Nelson Mandela, legge elettorale e Giorgio Napolitano: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Dicembre 2013 - 08:42 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Mandela eroe della pace coraggiosa”. Il disimpegno è illegittimo. Editoriale di Antonio Polito:

“Abbiamo senza dubbio toccato il punto più basso del ventennio. Il nostro sistema politico annaspa nel pantano dove ha fatto di tutto per sprofondare. La madre di tutte le leggi della democrazia, quella che regola la competizione elettorale, non c’è più; e il troncone mutilato che ne è rimasto è politicamente inservibile, perché non darebbe mai una maggioranza parlamentare. Si comprende lo sconcerto e l’allarme che c’è nell’opinione pubblica.
Ma non si giustifica il tentativo di chi ne approfitta per diffondere il panico.
L’idea che la Corte costituzionale abbia messo fuorilegge tutte le istituzioni della Repubblica è infatti peggio che risibile, è pericolosa. Eppure in molti la propalano: tutti i poteri dello Stato sarebbero ora incostituzionali, tutti i parlamentari decaduti. Todos caballeros. Si capisce: nella notte che vorrebbero far scendere sulla Repubblica i gatti neri si nascondono meglio. Vedrete che prima o poi salterà fuori qualcuno a dire che anche tutte le leggi fiscali degli ultimi sette anni sono illegittime.
In Italia la rule of law è così fragile che la tentazione di disfarsene è sempre forte.
In prima fila a festeggiare il disastro ci sono quelli che il Porcellum lo hanno inventato, e quelli che se lo sarebbero volentieri tenuto. Qualcuno tenta perfino di prendersela col presidente della Repubblica, il quale in questi anni ha quasi ossessivamente pregato le forze politiche di darsi un nuovo sistema elettorale che consentisse la formazione di maggioranze forti e omogenee”.

L’invito del Colle: nel pacchetto anche il taglio degli eletti e il bicameralismo. Scrive Marzio Breda:

“Presidente, ma allora questo Parlamento eletto con un sistema incostituzionale è delegittimato? Giorgio Napolitano si blocca di colpo nel cortile di Palazzo Reale e, inarcando il sopracciglio come farebbe chi è stupito perché ha sentito qualcosa di inverosimile, risponde: «Stiamo ragionando su una sentenza della Corte costituzionale che espressamente si riferisce al Parlamento attuale, dicendo che esso può ben approvare, in qualsiasi momento, una nuova legge elettorale… quindi è la Corte stessa che non mette in dubbio una continuità nella legittimazione del Parlamento». Vuole essere netto fino in fondo, il capo dello Stato, per spezzare il circuito di letture strumentalmente drastiche scatenatesi da ieri, nella pretesa che ora scatti un’automatica e generale decadenza dei vertici repubblicani.
Polemiche infondate, dunque. E, anche se basterebbe citare il principio del «tempus regit actum» (per il quale, come sanno tutti gli studenti di giurisprudenza, ogni atto va valutato secondo la norma vigente al momento del suo compimento), lui, per maggiore chiarezza, preferisce rifarsi alla pronuncia della Consulta. Certo, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle cavalcano in trasversale sinergia le provocazioni e i colpi bassi (come quello di gettare ombre anche sul Quirinale e di indicarlo fra le istituzioni «scadute» dopo la sentenza), sperando di lucrare consensi con un voto subito. Ma lo stop del presidente a questo tipo di smanie è inequivocabile, e non a caso merita un impre- visto botta e risposta con i cronisti, tra una tappa e l’altra del suo percorso a Napoli”.

Un limbo che favorisce gli attacchi al sistema. La nota politica di Massimo Franco:

 “L’apparenza non è incoraggiante. Lo scossone provocato dalla sentenza della Corte costituzionale che l’altro ieri ha bocciato il cosiddetto Porcellum per il momento ha solo fatto riaffiorare le divergenze sulla riforma elettorale: dentro e fuori dalla maggioranza di governo. Probabilmente è vero che le elezioni anticipate si allontanano. Ma si avvicina una fase paludosa e confusa, della quale si scorgono i primi indizi. Il potenziale conflitto tra Senato e Camera su chi debba affrontare la questione tocca gli equilibri del governo. Gli avvertimenti del Nuovo centrodestra al presidente dell’assemblea di palazzo Madama, Pietro Grasso, a non cedere alle richieste di Laura Boldrini, rivelano il timore che a Montecitorio la riforma sia plasmata da una sinistra che lì ha la maggioranza assoluta dei seggi.
Non a caso, Renzi insiste sulla Camera, ironizzando su chi «ha una fifa matta delle elezioni». Ma approvare la riforma lì significherebbe umiliare e forse far saltare la maggioranza governativa guidata da Enrico Letta; e su un tema decisivo come il sistema di voto. Si tratta di un dibattito emblematico, benché nemmeno a Montecitorio la sinistra sarebbe certa di trovare un’intesa. Il Pd è diviso, come tutti i partiti, altrimenti non si sarebbero rassegnati a «far sciogliere alla Consulta un nodo che doveva sciogliere la politica», osserva il vicepresidente del Csm, Michele Vietti. Il problema «era e resta» la volontà politica di riformare il sistema elettorale, ribadisce Giorgio Napolitano. Ma il capo dello Stato sa che questa volontà difetta, o è frustrata da interessi ancora distanti”.

