Il G20 e la “guerra delle valute”: gli Usa chiedono un limite (4% del Pil) agli squilibri nell’import/export mondiale. Ma il sì della Cina è lontano

Pubblicato il 22 Ottobre 2010 - 21:56 OLTRE 6 MESI FA

Resta ancora in forse l’accordo al G20 sulla finanza in corso in Corea per disinnescare la guerra delle valute. In questa “battaglia monetaria” gli Stati Uniti hanno messo sul tavolo la proposta, mirata alla Cina e quindi al suo yuan debole, di limitare al 4% del prodotto interno lordo dei singoli Paesi il saldo negativo o positivo sulla bilancia commerciale, risultato della differenza fra importazioni ed esportazioni. Un Paese che esporta beni e servizi più di quanti ne importi ha un surplus, un guadagno. Viceversa una nazione che importa più di quanto esporti ha un forte deficit ed è indebitata verso gli altri Stati.

Se passasse la proposta degli Usa, Pechino dovrebbe stimolare la domanda interna rinunciando a tassi artificiosamente bassi per favorire i suoi prodotti all’estero. Dal canto loro gli Stati Uniti dovrebbero incrementare il risparmio e le esportazioni.

Al termine della prima giornata di lavori ufficiali, le posizioni fra Stati Uniti, Corea del Sud, Canada da un lato e Cina, Russia e Germania (Paesi grandi esportatori) dall’altra restano però distanti. Si fa strada invece la riforma della governance Fondo Monetario Internazionale per far contare di più i Paesi emergenti. Un tema, questo, chiesto con insistenza dalla presidenza coreana.

La proposta degli Stati Uniti mira a porre ordine negli squilibri globali, considerati una delle cause della crisi. La Cina non è nominata, ma è chiaramente il bersaglio numero uno, con il suo tasso di cambio fisso e l’enorme surplus, specie verso gli Stati Uniti.

Fra i Paesi partecipanti, spiegano le fonti e in particolare fra quelli del G7 che si sono riuniti prima dell’inizio del vertice, c’è consenso sulla necessità di cooperazione in materia di cambi che può portare solo benefici ma tuttavia le modalità sono tutte da definire e il dibattito in queste ore appare serrato.

Il Giappone, ad esempio, esprime dubbi su un limite sulle partite correnti stretto e vincolante come quello indicato dagli americani. Allo stesso tempo, Tokyo spiega che questolimite  potrebbe rappresentare un utile parametro di riferimento.

Anche all’interno dell’Europa peraltro le posizioni non sono unanimi. In primis la Germania, che grazie al boom dell’export ha visto risalire il Pil (trascinando in parte anche l’Italia) con una stima di +3,4% per il 2010.

L’Unione Europea, come ha ricordato in Corea il commissario per gli affari economici Olli Rehn, chiede di ”ribilanciare la crescita globale” e, in ogni caso di ricorrere alla cooperazione per evitare svalutazioni competitive da parte dei singoli Paesi e il ritorno del protezionismo.

Dove invece il vertice potrebbe compiere passi avanti e spianare la strada al summit di Seul è nella riforma dell’Fmi. Il presidente coreano Lee chiede di portarla a termine per quella data. I Paesi europei avrebbero raggiunto uno schema di accordo per rinunciare a parte della loro quota a favore degli emergenti anche se le percentuali dettagliate saranno stabilite entro la fine del prossimo anno.

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