Elezioni 2013, prime pagine e rassegna stampa. Beppe Grillo, Bersani e Berlusconi

Pubblicato il 26 Febbraio 2013 - 09:00 OLTRE 6 MESI FA

Elezioni 2013, prime pagine e rassegna stampa. Beppe Grillo, Bersani e Berlusconi. Il Corriere della Sera: “Voto choc: non c’è maggioranza”. I conti con la realtà. Editoriale di Massimo Franco:

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“Ha vinto un’Italia euroscettica: almeno nei confronti della politica del rigore economico. Un terzo polo è spuntato, ma non è quello di Mario Monti: moderato, europeista, governativo. È invece quello radicale, protestatario e populista di Beppe Grillo, che è diventato il primo partito italiano. Ma accanto al comico che è riuscito a strappare un quarto dei voti, c’è un altro vincitore. Si tratta di Silvio Berlusconi, che ha scommesso sulla propria sopravvivenza. Ed è riuscito a garantirsela con una corona di liste satelliti che gli ha fatto contendere al centrosinistra il primato dei seggi al Senato; e sfiorare un’affermazione clamorosa alla Camera. Per paradosso, Pier Luigi Bersani perde politicamente, pur vincendo il premio di maggioranza a Montecitorio”.

Incarico, il rebus di Napolitano. La linea: tenersi le mani libere. Articolo di Marzio Breda:

“Uno scenario così difficile e delicato da vincolare i consiglieri di Giorgio Napolitano, letteralmente assediati ieri, a ripararsi dietro la formula dell’«assoluto riserbo su tutto» e a non concedere «alcuna ipotesi su nulla». Atteggiamento comprensibile, almeno in queste ore convulse e ancora prive di riferimenti certi. Di fatto, se il risultato definitivo delle elezioni confermerà che nessuno ha una maggioranza salda anche al Senato, la partita sarà più che mai nelle mani del capo dello Stato. Il quale l’ha già detto il 20 dicembre scorso, all’indomani del suo incontro al Quirinale con le Alte Cariche della Repubblica: «Ogni mia decisione nascerà dalle consultazioni post-elettorali e dagli elementi che ne trarrò sul da farsi, non essendo vincolato ad alcuna ipotesi precostituita». 
Quell’annuncio fu tradotto come la negazione di qualsiasi automatismo, di fronte a un risultato delle urne non chiaro e inequivocabile (quindi con un vincitore dimezzato) e di fronte a indicazioni dei partiti non precise (in assenza di forti accordi), nel momento del consulto sul Colle, che non potrà comunque cominciare prima del 20 marzo. Insomma: in un’ipotesi del genere, che è poi quella confusa che sembra materializzarsi ora, il presidente aveva anticipato allora che si terrà le mani libere, valutando anche «un modello di comportamento convalidato da non pochi precedenti» di suoi predecessori”.

Elezioni 2013 Senato, nessuno ha i numeri La quota 158 è irraggiungibile. Gli scenari di Dino Martirano:

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“La folle corsa dello scrutinio per l’elezione del Senato finisce con numeri che ora, forse, sono buoni per essere giocati al Lotto. A Palazzo Madama, il centrosinistra (120/121 seggi accreditati dal professor Roberto D’Alimonte a Bersani e Vendola quando non era ancora terminato lo spoglio del voto all’estero), oltre a non poter governare da solo, non ha neanche la possibilità di raggiungere la maggioranza alleandosi con la lista civica di Mario Monti (21/22 senatori). Speculare la situazione del centrodestra che «vince» i premi regionali più succosi (e ottiene 117/118 senatori) ma non ha i numeri per governare nè da solo né accompagnato dal centro. La quota magica di 158 senatori, infatti, si supera solo se si rimette in piedi la «strana maggioranza» (Pdl, Pd, Monti) oppure se qualcuno degli attori in campo riuscirà a capitalizzare in tutto o in parte i 54 senatori conquistati dal movimento di Beppe Grillo. C’è poi il seggio (forse due) delle minoranze linguistiche. Il dato uscito dalle urne è quello di un Senato senza maggioranza”.