La prima pagina di Repubblica: “Addio Mandela, eroe d’Africa”.

La Stampa: “Addio Mandela”. Nelson Mandela, un sorriso capace di parlare a tutti. L’editoriale di Gianni Riotta:

“L’ex presidente sudafricano Nelson Mandela amava raccontare agli amici questa storiella: «Quando morirò, mi presenterò alle Porte del Paradiso e l’Angelo mi chiederà “Lei chi è?”. Io risponderò usando il mio nome tribale, “Madiba”. “E da dove viene?” insisterà l’Angelo, ed io “Dal Sudafrica”. L’Angelo mi guarderà “Ah, lei è quel Madiba. Credo debba accomodarsi ai Cancelli Infuocati, là sotto!”». E qui Nelson Mandela scoppiava nella sua accattivante risata, che in galera aveva confortato i compagni per 27 anni e poi affascinato leader politici, star dello spettacolo e dello sport, intellettuali, la giuria del Nobel e milioni di persone semplici. Autocondannandosi per scherzo all’Inferno, Mandela provava a schermarsi dall’icona di profeta della libertà e della giustizia più amato al mondo, e così facendo, con grazia, aumentava solo la sua influenza. Il mito del Che Guevara è offuscato dalla corruzione del regime cubano e dalle rivelazioni sulla sua durezza personale nella biografia di Anderson. John Kennedy resta amato, ma ha subito mille pesanti gossip sulla vita privata, il fratello Bob ha la saggezza di Mandela, ma la morte tragica nel 1968 gli ha impedito di lavorare davvero nella Storia. Ai leader comunisti asiatici, Ho Chi Minh in Vietnam e Mao in Cina, i successi contro il colonialismo e la popolarità nel 1968 degli studenti non bastano a cancellare la repressione feroce contro i propri cittadini e il disprezzo della democrazia”.

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Soldati francesi in Centrafrica per mettere fine al massacro. Scrive Domenico Quirico:

“Bokassa, imperatore del Centrafrica, faceva iniziare la visita a questa terra ricca di violatori di diritti umani più che di iene, non dal palazzo dell’assemblea o da una università. Bokassa portava gli ospiti nell’istituzione principale: la prigione. A Ngaragla. L’avevano costruita i francesi, ma era piccola con solo una camera della morte. L’imperatore amava i francesi, aveva combattuto per loro, gli avevano concesso il potere; ma non avevano capito niente degli africani. Questo lo diceva solo se non c’era qualche consigliere di Parigi a sentirlo e non veniva in visita il suo amico Giscard a cacciare elefanti. Quando si elimina un avversario, un ribelle potenziale, qui, bisogna annientare anche tutto il suo clan, i neri sono vendicativi e hanno il senso della famiglia, non perdonano. Per questo il capo della prigione è un ruolo chiave nel Paese, più del primo ministro, più del capo delle finanze, lo può scegliere solo il presidente”.

Il Fatto Quotidiano: “Tutti contro tutti”.

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Il Giornale: “Dalla farsa al caos”. Divieto di opposizione. Editoriale di Salvatore Tramontano:

Clamoroso a Monteci­torio, c’è l’opposizio­ne. Questa cosa stra­na, sconcertante, ro­ba da extraterrestri, per alcuni un po’ pericolosa, da guardare con sospetto, come fanno da giorni i «largointesisti». È che della sua esistenza c’eravamo tutti dimenticati; dopo anni di governi tecnici, presidenziali, in­ciuci più o meno sotterranei, convergenze al centro, di Monti, di Letta e di Napolitano, di re­sponsabili, poltronisti, ministe­riali e di quelli che si turano il na­so, perché comunque hanno fa­miglia. Insomma, l’Italia era una democrazia con opposizio­ne in sonno. E adesso che si è ri­svegliata sembra una bestem­mia. Quelli delle larghe intese pro­prio faticano a digerirla. Chi so­no questi? Da dove sono usciti? Che vogliono? Probabilmente, votare. Almeno in questo sono d’accordo.Per il resto le opposi­zioni non sono tutte uguali e nep­pure si amano tanto. In Parla­mento sono minoranza, ma co­me voti fanno una bella fetta di Italia. Fuori dal Palazzo sono una forza. C’è Grillo, c’è Berlu­sconi e presto potrebbe esserci anche Renzi,che fa l’oppositore mascherato, ma pronto a sabota­re tutto appena trova l’occasio­ne giusta. È per questo che al go­verno cominciano a smaniare, a sbracciarsi, con il Quirinale che, se potesse, troverebbe volentie­ri un modo per dichiararli inco­stituzionali. Invece, fuori dalla Costituzione finiscono Camera e Senato e magari anche il presi­dente della Repubblica che que­sto Parlamento ha eletto a «reti unificate».Non potendo comun­que cacciare tutte le opposizio­ni, i governativi si sono inventati un ritornello. Populisti. Populi­sti perché vogliono abbassare le tasse, populisti perché pensano che questa Europa sia una frega­tura, populisti perché vogliono le elezioni, populisti perché in questo Paese di burocrati c’è an­cora il popolo. L’obiettivo dei let­tanapoletanoidi è congelare tut­to il più a lungo possibile”.