Afghanistan: si prepara per l’America un altro Vietnam?

Pubblicato il 11 Novembre 2009 - 16:47 OLTRE 6 MESI FA

Veterani del Vietnam manifestano contro l'intervento in Iraq e Afghanistan

È alquanto strano che in Oriente la storia si stia ripetendo sulla falsariga di quanto accadutovi dal 1959 al 1975 senza che in Occidente siano in molti a preoccuparsi e a suonare campanelli di allarme.

Una che ha il coraggio di farlo è la columnist Loretta Napoleoni dell’Huffington Post, che senza lesinare le parole scrive, chiaro e tondo, che mentre si festeggia la caduta del muro di Berlino, vent’anni dopo gli americani stanno perdendo la guerra in Afghanistan come persero quella in Vietnam combattuta tra mille proteste, errori e contraddizioni dal 1959 al 1975 sotto quattro diversi inquilini della Casa Bianca: Dwight Eisenhower, John Kennedy, Lyndon Johnson e Richard Nixon.

È possibile che i paragoni tra il Vietnam l’Afghanistan sui media americani siano tanto rari quanto cauti al fine di non riaprire una ferita mai del tutto rimarginata. Ed è anche possibile che il precedente, disastrosamente fallimentare, tentativo dei russi di soggiogare il Paese asiatico venga ricordato il meno possibile per la stessa ragione: un grande potenza sconfitta dai mujaeddin e costretta ad una ignominiosa ritirata nel 1989, pochi mesi prima del suo crollo, anticipato drammaticamente dalla caduta del muro.

Ora, scrive l’Huffington Post, è paradossale che il cimitero di una ex-superpotenza sia diventato il campo di battaglia di un’altra, rimasta l’unica. Ed è altrettanto paradossale che gli Stati Uniti, alleati dei mujaeddin contro i sovietici, debbano ora in Afghanistan sopportare lo stesso tormento, questa volta combattendoli, perché sono gli stessi nemici che oggi si chiamano talebani.

È passato molto tempo e si può tralasciare, ma non dimenticare, un’altra drammatica esperienza occidentale in quell’ostile e combattivo Paese: quella dei Britannici al culmine della loro potenza.

Le similitudini tra le guerre sovietica e americana in Afghanistan, rileva l’Huffington Post,  sono numerose. I generali sovietici continuavano a chiedere altre truppe per cercare di controllare il vasto e impervio Paese perché con le sole loro modernissime armi non ci riuscivano essendo il nemico altamente elusivo e pratico del territorio infinitamente più degli invasori.

Gli Stati Uniti ed i loro alleati si trovano di fronte allo stesso problema: armi ultrasofisticate e tattiche di guerra tradizionale non funzionano, perché gli americani dovrebbero aver imparato al costo di 60 mila morti nel sudest asiatico che, in Vietnam come in Afghanistan, non si può fare la guerra tradizionale contro la guerriglia e sperare di vincere.

I talebani sono altrettanto elusivi dei mujaeddin: spariscono sulle colline durante la notte e tornano a combattere il mattino dopo. Entrambi imbottendo le strade principali di esplosivi: i mujaeddin usando mine anti-carro (di fabbricazione americana), e i talebani facendo stragi di soldati e di civili con bombe fatte in casa che disseminano lungo le arterie in attesa che prima o poi ci passi sopra qualcuno, o facendole esplodere a distanza.

Il comandante in capo delle forze Usa In Afghanistan, generale Stanley McChrystal, di nomina relativamente recente, ha dato uno sguardo alla situazione ed ha concluso che a meno di inviare in Afghanistan altri 40 mila soldati – un altro esercito – la guerra è persa. È esattamente quello che chiedevano e dicevano i suoi ex-colleghi sovietici, e il risultato si è visto. «Più soldati inviamo, più i talebani ne ammazzano» ha commentato un deputato di Washington che ha voluto conservare l’anonimato. Attualmente i soldati Usa in Afghanistan sono 160 mila.

McChrystal è riuscito a tirare dalla sua parte importanti membri dell’amministrazione di Barack Obama: il ministro della difesa Robert Gates, il capo degli stati maggiori riuniti ammiraglio Mike Mullen ed anche il segretario di stato Hillary Clinton, che non risulta sia un’esperta di strategie militari. Obama tentenna, forse perché ricorda il Vietnam più dei suoi collaboratori, ma secondo certi media americani avrebbe già deciso di dare retta a McChrystal, il quale in quanto generale, non può che sperare di vincere la guerra con l’unico mezzo che ha a disposizione: soldati ed ancora soldati.

Vale ricordare a questo proposito che la guerra in Vietnam cominciò sotto l’amministrazione Eisenhower con pochi ”consiglieri militari”, poi fu la volta di Kennedy che ne inviò migliaia e infine di Johnson che gonfiò il contigente Usa fino a 500 mila uomini.

Ma probabilmente la più straordinaria similitudine tra le guerre afghane sovietica e americana è quello che è stato ed è ora il loro obiettivo: trasformare l’Afghanistan in un Paese amico ed instaurarvi il sistema politico degli invasori, il socialismo sovietico e la democrazia liberale americana. Mosca voleva che il Paese islamico diventasse un satellite del blocco sovietico, e gli americani lo vogliono trasformare in una democrazia di stampo occidentale. Operazioni entrambe pericolose: una è fallita e l’altra potrebbe subire la stessa sorte.

Raccontano le biografie che l’inflessibile generale americano George Patton disse una volta ad un convegno di suoi ufficiali durante la Seconda Guerra Mondiale che «l’America odia i perdenti, ed è per questa ragione che non ha mai perso, nè mai perderà una guerra». Alla bruciante sconfitta americana in Vietnam Patton deve essersi rivoltato nella tomba, e, a meno di improvvisi ed al momento inprevedibili capovolgimenti, rischia di essere smentito di nuovo, questa volta in Afghanistan.