Terremoto, Cialente: “Non fate morire L’Aquila. Servono 11 miliardi”

Pubblicato il 25 Maggio 2013 - 09:22 OLTRE 6 MESI FA
Terremoto, Cialente: "Non fate morire L'Aquila. Servono 11 miliardi"

Massimo Cialente (Foto Lapresse)

L’AQUILA – “Non fate morire L’Aquila”: è l’appello, davvero accorato, del sindaco Pd del capoluogo abruzzese, Massimo Cialente, a quattro anni dal terremoto che ha distrutto gran parte della città

In una lettera al Corriere della Sera Cialente scrive della “malcelata insopportazione nei nostri confronti che si respira, ultimamente, in tutte le istituzioni dello Stato”. E chiede undici miliardi. Se necessario da trovare anche attraverso “una piccola tassa di scopo”.

Caro Direttore, le scrivo spinto dal terrore che L’Aquila sia destinata a morire, tra l’indifferenza politica e la malcelata insopportazione nei nostri confronti che si respira, ultimamente, in tutte le istituzioni dello Stato. A quattro anni dal terremoto che ha cancellato i luoghi della nostra identità proiettandoci nel ricordo del passato nella speranza di sopravvivere al presente, ci ritroviamo senza fondi per la ricostruzione. Non è finanziato il futuro dell’Aquila. Il cantiere più grande d’Europa continua a reggersi sulle sue impalcature mettendo gli operai in cassa integrazione e lasciando le famiglie, a migliaia, parcheggiate nelle case di Berlusconi o negli alberghi. Commissariati prima, abbandonati ora. Ci servono sette miliardi ancora per la Città dell’Aquila e quattro per i 56 Comuni del cratere sismico. Non tutti insieme ma diluiti nei prossimi anni, quelli sanciti nel cronoprogramma della ricostruzione, coraggioso documento approvato dal consiglio comunale che dice agli aquilani quando potranno rientrare nelle loro case, da qui al 2018.

Sono risorse che possono essere reperite con il meccanismo del mutuo venticinquennale con la Cassa depositi e prestiti: 60 milioni l’anno per ciascun miliardo. Si può fare. Così com’è stato fatto dal governo Monti per i nostri fratelli dell’Emilia, ai quali sono stati erogati 10 miliardi. E mentre io oggi, con 20mila sfollati ancora sulle spalle, ho restituito la fascia da sindaco al presidente della Repubblica e ammainato il tricolore nella vana speranza che qualcuno si degni di considerare il peso della nostra tragedia, Vasco Errani può affermare, con sacrosanto orgoglio, che nelle sue contrade potrà essere ricostruito tutto, sino all’ultimo euro. Con i finanziamenti finora ricevuti, abbiamo riparato 15mila unità immobiliari delle periferie, 5 mila delle quali, molte crollate o dovute abbattere, hanno ancora i cantieri in corso. Abbiamo speso 2 miliardi e 200 mila euro. La nostra, dati alla mano, è la ricostruzione che sta costando meno al metro quadro.

Con gli ultimi finanziamenti previsti, 980 milioni di competenza per il 2013/2015, ricostruiremo altre 4mila unità immobiliari, le più complesse, cominciando ad aggredire una minuscola porzione del centro storico, con i suoi 400 ettari, tra i più estesi d’Italia. E poi? Cosa ne sarà del capoluogo d’Abruzzo, seconda città d’Italia per numero di edifici vincolati dal ministero dei Beni culturali, testimonianza autentica di una città di fondazione medievale, dove la cultura si sposa con la natura e la qualità della vita è sempre stata impagabile? Capirà il Paese che la ricostruzione dell’Aquila rientra tra le priorità nazionali? Che se la ricostruzione dell’Aquila riuscisse a partire con quella dell’Emilia, avremmo un effetto positivo sul Pil dando ossigeno ad aziende e imprese? Abbiamo avuto tanta pazienza. Oggi siamo allo sbando. Senza casa, senza lavoro, senza prospettive per il futuro. Sospesi.

Tramite il suo giornale, sereno e oggettivo cronista in questi anni della nostra tragedia, rivolgo il mio appello a tutti gli italiani, agli intellettuali, ai mille storici dell’arte che tre settimane fa si sono dati appuntamento tra le nostre macerie, alla classe dirigente del Paese, al Parlamento e al governo: non abbandonate L’Aquila e il suo territorio. Non meritiamo di essere lasciati soli, per la dignità che abbiamo mostrato, il coraggio, gli sforzi che abbiamo compiuto e stiamo compiendo, schiacciati in una vicenda politica più grande di noi che, sul nostro dolore, ha consumato i suoi riti, le sue fortune, le sue polemiche e i suoi scontri. Se necessario, chiederei anche al Paese di accettare l’idea di una piccola tassa di scopo. Ricostruire L’Aquila, oltre che dovere per l’Italia, dovrebbe essere motivo di orgoglio nazionale di fronte al mondo intero. L’Aquila non può e non deve morire.