Elezioni 2013. Cinque Stelle, debutto a valanga. Meglio di Forza Italia nel 1994. Scrive Emanuele Buzzi:

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“Una valanga (di voti), forse più che uno tsunami. Il movimento Cinque Stelle sbarca in Parlamento con percentuali stellari: quando mancano 2 mila sezioni da scrutinare è il primo partito alla Camera. Frantumato il record di Forza Italia, che nel 1994 prese il 21%: i grillini si presentano come i migliori debuttanti della storia della Seconda Repubblica (senza alle spalle nessuna ossatura di un partito preesistente), con un 25,4% (dati parziali,ndr) alla Camera. «Sarà un piacere», aveva ripetuto il leader in tutti questi mesi. E oggi lo ha ribadito su Twitter (insieme a un beneaugurante: «L’onestà è di moda»).
Grillo ha votato in mattinata a Genova e ai cronisti ha detto: «Lo vedremo domattina se i partiti si sono arresi, se chiedono scusa e perdóno. Facciamo un piccolo politometro sui loro conti. Se ne possono andare tranquillamente. Ora aspettiamo i risultati, poi vedremo». 
I Cinque Stelle secondo le proiezioni avranno in Parlamento circa 110 seggi a Montecitorio e una sessantina a Palazzo Madama. Numeri impressionanti. I grillini a Genova hanno preso centomila preferenze, tallonando il Pd di Bersani. A Mirafiori, storico quartiere operaio torinese, il movimento ha raggiunto e pareggiato il Pd alla Camera, con il 30,86%. I Cinque Stelle in Veneto hanno spazzato via il Carroccio: al Senato si profilano come il primo partito della regione, doppiando (in percentuale) i leghisti. Trionfo anche in Sicilia 1 con quasi il 35% delle preferenze”.

Le risatine sbagliate di destra e sinistra. Articolo di Gian Antonio Stella:

“«Se Grillo vuol fare politica fondi un partito e vediamo quanti voti prende!» «Grillo è un trombone, non conta nulla». Le acute analisi con cui Piero Fassino e Maurizio Gasparri liquidarono pochi anni fa il trionfatore di oggi restano immortali. Non furono solo loro, però, a sballare la valutazione dei fatti. Anzi, il rifiuto di capire l’ira popolare per certe storture inaccettabili del Palazzo è stata comune a molti. Ed è alla base dell’ondata di «grillismo» che rischia di travolgere tutto e tutti.
Cosa doveva succedere, perché i partiti capissero che una stagione era finita? Doveva prosciugarsi il Po? Sprofondare Venezia? Esplodere il Vesuvio? Creparsi il Monte Bianco? E invece, per anni, anche dopo il successo di piazza del «V-day» del settembre 2007, che avrebbe dovuto spaccare i timpani ai sordi, ne abbiamo lette di tutti i colori. 
I tagli ai costi della politica? «Il punto fermo è la nostra dignità», tuonava alla Camera Gerardo Bianco che sedeva lì da nove legislature, «la nostra agenda non può essere dettata da istrioni della suburra». L’insistenza cocciuta sul web da sviluppare perché l’Italia non può essere alla preistoria nella Rete? «La mia Internet è Gianni Letta», sogghignava il Cavaliere. «Grillo ha sempre fatto un po’ il ciarlatano», sbuffava lo statista celtico Umberto Bossi. 
Risatine. Smorfiette. Spallucce. Al massimo qualche pensosa riflessione sul «termometro che non è sempre rotto se segnala una febbre alta». E via così, per anni e anni. Basti ricordare l’accoglienza ricevuta nel dicembre 2007 dal comico quando arrivò a Palazzo Madama su un risciò per consegnare una catasta di firme raccolte in un solo giorno sotto tre disegni di legge popolare: no ai condannati in Parlamento, no a più di due legislature, no ai deputati e senatori «nominati» dai capi partito col «Porcellum».
Proposte giuste? Sbagliate? Virtuose? Demagogiche? Non vogliamo neppure entrare nel merito. Ma fu vergognoso che pur essendo state sottoscritte da 350 mila cittadini, sette volte di più di quelli previsti dall’articolo 71 della Costituzione per le leggi di iniziativa popolare, quelle proposte non vennero neppure esaminate dal Parlamento”.

