“Agenzia delle entrate, no di Renzi a Padoan per nomina Marco Di Capua”, il Fatto

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Giugno 2014 - 10:01 OLTRE 6 MESI FA
"Agenzia delle entrate, no di Renzi a Padoan per nomina Marco Di Capua"

Marco Di Capua

ROMA – Rottamare, cambiare verso. La faccenda è complicata quando si passa dalle parole ai fatti. Il caso del futuro dell’Agenzia delle Entrate ne è plastico esempio. Attilio Befera, uno dei viceré di via XX settembre negli ultimi sei anni grazie alle poltrone in Agenzia e Equitalia, se n’è andato a lavorare all’Eni, il maggiore contribuente italiano, dove sarà presidente dell’Organismo di vigilanza.

La corsa alla successione, fosse per Pier Carlo Padoan, sarebbe già chiusa: il nome indicato dal titolare dell’Economia al Consiglio dei ministri è quello di Marco Di Capua, vicedirettore vicario dell’Agenzia in ticket proprio con Befera. Matteo Renzi, però, non è d’accordo, ha bloccato la nomina e ci tiene a farlo sapere.

Scrive Marco Palombi sul Fatto Quotidiano:

Marco Di Capua, 55 anni ad agosto, è uno dei molti ex ufficiali della Guardia di Finanza che, negli anni del centrodestra, hanno scalato l’Agenzia delle Entrate: ce ne sono ben quattro nelle posizioni di maggior peso. Il successore in pectore di Befera, peraltro, appartiene alla sotto-categoria dei “ferrovieri”, cioè a quel gruppo di ufficiali della Gdf che nel 1995 passarono a lavorare in blocco per le Ferrovie dello Stato guidate da Lorenzo Necci. A capeggiare il gruppo all’epoca fu un giovane maggiore: Mauro Floriani – già collaboratore di Antonio Di Pietro per Mani Pulite (l’ex pm non la prese bene), nonché marito di Alessandra Mussolini – che poi finì imputato con Necci e Pierfrancesco Pacini Battaglia (il processo finì nel nulla o quasi) e recentemente è stato coinvolto nell’inchiesta sulle baby squillo dei Parioli. Il passaggio di sette finanzieri alla corte del re delle Fs, comunque, all’epoca non passò inosservato: interrogazioni parlamentari, polemiche sui giornali e tra le forze politiche. Come che sia, Di Capua arriva al ministero nel 2003, quando Tremonti – con la regia del suo braccio destro e capo della segreteria, Marco Milanese, ex finanziere pure lui – ridisegna la struttura di vertice dell’Agenzia delle Entrate. Via i “Visco-boys” Massimo Romano e William Rossi, dentro Raffaele Ferrara (altro “ferroviere” ex Gdf, peraltro in ottimi rapporto con l’allora capo dei servizi Nicolò Pollari ), che va a dirigere l’Agenzia delle Entrate, e appunto Di Capua, il cui fratello Andrea fu chiamato proprio da Pollari a dirigere l’ufficio del personale di quello che oggi è l’Aise. Sempre in quel 2003 a capo della Guardia di Finanza arriva Roberto Speciale, il generale che ingaggerà col futuro viceministro alle Finanze Visco una guerra mortale che si concluderà solo nel 2008 – lasciata la divisa – col suo arrivo sui banchi della Camera, eletto deputato in quota Pdl.

Undici anni fa, però, la guerra ancora non c’era, Milanese non era sommerso dai guai giudiziari che ha oggi e il network creato per Tremonti al Tesoro funzionava a pieno regime: Di Capua fu messo a capo della Direzione Accertamento dell’Agenzia. In quella veste, il nostro ebbe anche un ruolo in una delle débâcle più dolorose del fisco italiano: la vicenda delle plusvalenze ricavate dai “capitani coraggiosi” di Brescia (copyright: Massimo D’Alema) dalla vendita di Telecom alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera nell’estate 2001. Due miliardi secchi finiti nella holding lussemburghese Bell. La storia di come Guardia di Finanza e Tesoro, negli anni del centrodestra, lasciarono andare questo “tesoretto” senza intervenire è stata raccontata assai bene da Carlo Bonini su Repubblica nel luglio del 2007: i controlli della Gdf, nonostante l’evidenza indicasse che Bell in Lussemburgo aveva solo la sede e nient’altro, ritennero di non dover contestare la “esterovestizione” dei profitti (cioè un sotterfugio per non pagare le tasse) e – dopo un palleggio durato anni tra i vari gangli dell’amministrazione – anche la Direzione Accertamento di Marco Di Capua, nell’aprile 2006, decide che va bene così: i bresciani possono tenersi i soldi. “Le ragioni di Bell vengono argomentate dall’avvocato Dario Romagnoli e da Claudio Zulli – scrive Bonini -Non sono due professionisti qualunque. Romagnoli ha diviso il suo studio di diritto tributario con Giulio Tremonti fino al giorno in cui è stato nominato ministro dell’Economia. È anche lui un ex ufficiale della Guardia di Finanza ed è stato compagno di corso di Marco Milanese”.