Come si diventa assassini in Afghanistan: la storia dello squadrone della morte della Compagnia Bravo

Pubblicato il 1 Aprile 2011 - 08:10 OLTRE 6 MESI FA

KABUL – La guerra li aveva resi killer spietati: su giornali e siti americani ha suscitato scandalo la storia dello “squadrone della morte” dei militari Usa impegnati in Afghanistan. La vicenda, pubblicata e corredata di foto e video su Rolling Stone, merita di essere narrata a mo’ di racconto.

All’inizio dell’anno, dopo una lunga e frustrante campagna militare, un gruppo di soldati del terzo plotone, compagnia Bravo, prendeva una terribile decisione. La torbida mente di uomini sovraeccitati dalla guerra e assetati di sangue aveva dato il suo responso: time to kill, era arrivato il momento di uccidere; un uomo, un uomo qualsiasi, un innocente, un haji doveva morire. Poco importava dove, come, perché. Bastava che fosse un haji – ovvero un musulmano secondo il lessico denigratorio delle truppe americane in Iraq ed in Afghanistan – il macabro trofeo della caccia.

Per settimane, alcuni soldati della compagnia avevano lungamente soppesato l’idea di uccidere persone afgane solo per il gusto di farlo. Durante le serate, passate a fumare di l’hashish afgano passatogli dagli interpreti, discutevano delle precauzioni da prendere e delle possibilità di essere scoperti. Qualcuno era cauto, qualcuno giù entusiasta. Del gruppo degli entusiasti faceva parte il sergente Calvin Gibbs, caporione del gruppo. Veterano in Iraq, appena arrivato in Afganistan prese il comando della Compagnia Bravo, mise una bandiera dei pirati sulla sua tenda. Sullo stinco sinistro, gli amici e i compagni potevano ammirare due fucili incrociati circondati da sei teschi, tre rossi e altrettanti blu. Quelli rossi per gli uomini ammazzati in Iraq, quelli blu per l’Afghanistan.

Nella mattina del 15 gennaio, dopo una ricognizione a La Mohammad Kalay, un borgo isolato di contadini, due soldati si allontanarono dall’unità e raggiungono l’estremità del villaggio. Qui, in un campo di papaveri, lontano da occhi indiscreti, cominciarono a cercare qualcuno a caso, la loro prima vittima. Fu Gal Mudin, un nome comune in Afghanistan, a subire  il destino tragico. Gal era un contadino ed era solo un ragazzo, ha quindici anni, non ha un pelo di barba, ed era completamente inoffensivo. Li guardava con curiosità, senza apprensione, mentre i soldati si accucciavano dietro un muretto di pietre e fango e gli lanciavano contro una granata. Quando la bomba esplose, i due soldati cominciarono a sparare ripetutamente sul corpo del ragazzo. Fu il primo omicidio per Andrew Holmes e Jeremy Morlock, ma non l’ultimo.

Nonostante nulla sembrasse giustificare la loro versione, Holmes e Morlock, con l’aiuto di Calvin Gibbs, fecero credere ai superiori che il ragazzo li avessi attaccati in pieno giorno, lanciandogli una granata. Gli ufficiali ci credettero, oppure finsero di credere, alla strana storia. Poi, i soldati, si fecero fotografare con il cadavere di Mudin. Dopo le macabre prese, Gibbs cominciò a giocherellare con il cadavere: muoveva le braccia e la bocca del ragazzo come se fosse un burattino. Infine, estrasse un paio di lamette e mutila il dito mignolo di Mudin, per porgerlo ad Holmes. Fu il loro primo omicidio, il loro primo trofeo.

Ingagliarditi dal successo, lo squadrone composto da cinque soldati avrebbe continuato la sua macabra opera, determinando nei mesi seguenti la morte di almeno altri tre civili innocenti. Fu così che grazie alla complice disattenzione degli ufficiali e al colpevole silenzio di numerosi commilitoni, che l’esercito americano si è macchiato di uno dei più odiosi crimini degli ultimi anni. Come dirà Murlock durante il suo interrogatorio : «A nessuno di noi nel plotone frega un c.. di questa gente».