L’ingovernabilità spaventa. Lo spread sfiora quota 300. Scivolone di Wall Street. Scrive Stefania Tamburello:

“La reazione dei mercati è stata immediata: alle prime proiezioni elettorali che segnalavano il Pdl in testa, Piazza Affari ha cambiato segno azzerando i guadagni realizzati fino a quel momento. Stessa virata per gli spread sul secondario: il differenziale tra i rendimenti dei Btp decennali e dei Bund tedeschi di uguale durata che si era ristretto a 255 punti base sull’attesa di una vittoria dello schieramento di Centrosinistra, si è allargato fino a sfiorare i 300 punti, chiudendo a quota 293 punti. Anche Wall Street ha allargato le perdite e i timori per l’ingovernabilità hanno fatto chiudere la Borsa di New York in calo dell’1,55% (indice Dow Jones), in poco più di due ore è scesa di 300 punti. L’andamento delle contrattazioni sui monitor degli operatori non ha lasciato dubbi: l’ipotesi dell’instabilità politica dovuta al ritorno sulla scena di Silvio Berlusconi ha gelato gli umori degli investitori i quali puntavano ad uno scenario con un Pd vincente alla Camera e alleato con la lista civica di Mario Monti per raggiungere la maggioranza al Senato e per formare il governo”.

La Repubblica: “Boom di Grillo, Italia ingovernabile”. Dopo lo tsunami. Editoriale di Massimo Giannini:

“Ha vinto il populismo di Grillo, che è un impasto identitario complesso e contraddittorio, post-ideologico e post-materialista, al tempo stesso arcaico e ultramoderno. Lo «strano animale» irrompe nelle Camere, con 150 eletti che spazzano via specie ormai quasi giurassiche, da Fli di Fini all’Idv di Di Pietro, e che cambiano i connotati del «bipartitismo egemonico» di questi ultimi due decenni. I due partiti di massa si livellano, e il Nuovo Centro di Monti (a dispetto dell’incomprensibile soddisfazione del Professore) dimostra tutta la sua insostenibile leggerezza.
La vera «Terza Forza» è in realtà Grillo. Come dice il suo guru Casaleggio, il Movimento 5 Stelle trionfa perché svolge al meglio il compito del «bidone aspira-tutto ». Fa piazza pulita delle odiate, vecchie «cariatidi» del Palazzo, e succhia consensi ovunque. Destra e sinistra, centro e non voto. Questo era noto già dalle ammini-strative del maggio scorso. M5S nasce in effetti come «costola della sinistra», visto che il 46% dei suoi elettori proviene dalla sinistra radicale e libertaria. Ma ora fa il pieno anche a destra, da dove arrivavano già il 38,9% dei suoi voti, e dove adesso prosciuga non solo il Pdl, ma soprattutto la Lega.
Parlare di «anti-politica», a questo punto, diventa davvero riduttivo. Come già scrivemmo dopo il successo della tornata locale del maggio 2012, nello tsunami grillino c’è anche una forte domanda di «altrapolitica », non solo qualunquista e non solo protestataria, alla quale i partiti tradizionali non hanno saputo dare risposta in questi mesi. Eppure c’era tempo, per un’autoriforma della politica che avrebbe riavvicinato i cittadini alle istituzioni. C’era tempo per tagliare il numero dei parlamentari, eliminare le province, abbattere gli stipendi d’oro e le prebende degli eletti, mentre gli elettori sacrificavano fino all’ultimo centesimo sull’altare del «rigore necessario». Non è successo niente. Molti italiani hanno gridato, quasi nessuno li ha ascoltati. Grillo è diventato la risposta”.

Tv e piazze lasciate agli avversari così il Pd perde l’ultima occasione. L’analisi di Curzio Maltese:

