Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Ignaro e gli gnorri”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Ottobre 2015 - 08:02 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Ignaro e gli gnorri"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Ignaro e gli gnorri”

ROMA – “Se quella di Roma – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – fosse soltanto la tragedia di un uomo ridicolo – Ignazio Marino detto Ignaro – si potrebbe liquidarla con una grassa risata e passare oltre”.

L’editoriale di Marco Travaglio. Invece è la tragedia non solo di un’intera città, incidentalmente la capitale d’Italia, ma anche di un intero sistema di potere che davanti, dietro e intorno al sindaco ha mostrato tutto il suo plateale, catastrofico, definitivo fallimento. Marino paga colpe sue e altrui. La sua storia di chirurgo-marziano nato a Genova da madre svizzera e padre siciliano, vissuto in Inghilterra, in America, a Palermo e incidentalmente a Roma, faceva comodo a tutti nel 2013, quando Alemanno lasciava la Capitale come neanche Nerone. E il Pd, tanto per cambiare, non sapeva chi candidare. Il centrosinistra montò su quel taxi intestandoselo come “società civile” e riuscendo a nascondere il suo pedigree politico di uomo di D’Alema (in Parlamento e alla fondazione Italianieuropei) sposato dalle correnti che spadroneggiano in città: dalemiani, veltroniani (vero Bettini?), rutelliani, zingarettiani ben contenti di rifilare all’allegro chirurgo il cetriolo di una città già morta e fallita. Anche i boss di Mafia Capitale dissero che col marziano un gancio si trovava, nella vecchia politica che gli stava dietro e nell’apparato burocratico che non muore mai. I palazzinari che controllano la stampa capitolina ci giocavano come con i pupazzi: lo coccolavano quando assecondava i loro interessi e lo infilzavano con gli spilloni quando li ostacolava.

Scandali e scandaletti si gonfiavano e si sgonfiavano a seconda delle convenienze del momento. Dieci mesi fa, quando scattò la prima retata di Mafia Capitale, si discuteva delle multe della sua Panda. Tutto perché lui non obbediva al Pd e ai poteri retrostanti. Poi si scoprì che il guaio non era la Panda, ma la Banda. Della Magliana. Il Pd ci era dentro fino al collo, come il centro e la destra: ma si salvò grazie a lui, che non s’era accorto di nulla ed era persino credibile, come Ignaro, perché era appena arrivato. Così Matteo Orfini – il transformer ex dalemiano, ex bersaniano, ora renziano che il Pd romano lo conosce come le sue tasche fin dalla più tenera età e dunque non può fare lo gnorri – gli montò in groppa in veste di commissario moralizzatore facendosi bello dell’altrui ignaritudine. Marino, che fino al giorno prima attendeva l’avviso di sfratto dal Pd, iniziò a sentirsi onnipotente e a comportarsi come tale (…).