Il Maghreb non si placa. In Algeria e Tunisia i morti aumentano, ma i governi negano

Pubblicato il 10 Gennaio 2011 - 09:31 OLTRE 6 MESI FA

La rivolta del pane incendia il Maghreb, e, ogni ora che passa, il bollettino delle vittime negli incidenti con le forze dell’ordine aumenta. Anche sull’altra sponda del Mediterraneo si osserva con preoccupazione all’acuirsi improvviso della protesta sociale. E’ prevedibile, guardando alle pessime performance economiche dei paesi interessati, un rigurgito di ondate migratorie verso l’Europa.

La protesta del pane era iniziata in Algeria il 4 gennaio, con le manifestazioni contro i rincari dei prezzi dei prodotti alimentari che si sono trasformate in scontri con la polizia, auto date date alle fiamme, negozi saccheggiati.

In un Paese in cui la popolazione, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, ha per il 75% meno di 30 anni e il 20% dei giovani è disoccupato, quegli stessi giovani sono scesi in piazza, armati di pietre, contro la polizia, longa manus del governo, che poi non ha esitato a difenderla.

In un’intervista al quotidiano Algeria News, il ministro dell’interno Dahou Ould Kablia ha dato risalto soprattutto agli agenti feriti nelle manifestazioni, un numero “più importante di quello dei giovani manifestanti feriti”, ed è arrivato perfino a negare il carattere politico delle proteste, che, secondo lui, “non hanno il sostegno del popolo”.

La disoccupazione e il carovita hanno fatto i loro morti anche nella vicina Tunisia, paese considerato tra i più stabili del nord-Africa. Qui non è possibile neppure sapere quanti morti ci siano stati, con radio Kalima che parla di cifre vicine ai 50 morti solo negli ultimi due giorni di week-end, e le fonti governative che contano non più di 15 decessi.

Il governo tunisino ha annunciato nuove misure eccezionali per ridurre i prezzi di olio e zucchero. Tra le principali disposizioni c’è “una sospensione ed esonero dei diritti doganali, di tasse e imposte” su olio e zucchero che permetteranno complessivamente di ridurre i prezzi del 41% i prezzi, ha reso noto un comunicato del primo ministro Ahmed Ouyahia, invitando produttori e distributori ad applicare con “urgenza gli effetti delle norme sui prezzi”. La sospensione di queste imposte sarà in vigore fino al 31 agosto e nello stesso periodo il governo definirà insieme agli operatori un sistema per “stabilizzare in modo permanente i prezzi di zucchero e olio”.

Mentre la polizia non si ferma neppure davanti ai cortei funebri, l’opposizione si appella al presidente-padrone Zine El Abidine Ben Ali, chiedendo di fermare il fuoco. Prima che altri disperati, come successo in questi giorni, se lo appicchino da sé dando il via ad un’ennesima fiammata di rivolte.

“Che la polizia avesse l’ordine di usare le mani forti lo si è capito da subito, scrive Renato Caprile su Repubblica. In questa, come in tutte le guerre, inseguire la bontà delle cifre è impresa ardua. E adesso – che sui numeri abbia ragione il governo o l’opposizione, il blogger o la radio – quel che resta gravissimo è il fatto che la polizia abbia sparato e ci sia riuscita”.

L’analisi di Vali Nasr. “Egitto, Iran, Maghreb, penisola arabica non sanno come impiegare i loro giovani. I governi dovranno creare oltre 115 milioni di nuovi posti di lavoro entro i prossimi cinque anni. Dubito che possano garantire quelli che hanno già. E questo perché le imprese statali sono in deficit e l’imprenditoria privata praticamente non esiste”: la spiegazione viene dal politologo irano.americano Vali Nasr, docente di politica Internazionale a Harvard.

In un’intervista al Corriere della Sera, Nasr, esperto in particolare di Medio Oriente, vede il cuore del problema che ha dato vita alle rivolte nella paralisi generata nel Maghreb dall’economia statalista. “Nel mondo arabo la borghesia lavora per lo Stato, nelle aziende pubbliche, per l’industria petrolifera statale. Nessuno pensa a creare posti di lavoro. E ora le cose stanno peggio: aumentano i prezzi dei generi alimentare, le carestie e le alluvioni riducono le derrate, la domanda di prodotti e lavoro crolla”.

Per il politologo la soluzione sarebbe quella di “smantellare il carrozzone dell’economia statalista a favore della libera iniziativa privata, pianificare per il lungo periodo, pur sapendo che nel breve le difficoltà aumenteranno”.

Le ricchezze energetiche, in particolare il petrolio dell’Algeria, non sono di aiuto. Anzi. Secondo Nasr “petrolio e aiuti internazionali sono stati una maledizioni nel Medio Oriente”,  perché non hanno permesso al Paese di innovare la propria economia. Per di più in Nord Africa la situazione è aggravata dalla presenza di gruppi dell’islam radicale, che potrebbero “approfittare della crisi”.

[gmap]