“Tra i militanti venuti sotto la sede del Pirellone a festeggiare la presa del palazzo d’inverno, e tornati a casa mesti e pesti, tutto è perduto ma non il senso dell’umorismo. L’abitudine alla sconfitta allevia la delusione, comunque bruciante. La Lombardia sembrava l’Ohio e invece rimane il Texas d’Italia, l’inattaccabile roccaforte della destra. Berlusconi ha vinto ancora, nonostante gli scandali, gli arresti, la catastrofe finale del sistema formigoniano, e quindi non poteva perdere nel resto d’Italia. Per il risultato del voto regionale, bisognerà aspettare questa sera. Ma l’esito delle politiche lascia poche speranze all’avvocato Ambrosoli.
Forse si tornerà a votare presto. Ma un’occasione come quella appena persa, in Lombardia e quindi in Italia, è difficile
che torni per Bersani e compagni. Perfino la Borsa aveva festeggiato sull’onda dei sondaggi la vittoria della sinistra. E da oggi è pronta invece a speculare, come tutte le altre piazze del mondo, sull’ingovernabilità del Paese.
Naturalmente non è soltanto questione di Milano o di Lombardia. Ma è sul voto del Nord, dove ancora una volta si è schiantata l’ennesima gloriosa macchina da guerra, che si misura il ritardo della sinistra. L’incapacità di intercettare i mutamenti culturali, politici, sociali nelle aree più ricche e avanzatedel Paese”.

La lunga metamorfosi di Grillo dalle battute contro Craxi e Martelli alla nascita del suo non-partito. Scrive Sebastiano Messina:

“Sono passati ventisette anni, da quel giorno. Era un sabato sera, a Palazzo Chigi c’era Bettino Craxi e il comico che oggi entra da trionfatore nel Palazzo volle togliersi lo sfizio di fare uno sketch sulla politica. Anzi, proprio sul Psi, il partito del presidente del Consiglio. E allora fece l’imitazione di Martelli che durante il viaggio in Cina domandava a Craxi: «Senti, è vero che qua ce n’è un miliardo e sono tutti socialisti?». «Sì, perché?». «Ma allora, se sono tutti socialisti, a chi rubano?». Con quella battuta, a 38 anni, il ragionier Giuseppe Piero Grillo, detto Beppe, concluse alla Rai la sua brillante carriera di comico. Forse non immaginava neanche lui che chi lo metteva alla porta gli stava cambiando la vita. O forse era proprio quello che voleva, con quella rasoiata che il Palazzo non poteva tollerare (mancavano ancora sei anni alla scoperta di Tangentopoli). Fatto sta che c’è chi fa risalire a quella cacciata dalla tv pubblica l’inizio della spettacolare metamorfosi di Grillo, da attore a profeta e da profeta a capopopolo.
Sì, certo, continuò a fare il comico ancora a lungo. Riempiva i teatri, con i suoi monologhi caustici e trascinanti, e una volta si levò anche la soddisfazione di tornare un’ultima volta nella Rai decraxianizzata, con il suo «BeppeGrillo Show», ma a poco a poco nei suoi spettacoli il piatto forte diventò la politica. Amava partire dai dettagli, apparentemente minori, che lui però trasformava in scelte paradigmatiche, piccole mosse per cambiare la vita. La sua e quella di tutti”.

La lunga lista dei big senza poltrona. Scrive Tommaso Ciriaco:

“La sorpresa più clamorosa è quella di Franco Marini. L’ex Presidente del Senato rischia di non strappare il seggio di Palazzo Madama e restare fuori dal Parlamento. Con lui, nel Partito democratico resta esclusa anche Paola Concia, deputata impegnata da sempre per i diritti civili. Ma a sera inoltrata tutti i partiti sono impegnati nel complicato rebus dei risultati elettorali. L’obiettivo, dati alla mano, è quello di dare un nome e un volto ai prossimi parlamentari, individuando così anche gli esclusi eccellenti. Chi paga un prezzo altissimo sull’altare dell’unità centrista, in queste Politiche 2013, è Futuro e libertà. Gianfranco Fini è ad altissimo rischio di esclusione: se l’Udc non toccherà quota 2%, i finiani non potranno essere considerati la prima forza da ripescare e resteranno fuori dalla Camera. Non entrerà a Montecitorio Italo Bocchino, uno dei personaggi chiave dello strappo dal Pdl. Nessuno spazio neanche per Roberto Menia. Colpisce anche l’esclusione di Giulia Bongiorno: per lei una doppia batosta, vista la sconfitta alle Regionali del Lazio. Fuori anche l’ex viceministro Mario Baldassarri, vicino a Monti, e uomini legatissimi a Fini come Giuseppe Consolo e Alessandro Ruben. L’unico finiano a ottenere un seggio a palazzo Madama è Benedetto Della Vedova. Solo lui, tra i deputati che sfidarono il Cavaliere il 14 dicembre 2010, tornerà a sedere in Parlamento”.

