. E per essere giudicato pericoloso bastano reati anche piccoli secondo la misura stabilita dal nostro Codice Penale. Il più classico, il più diffuso, il più sofferto e intollerabile appunto lo spaccio che spesso e in molte zone è diventato una sorta di monopolio amministrato da clan su base etnica di ex migranti.

Se la richiesta d’asilo decade, allora il migrante spacciatore o che ha commesso un reato non ha che da essere accompagnato dalle forze dell’ordine in un Centro di espulsione e lì attendere, sotto custodia, di essere rispedito. Questa è la legge scritta nel nuovo decreto. In buona parte è teoria, lo ammette lo stesso Salvini. Perché i Centri di espulsione e detenzione (questa la sostanza comunque li si voglia poi chiamare in sigla e acronimo) in Italia di fatto ora non ci sono. E perché reali accordi di espulsione/rimpatrio oggi l’Italia li ha con pochi paesi africani. Per espellere occorre che qualcuno accetti di riprendersi l’espulso. Quindi accordi. Accordi che di solito costano non poco al paese che espelle.

C’è poi nella legge Salvini per i migranti che quando sbarcano, se sbarcano, ad attenderli sei mesi richiusi. Di sicuro 30 giorni in custodia negli hot spot. Oggi solo tre i giorni previsti. E i 30 giorni possono diventare 180, appunto sei mesi. Sei mesi sotto custodia, per nulla liberi di andare in giro. Magari, come accade adesso, con un provvedimento di espulsione in tasca che quasi tutti ignorano. Insomma, se sbarcano, una sorta di galera, qualcosa che alla galera somiglia molto.

Infine due cose che nel decreto non ci sono ma fanno parte integrante della volontà politica che ispira Salvini e il decreto stesso. La prima la richiama Salvini stesso. Annuncia campi rom zero. Entro cinque anni, non subito. Ma obiettivo è zero campi rom. E i rom? I rom senza campi? Per sapere dove andranno attendere successivi decreti ma forte è l’impressione che ai rom il futuro segnato è quello di disperdersi in quanto rom.

La seconda cosa che non c’è e non a caso non c’è è l’immigrazione legale. L’immigrazione a cercare regolare e onesto lavoro, l’immigrazione che serve a chi viene a lavorare e alle famiglie e imprese italiane non è prevista, contemplata. Niente, non una parola sull’immigrazione cosiddetta economica. L’equazione tra migranti e pericolo alla salute e quiete pubblica è totale. E quindi allo sbarco sei mesi sotto custodia ed espulsioni appena si può.

Per lunghi anni una sinistra cieca non ha saputo dire altro che le migrazioni erano inarrestabili, che l’accoglienza era volente o nolente l’unica, che non c’era niente da fare…Nonostante i racket, i pezzi di territorio praticamente perduti nelle città, nonostante fosse evidente che nel paese montava una inascoltata richiesta di una qualche repressione.

E per lunghi anni gli italiani hanno così visto nascere e crescere tra loro prima un dubbio, poi un disagio, quindi una ostilità e ora sono arrivati ad un rigetto dello straniero. L’episodio di quattro famiglie quattro che in un ambulatorio di Cagliari lamentano un’attesa che si è prolungata per “colpa di un negro” che stava ricevendo cure mediche non è un accesso di febbre razzista, è il termometro che misura la temperatura reale della pubblica opinione.

Ora Salvini dice agli italiani che gli immigrati li caccia per legge o comunque li tiene sotto chiave e sotto controllo e non li fa girare liberi. Dice quello che in parte materialmente e anche giuridicamente non si può fare o è odioso fare. Ma dice quel che gli italiani si dicono tra loro e vogliono sentirsi dire.