Il risiko dei premi nelle super regioni. Articolo di Silvio Buzzanca:

“Frammentato, senza maggioranza, incapace di contribuire alla governabilità. Il risultato delle elezioni per il Senato consegna un quadro confuso e dalla prospettive incerte. Perché i primi calcoli dicono che a Palazzo Madama andrebbero 115 senatori del centrodestra. Un gruppo composto da 93 pidiellini, 20 leghisti e 2 eletti da Fratelli d’Italia. Il centrosinistra, invece, arriverebbe a quota 120. I grandi vincitori delle elezioni, i grillini, sbarcherebbero nelle austere sale del Senato in 58. Mentre Mario Monti si dovrebbe accontentare di 16 senatori. Una ripartizione ancora incerta. Numeri figli delle alchimie della legge elettorale che assegna il premio di maggioranza in ogni singola regione. Perché le percentuali nazionali dicono che il centrosinistra ha raccolto il 31,63 per cento dei voti. In valore assoluto, 9.533.913 voti. Il centrodestra, invece, si è fermato al 30,72 per cento, che corrisponde a 9.401.194 voti. Per Grillo invece hanno votato in 7.261.037 elettori, pari al 23,79 per cento”.

Il Fatto Quotidiano: “Grillo boom batte tutti”. L’amico del giaguaro. Editoriale di Marco Travaglio:

“La domanda era: riusciranno i nostri eroi a non vincere le elezioni nemmeno contro un Caimano fallito e bollito? La risposta è arrivata ieri: ce l’han fatta un’altra volta. Come diceva Nanni Moretti 11 anni fa, prima di smettere di dirlo e di illudersi del contrario, “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Del resto, a rivedere la storia del ventennio orribile, era impossibile che gli amici del giaguaro smacchiassero il giaguaro. L’abbiamo scritto fino alla noia: nel novembre 2011, quando B. si dimise fra le urla e gli sputi della gente dopo quattro anni di disastri, era dato al 7 %: bastava votare subito, con la memoria fresca del suo fallimento, e gli elettori l’avrebbero spianato, asfaltato, polverizzato. Invece un’astuta manovra di palazzo coordinata dai geniali Napolitano, Bersani, Casini e Fini, pensò bene di regalarci il governo tecnico e soprattutto di regalare a B. 16 mesi preziosi per far dimenticare il disastro in cui ci aveva cacciati. Il risultato è quello uscito ieri dalle urne. Che non è la rimonta di B: è la retromarcia del centrosinistra”.

La Stampa: “Grillo boom, Parlamento bloccato”. Il dovere di scelte coraggiose. Editoriale di Mario Calabresi:

“Nelle prime elezioni sotto la neve sono venuti al pettine i nodi che la politica non ha sciolto negli ultimi vent’anni: il rapporto con i cittadini prima di tutto, quel senso di incomunicabilità che ha portato a esprimere una protesta che non ha precedenti. Ora abbiamo un Parlamento in cui nessuno schieramento è in grado di dare vita a una maggioranza di governo, in cui un quarto dei votanti ha scelto il Movimento di Beppe Grillo e in cui la doppia ribellione dei cittadini verso la «casta» da un lato e verso i tagli e i sacrifici dall’altro è la vera vincitrice. L’Italia reale ha espresso tutto il suo malessere e dentro questo voto si sentono le voci e le storie di chi non trova lavoro, di chi non riesce ad arrivare alla pensione o alla fine del mese, di chi pensa di non avere futuro e fugge all’estero, di chi ha vissuto le nuove tasse come un’insopportabile angheria”.

Lo tsunami si abbatte sul Parlamento: ondata di 170 grillini. Articolo di Andrea Malaguti:

“Davanti al comitato del MoVimento 5 Stelle di via Boiardo, a pochi metri da piazza San Giovanni, improbabile Bastiglia del nuovo che avanza, un gruppo di universitari della Sapienza – studenti di filosofia, prima volta al voto, età media diciannove anni – declama sotto la pioggia sporca il preambolo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Sono le otto di sera, il cielo sembra tamponato con dell’ovatta nera, e, pochi metri più in là, nelle sale sotterranee di questo hotel improvvisato quartier generale di un popolo abituato alle sale virtuali del web, si respira l’aria inebriante e rischiosa delle giornate storiche”.